Futura, il documento di CNCA (non solo) sull’adolescenza


A cura di Gianfranco Marocchi | 14 Novembre 2024

Il CNCA pubblica il documento “Futura” dedicato agli adolescenti o, meglio, agli adolescenti entro un contesto sociale che ha perso la capacità di offrire un futuro desiderabile. L’incipit del documento, “noi stiamo male, e voi? voi come state?” rappresenta il punto di partenza per la riflessione che viene sviluppata.

Il tema di partenza è quello ben noto a chi si occupa di adolescenza, ben documentato su Welforum in un recente articolo di Cecilia Guidetti: “Un numero sempre maggiore di ragazze e ragazzi riporta di star male. … Sembra che ragazze e ragazzi abbiano, ora più di prima, paura di rompersi e che declinino questa paura in forme diverse: dal dolore di stare nei propri corpi e nelle proprie vite, al ritiro sociale; dalla violenza praticata verso gli altri, alla violenza riservata a sé stessi”.

La chiave di lettura proposta nel documento invita però a rovesciare la prospettiva, riconoscendo nelle sofferenze giovanili lo specchio delle difficoltà della nostra società, considerando quindi “le ragazze e i ragazzi, parti sensibili della nostra collettività”, che con la loro sofferenza stanno allertando tutti.

Provando a sviluppare ed esemplificare il ragionamento contenuto nel documento: è così strano che un adolescente non guardi con entusiasmo e investimento emotivo il proprio ingresso nella vita adulta e nel mondo del lavoro se è circondato da adulti di riferimento – insegnanti, parenti – che descrivono la propria quotidianità di vita e lavorativa come fonte di stress e sofferenza e guardano come unico orizzonte possibile l’agognata liberazione del pensionamento? È così strana la diffidenza verso la relazione e l’amore in una generazione che vive come normalità – nella propria famiglia, in quelle dei propri amici – l’esperienza di separazioni conflittuali dei propri genitori? E, aprendosi a dimensioni più ampie, che fascino può riservare la vita in una società percorsa da risentimenti, guerre e minacce ambientali incombenti?

E in questo contesto che il documento si chiede “Che fine ha fatto il nostro desiderio di futuro? … Ci ritroviamo a correre freneticamente senza procedere in alcuna direzione. Viviamo in una condizione di presentificazione dove il futuro non è desiderabile perché – pensiamo – non sarà migliore del passato o del presente”. Con l’unica differenza che, mentre per le generazioni mature ciò si colloca in un ciclo biografico in cui – nel bene o nel male – scelte e apprensioni riguardano il passato, per gli adolescenti tutto ciò impatta una vita ancora tutta da esplorare: con la percezione, appunto, che non si tratterà di un’avventura appassionante, ma di un cammino di difficoltà e sofferenza, con il risultato di rimanere schiacciati “tra forme di paralisi (ritiro sociale, dimissioni, immobilismo…) e di ebollizione (ansia, frenesia, violenza…)”.

A fronte di ciò, il documento richiama innanzitutto ad una nuova “attenzione alle narrazioni soffocate, flebili, minoritarie… La ragazza che in classe non disturba mai, che non partecipa a un gruppo già troppo numeroso … La periferia che la sera è buia e poco attraversata, quella periferia che manca dalle cartoline della città ne è la pancia”; si tratta, sempre usando le parole del documento, di punti di osservazione che aprono a possibili narrazioni inedite.

Avvicinandosi con questo sguardo, continua il documento, emergono, oltre alle sofferenze, anche istanze di cambiamento di cui i ragazzi e le ragazze si fanno portatori: “il rifiuto della competizione come forma predominante di interazione tra le persone, il ridimensionamento della funzione del lavoro, la centralità del tempo liberato, l’urgenza di una scuola che sia luogo relazionale significativo, il bisogno di prossimità fisica ai viventi delle altre specie (alle piante, agli animali)… movimenti e campagne giovanili che aggregano e muovono la partecipazione di piazza su temi come la crisi climatica, la pace, l’uguaglianza di genere…”. In sostanza, la parte propositiva che il mondo giovanile riesce ad esprimere nella misura in cui non si sente oppresso dall’ineluttabilità degli aspetti che sono avvertiti come disumanizzanti.

La parte finale del documento prova a trarre alcune indicazioni dal punto di vista dell’azione educativa che, date le premesse sopra richiamate, è mirata in primo luogo al contesto, inteso come “lo spazio relazionale in cui si abita, si interagisce e si co-producono significati, (…) insieme di condizioni che promuovono lo sviluppo di competenze e di apprendimenti”. Tale azione educativa comporta la capacità di confrontarsi con la dimensione dell’attesa – essere consapevoli che il percorso di crescita comporta “l’indugiare sulle domande” senza la ricerca spasmodica di risposte – e la dimensione della partecipazione, che implica la capacità di educare senza “sovrastare le voci degli adolescenti”.

In sostanza, il documento sostiene la necessità di “rallentare il pensiero operativo” e quindi la proposta di ricette risolutive, di indicazioni su come gli adolescenti dovrebbero essere e su cosa dovrebbero fare, per assumere una postura accogliente e di ascolto, riconoscendo come il punto di partenza sia la costruzione di un contesto nel quale la vita sia desiderabile anziché un luogo autodistruttivo caratterizzato da “passioni tristi”.