Riformiamo, anzi no, sperimentiamo


Sergio Pasquinelli | 17 Marzo 2025

Procrastinare sembra essere la cifra di questo governo sul welfare. Il primo indizio sta nel bonus bebè da mille euro. Un vecchio arnese ripescato dall’armadio di famiglia e messo lì non si sa bene in ragione di che cosa. Forse un modo per distrarre l’attenzione dalla bassa natalità, per dire che si sta facendo qualcosa e vedere l’effetto che fa, rinviando il problema più in là. Peccato che vent’anni di bonus bebè non abbiano sortito nessun effetto sull’andamento delle nascite. Cambia comunque il nome, a questo giro si chiama “Carta per i nuovi nati”.

Più rilevanti, per gli impatti attesi, sono le due riforme innescate dal Pnrr, quella per le persone con disabilità e quella per gli anziani non autosufficienti. Le quali hanno seguito passaggi analoghi: prima una legge delega, poi un decreto attuativo (più di uno nel caso della disabilità), con percorsi in realtà diversi, per contenuti e peso politico, ma guarda caso convergenti nelle prospettive raggiunte.

Cominciamo dalla disabilità. Sia la legge delega (227/2021) sia il principale decreto legislativo attuativo (62/2024) sono stati salutati molto positivamente, da tutti. Si è così avviata la sperimentazione dei “Progetti di vita” per le persone con disabilità, da realizzarsi in nove province (da ottobre diventeranno venti) in soli 12 mesi, quest’anno. Chi scrive aveva già segnalato l’esiguità di una simile tempistica, stabilita con una dose eccessiva di ottimismo e in assenza di un disegno di valutazione. Così, a sperimentazione avviata il governo ha deciso di allungare il periodo sperimentale di un anno, fino a tutto il 2026. Senza tante giustificazioni ma intuibili criticità legate alla messa a terra di una nuova logica di intervento, che capovolge l’approccio tradizionale dei servizi pubblici, e che si apre a declinazioni molto diverse. In particolare, l’entrata in vigore di nuove regole nazionali per la valutazione delle condizioni di disabilità se prima era data per scontata, ora è rinviata al 2027. Il sentiment che circola è quello di volerci ancora credere, ma l’incertezza è evidente. Colpisce lo scarso realismo iniziale, accompagnato da un alto livello di attese verso una riforma vicina, una “rivoluzione culturale e civile” nelle parole della ministra per le disabilità. Rinviata a data da destinarsi.

Nel caso degli anziani non autosufficienti le cose sono andate in modo un po’ diverso. Mentre la legge delega (33/2023) ha trovato un consenso trasversale, non così l’unico decreto attuativo1 (29/2024), il quale ne ha depotenziato la spinta al cambiamento, su vari fronti: dalla nuova valutazione unificata ai servizi residenziali, a quelli domiciliari. Questi ultimi rimangono oggetto del target previsto dal Pnrr, volto a raggiungere il 10% degli ultra-sessantacinquenni con l’Adi delle Asl. Il tutto però nella logica del “more of the same”, ossia senza sforzi per superarne i conclamati limiti prestazionali. In questo e altri ambiti di intervento il decreto attuativo è arretrato rispetto alla legge delega, con distorsioni e rinvii. Come è potuto accadere? A differenza del percorso sulla disabilità, che ha visto un presidio politico ampio con un ministero dedicato, sulla non autosufficienza questo presidio – per varie ragioni – è stato minore, e l’attenzione pubblica sul tema non è cresciuta (non una novità, peraltro: da sempre tale attenzione è saturata dal cronico assillo sulle pensioni). Tutto questo ha lasciato spazio a uno snaturamento dei contenuti della delega.

Su questa riforma, sul suo potenziale ancora aperto, è stato pubblicato un libro, a cura del “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” (scaricabile qui).

A un anno dal decreto attuativo sulla non autosufficienza – che ha previsto 16 atti ulteriori, tra decreti ministeriali e linee guida – abbiamo un solo provvedimento pubblicato, quello riguardante il nuovo Assegno di assistenza, illustrato qui da Franco Pesaresi. Anche in questo caso siamo dunque alle prese con una sperimentazione. Ma per favore, non chiamiamola Prestazione universale, perché di universale non ha nulla. La sperimentazione riguarda l’Assegno di assistenza2: 850 euro al mese vincolati all’uso di servizi domiciliari, per un periodo sperimentale di due anni, 2025 e 2026, e per una platea molto ristretta: ultraottantenni poveri, in condizioni di salute gravissime, beneficiari dell’indennità di accompagnamento. I fondi disponibili ne consentono la fruizione a poco più di ventimila persone.

Sia nel caso delle disabilità sia in quello delle non autosufficienze se ne riparla quindi nel 2027, finito un periodo sperimentale non contemplato nelle rispettive leggi delega e introdotto solo in seguito, privo in entrambi i casi di un piano di valutazione e con incertissime prospettive di riforma complessiva. Nel 2027 ci saranno le elezioni politiche, con un fine legislatura previsto per marzo di quell’anno. Gli spazi per decidere a quel punto saranno ridotti (quasi) a zero, ma ampi saranno quelli per promettere orizzonti grandiosi nella nuova legislatura. Un’altra sperimentazione?

  1. Decreto che, ricordiamo, è stato bocciato dalla Conferenza delle Regioni con un parere negativo unanime, e su cui anche Anci ha espresso una mancata intesa. Le proposte di emendamento della Conferenza e delle Commissioni parlamentari consultate non sono state prese in considerazione.
  2. Secondo la terminologia dello stesso decreto legislativo 29/2024, articolo 36.

Commenti

Sergio Pasquinelli al termine del suo articolo, largamente condivisibile, fa un accenno (alle “Politiche” 2027) che alcuni potrebbero definire”malizioso”, ma che tale non è (soprattutto se si conoscono l’annoso tormentato rapporto tra politica e corpi intermedi e le vicende dell’associazionismo dell’ambito disabilità) e che aggiunge ulteriori sollecitazioni a quelle già presenti nel vivace dibattito sul rinvio della Riforma della disabilità al 2027 e che diamo per acquisite (vedi la nutrita bibliografia su informareunh.it).
E’ evidente l’investimento che una parte del centro destra ha fatto nell’ambito della disabilità. Da una parte creando un Ministero condotto da persone con buona competenza in materia (…poi si può discutere sull’orientamento di fondo) e gestendo il tutto sostanzialmente nel solco dei Programmi biennali usciti dalle varie Conferenze nazionali degli ultimi 15 anni e relative parole d’ordine che introducono e sottendono realtà importanti, evoluzioni culturali significative (di cui però si ignorano, più o meno volutamente, gli elementi di continuità col passato) da trattare con estrema cura per evitare ideologismi, “tra seduttivi immaginari e plausibili realtà” come recita il sottotitolo di un bel volume uscito un paio di anni fa.
Niente di particolarmente diverso, come programma, da quello che avrebbe potuto fare (forse) un governo di centro sinistra. E questo è reso possibile anche a fronte di “disabili” rimasti gli “unici buoni” sulla scena sociale a fronte dei tanti brutti e cattivi…rom, migranti, minori devianti nelle baby gang, senza dimora, occupatori di case…che generano insicurezza e ledono il decoro e di cui ci racconta una sera si e una no Rete4, ma che tuttavia non si capisce perchè anche loro, come persone fragili/in difficoltà, non potrebbero avere diritto “…ad un progetto di vita” che tra tutte le parole d’ordine è la più potente.
La seconda ragione è legata agli intrecci con parte del mondo della disabilità che, al netto del gioco delle parti, hanno visto la particolare valorizzazione di alcune di queste relazioni (basta seguire la ricaduta comunicativa di ciò). Immagino che si abbia anche intenzione di “passare all’incasso” e vedere se questi investimenti in relazioni producono frutti nell’urna e magari anche dentro le abituali dinamiche cooptative che da sempre caratterizzano, a destra come a sinistra, buona parte dei rapporti.
Sullo sfondo una via italiana al terzo settore molto economicistica, che comprime le capacità di rappresentanza e di ruolo politico di questo mondo (sparito il conflitto) unitamente ad alcune storture della legge di riforma dello stesso. Se a questo aggiungiamo lo sparire dagli atti di una prospettiva esplicita di deistituzionalizzazione, le possibili, e comprensibili per certi versi, resistenze di chi gestisce strutture diurne o residenziali, e di settori dell’associazionismo che si occupano di deficit che sembrano fare più fatica a far rima col lessico che va per la maggiore…gli orizzonti sono di sicuro incerti vista anche, per gli aspetti parlamentari, la forte carenza di idee, e figure di riferimento, dell’altro pezzo del mondo politico.