Gli istituti giuridici cooperativi e il ruolo degli Enti del Terzo settore nell’ambito della disabilità


Alceste Santuari | 26 Giugno 2024

In attesa di avere tutti gli interventi del seminario Welforum che si è tenuto a Cuneo lo scorso 7 marzo, dal titolo: “Disabilità: cantieri e prospettive” per proporre ai nostri lettori un nuovo Punto di Welforum, anticipiamo l’articolo relativo all’intervento di Alceste Santuari.

 

Grazie e buongiorno a tutte e a tutti. Ringrazio l’avvocato Gianfranco de Robertis perché mi permette di approfondire alcuni dei temi anche da lui toccati nel corso della sua presentazione.

Il motivo, penso, perché Claudio Castegnaro e gli amici di Welforum.it mi hanno invitato qui questa mattina, è perché, un paio d’anni fa, ho dato alla stampa un volume dedicato al “budget di salute” e alle procedure amministrative per realizzarlo. Si tratta di un volume free download quindi accessibile a tutti dal sito dell’editore FrancoAngeli.

Il primo spunto di riflessione che mi sento di proporre in questo consesso è il seguente: si può fare. L’affermazione è ovviamente riferita alle procedure amministrative che il Codice del Terzo settore consente di utilizzare per realizzare progettualità sociali e comunitarie. Co-programmazione, co-progettazione e convenzionamento, infatti, risultano strumenti giuridici adeguati per la definizione, organizzazione e gestione di progetti innovativi e specifici anche nell’ambito della disabilità e del “durante – dopo di noi”. E queste procedure possono essere legittimamente implementate, in specie attraverso motivazioni adeguate, che, coerentemente e conseguentemente, non devono temere censure ovvero contestazioni da parte delle diverse autorità preposte al controllo degli atti amministrativi.

Con specifico riguardo alla salute mentale, occorre ricordare che le procedure in oggetto sono state per la prima volta contemplate nelle linee di indirizzo approvate in Conferenza stato- regioni nel mese di luglio 2022.

Che cosa hanno introdotto le procedure amministrative di cui discutiamo qui oggi? In primis, come ormai spesso di afferma, gli artt. 55 e seguenti del Codice del Terzo settore segnano un cambio di paradigma e il cambio di paradigma giuridico è cambiare la testa rispetto a quello a cui siamo sempre stati abituati. Io ho un’età in cui nella formazione universitaria potevamo conoscere solo gli appalti. Oggi siamo ancora convinti che, poiché “abbiamo sempre fatto così” la “comfort zone”, ci giustifichi rispetto ad innovare, utilizzando strumenti diversi da quelli maggiormente invalsi. A questo riguardo, preme evidenziare che le procedure amministrative in oggetto non costringono soltanto la pubblica amministrazione a cambiare “postura”, ma anche gli Enti del Terzo settore sono sollecitati a non considerarsi più soltanto come “erogatori di ultima istanza”. Essi, infatti, risultano coinvolti attivamente in percorsi e processi in cui si sperimentano iniziative e progettualità fondate sulla partecipazione e la collaborazione, anche nella realizzazione ultima degli interventi.

Le procedure di cui al Codice del Terzo settore non sono migliori delle altre e, quindi, anche in questa sede, non si intende contrapporre dette procedure a quelle (maggiormente conosciute) di natura competitiva. Si tratta, al contrario, di considerare i percorsi amministrativi di natura cooperativa come, in molti casi, più adeguati per la realizzazione di progettualità e interventi di carattere comunitario.

In questo senso, è interessante sottolineare come nell’art. 28 del decreto legislativo in materia di disabilità che dovrà essere approvato nelle prossime settimane1, si legge che la co-progettazione è la procedura con la quale realizzare il budget di progetto. Perché questo cambio di paradigma è così importante? Perché dobbiamo capire se le procedure di cui stiamo parlando sono ancora considerate residuali e marginali, come qualcosa che facciamo perché tutto sommato va di moda, perché l’assessore è contento se facciamo un po’ di consultazione e perché il dirigente apre un po’ alla partecipazione comunitaria oppure perché sono procedure consapevoli. Cosa significa considerare queste procedure come consapevoli? Vedere se rispondono agli obiettivi, obiettivi che sia Claudio sia l’avvocato Gianfranco de Robertis hanno richiamato, che, in molti contesti non possono essere ricondotti alle procedure di appalto.

La Riforma del Terzo settore ha inteso prevedere il coinvolgimento attivo degli Enti del Terzo settore, coinvolgimento che necessariamente si realizza attraverso l’azione degli enti locali (e delle aziende sanitarie territoriali). In questo senso, è bene dunque ricordare che non c’è una ricetta uguale per tutti.

Purtroppo, ci sono ricette uguali dove si copia male, dove si utilizzano ancora i concetti legati alle procedure d’appalto e le si mettono dentro le procedure di co-progettazione, non facendo un servizio né agli enti del Terzo Settore né agli enti pubblici, perché i giudici amministrativi, in quei casi, fanno bene a bacchettare gli enti locali nel dire: attenzione, state facendo una cosa diversa.

Nel 2020, come molti di voi sapranno, è dovuta intervenire la Corte costituzionale a ribadire che – cito a memoria – “l’art. 55 del Codice del Terzo settore è la procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria”. Procedimentalizzazione significa che servono procedure per implementare un servizio altrimenti la sussidiarietà resta nell’empireo. Servono procedure e che procedure sono state consegnate dal nostro ordinamento? Quelle dell’articolo 55 del Codice del Terzo settore, le quali implicano una disponibilità ad ascoltarsi e a costruire, elemento che difficilmente si palesa autonomamente. Se realizzate bene, tuttavia, portano ad un valore che è soprattutto di carattere comunitario e non sono individuali.

Perché gli ETS sono coinvolti e perché sono gli unici soggetti ad essere coinvolti attivamente e legittimamente dagli enti pubblici? Perché entrambi devono realizzare, nelle rispettive competenze e responsabilità, un obiettivo che è quello di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni. L’articolo 1 del Codice del Terzo Settore assegna agli Ente del Terzo Settore una funzione pubblica ed è l’unico motivo per il quale gli ETS possono essere coinvolti anche a tavoli di decisione e finanche di realizzazione di procedimenti amministrativi.

Questo è il presupposto, per così dire. È evidente che da questo punto di vista non c’è soltanto un cambio di pelle degli enti pubblici, in verità in molti contesti già lo avevamo, ma c’è un cambio di pelle da parte degli ETS. Molti di questi, spesso, obiettano che trattasi di procedure difficili, che è difficile dialogare e che è difficile collaborare. Certo che è difficile: se pensiamo che per cinquant’anni gli ETS sono stati messi in competizione dagli enti pubblici e che alcuni di essi sono chiamati a collaborare, mentre fino al giorno prima facevano i concorrenti in una gara. In questa prospettiva,  si vede molto la capacità dell’ente pubblico di essere davvero “amministrazione procedente”, ossia un’amministrazione che facilita il dialogo, che riunisce e coordina le diverse istanze, che le mette a fattor comune, che, in ultima analisi, costruire reti e relazioni territoriali.

Nell’ottica di favorire questi processi, occorre, però, motivare adeguatamente quello che si intende realizzare. Per anni, e parlo sempre rivolto agli enti pubblici, abbiamo un po’ dimenticato la necessità di rendere intelleggibili gli atti amministrativi e quindi di darne le motivazioni. Il Codice del Terzo Settore per molti aspetti impone o sollecita o raccomanda agli enti pubblici di costruire percorsi e quindi anche procedure in cui le motivazioni risultino chiare. Perché lo facciamo? Perché facciamo questa cosa? Perché la consideriamo più opportuna? Perché l’altra non ci va bene? Lo dobbiamo scrivere, dire. È uno dei motivi per i quali di solito si iniziano dei percorsi di confronto cooperativi. Questi sono alcuni degli elementi.

Nell’ultimo anno, ho lavorato molto con le aziende sanitarie anche di Regione Piemonte, nella definizione di strumenti regolamentari che possano favorire il coinvolgimento attivo degli Enti del Terzo settore. L’esperienza insegna che é difficile passare da un mondo della salute mentale, ad esempio, definito per decenni dagli appalti, ad un mondo in cui si vuole portare un paradigma, una modalità nuova. Se, però, non abbiamo in mente quello che vogliamo realizzare, la procedura non serve e diventa un ostacolo. Allora, ad esempio, che tipo di servizi e attività vogliamo offrire?

Mi è piaciuto quello che si è detto in apertura. Gianfranco de Robertis ha utilizzato il termine “procedura atipica”. Se lo traduciamo in un contesto sociosanitario, “non a nomenclatore”. Quindi la co-progettazione si rappresenta ed è presente esattamente per costruire percorsi innovativi anche sperimentali ma innovativi e su questo faccio una precisazione perché non vorrei essere frainteso. Innovazione che non è soltanto di prodotto come direbbero gli economisti e aziendalisti, ma anche di processo. Quindi è possibile applicare le procedure degli strumenti cooperativi a qualcosa che abbiamo già fatto per trent’anni in un altro modo, leggi l’appalto oppure l’accordo quadro? Mi pare di potere dire che in alcuni territori la risposta sia sì. Da che cosa dipende? Molto dalla visione del direttore generale oppure del DSM, dalla capacità di coinvolgimento degli ETS, dalla loro disponibilità a collaborare, dalla disponibilità e della compressione della Corte dei Conti e non soltanto, ma anche di fronte alle agenzie di controllo dello Stato. In questo senso, mi dispiace di non avere avuto la possibilità di interloquire con la Ministra Locatelli, perché altrimenti le avrei detto qualcosa. Non è pensabile che nel settembre del 2023, l’Agenzia di coesione per i progetti PNRR abbia indicato agli Enti locali che i contributi riconosciuti agli ETS nei procedimenti collaborativi non potevano superare il rimborso delle spese. Grazie anche ad un’operazione messa in campo con Welforum.it, siamo riusciti, dopo un paio di giorni, a far scrivere al direttore di quell’Agenzia: scusate, intendiamo evidenziare che trattasi di contributi ex legge 241/1990 e non di meri rimborsi spese. Se troviamo degli inciampi nazionali a questi percorsi, giustamente abbiamo paura e ci fermiamo. Nel 2018, quindi non nel mesozoico ma sei anni fa, a distanza di un anno dall’approvazione del Codice del Terzo Settore i giudici amministrativi del Consiglio di Stato ebbero a dire che il Codice del Terzo Settore era da considerarsi un “figlio di un Dio minore”, in quanto il Codice degli appalti doveva considerarsi gerarchicamente sovraordinato al medesimo. Ma perché? Perché il Codice degli appalti è il paradigma della concorrenza. C’è voluta la sentenza della Corte costituzionale del 2020 per “ribaltare” – per così dire – questa interpretazione. Capite che se non c’è una presa di consapevolezza anche da parte di chi poi deve verificare, è chiaro che queste procedure sono sempre sulle uova, sono sempre un po’ in un contesto in cui “faremo bene oppure no”? Se posso lanciare un messaggio, non è un problema di fare bene, ma il problema è che sia adeguato, che sia sostenuto, questo percorso.

Nei minuti che restano, vorrei provare a fare con voi un esercizio di comparazione tra le procedure competitive e le procedure cooperative. In primis, come già richiamato, è necessario evidenziare la terminologia che il Codice del Terzo Settore utilizza. Nell’ambito dei percorsi cooperativi, la pubblica amministrazione è l’amministrazione procedente, non è committente. Essere procedente significa che recuperiamo in capo all’ente pubblico un’azione di stimolo, di coordinamento, anche di raccomandazione, di verificare se sul territorio si riescono ad attivare dei percorsi. Quindi la terminologia è fondamentale. E poi c’è il secondo elemento e su questo chiudo. I criteri di valutazione. Smettiamola di fare degli avvisi con cui alleghiamo tutto quello che sappiamo già di fare. Quella non è co-progettazione. Non si chiama co-progettazione. Ha fatto bene il giudice amministrativo ultimamente a dire: se fate così, fate un’altra cosa. Non è il “mestiere” della co-progettazione definire tutto.

Questo significa che non possiamo definire quello che vogliamo fare? Certo che sì. Altra narrazione da fake news; se è co-progettazione, si devono avere due soggetti che collaborano per realizzare un certo progetto. C’è spazio per la fantasia? Molto. Ma sono procedure un po’ “strane” rispetto al  Codice degli appalti, che prevede tutto. Ci sente dunque un po’ persi perché dobbiamo costruire questi percorsi.

Poi ci dobbiamo ricordare che non c’è una valutazione economica. Questo è il tema importante. Non ci sono valutazioni economiche come avviene nella competizione e nelle procedure di evidenza pubblica di natura competitiva. Ci sono valutazioni progettuali. Ma la procedura la devo assoggettare al CIG (Contributo Unico di Gara)? Questo “dilemma” ci viene da una storia che purtroppo non ho il tempo di fare in questa sede. Se io voglio applicare la procedura e conosco solo quella, porto dentro quello che conoscevo e quindi mutuo ciò che è della procedura più conosciuta in quelle meno conosciute.

L’ultimo pensiero è rivolto al convitato di pietra di questi percorsi, che è la valutazione. Noi siamo in un punto ormai maturo, lo diceva bene Sergio Pasquinelli all’inizio, siamo davanti ad un momento di riforma e di svolta o di rivoluzione come ha sottolineato anche Claudio Castegnaro. Tuttavia, parafransando Mao, le rivoluzioni non si sostanziano come una cena di gala, ma ci vuole un po’ di sforzo. Perché la valutazione? Perché ci servirà a capire se questi percorsi sono stati, sono e saranno adeguati e conformi al punto da cui siamo voluti partire.

Qui termino con l’aggancio a un ulteriore tema già richiamato e che riguarda anche la Regione Piemonte. Si tratta dell’accreditamento sanitario, che le Regioni, in ossequio all’articolo 15 della legge 118/2022, devono revisionare. In questo processo di revisione, pensiamo a quanto spazio ci può essere per riconoscere, anche nell’accreditamento istituzionale, uno spazio dedicato alle procedure di natura cooperativa, al fine di valorizzare pienamente il contributo degli Enti del Terzo Settore.

  1. Si fa riferimento al Decreto Legislativo 62/2024 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14/05/2024.