Gli stakeholder nel campo della disabilità – (I parte)


Marino Bottà | 9 Settembre 2019

Se vuoi vincere una battaglia, conosci te stesso, se vuoi vincere la guerra, conosci l’Altro.

I bisogni dell’altro

Il bisogno è il motore dell’umanità. L’uomo vive in costante ricerca dell’appagamento dei bisogni. Ci sono bisogni primari e un’infinità di bisogni relativi alle altre necessità dell’uomo. I bisogni appartengono alla natura dell’uomo e in quanto tali non hanno una connotazione positiva o negativa, è il fine e il modo con cui vengono soddisfatti che ne determina la qualità. Le relazioni umane hanno sempre di base una finalità di scopo, un bisogno manifesto o sotteso. Il bisogno, inoltre, in quanto tale, non si auto-soddisfa, ma deve avvalersi del contributo dell’ambiente e dell’Altro. Se l’Altro lo percepisce come bisogno sottraente, si arrocca in un atteggiamento difensivo, se al contrario viene interpretato come un’opportunità, ci sarà un’apertura e quindi la disponibilità (per lo meno ad ascoltare). Conoscere e comprendere i nostri bisogni e quelli dell’Altro ci aiuta ad avere successo e ad acquisire benessere esistenziale. Ciò vale anche per la disabilità, in particolare per le politiche inclusive. Solo seguendo il processo di conoscenza dell’Altro, del suo linguaggio e dei suoi bisogni, riusciremo a favorire l’integrazione e a far comprendere che la disabilità è un aspetto della vita a cui siamo tutti potenzialmente esposti. Non più diversità da rimuovere o normalizzare, non più oggetto di inserimento o inclusione ma rimodulazione della normalità che coinvolge direttamente o indirettamente ognuno di noi quando si manifesta.

 

Il bisogno nasce sempre da una mancanza di qualche cosa. Trae origine da una esigenza soggettiva e come tale viene percepita dall’Altro. Questa sembrerebbe un’ovvietà, ma spesso non è compresa; al contrario si tende a proiettare il nostro bisogno sull’Altro, ritenendo implicitamente che debba essere condiviso.

Ricordo una banale vignetta umoristica che rappresentava un giovane scout che, incontrata una vecchietta in prossimità delle strisce pedonali, pensando che volesse attraversare, si ostinava nell’aiutarla. Purtroppo lei non era intenzionata a passare dall’altra parte della strada e reagiva alla sua insistenza dandogli il bastone da passeggio in testa. Nessuno vuole essere aiutato contro le proprie volontà, desiderio o per fare qualche cosa di cui non sente il bisogno. Tutti al contrario accettano un aiuto, quando vengono sostenuti nell’assolvere a un loro bisogno, a una loro richiesta. Nel rapporto con la disabilità questo comportamento contradditorio è molto diffuso. Sono spesso gli altri (genitori, insegnanti, educatori, tecnici, ecc.) che ritengono di avere un diritto-dovere d’intervenire e decidere quali debbano essere bisogni della persona disabile, rischiando così, inconsapevolmente, di espropriare l’esistenza di chi vogliono aiutare. Questo tipo di atteggiamento espone il processo inclusivo a rischio di fallimento e produce malessere e disagio in chi si vuole aiutare. Il piano relazionale acquista particolare importanza nell’inserimento lavorativo delle persone disabili: è pertanto fondamentale, prima di qualsiasi supporto, comprendere se il bisogno occupazionale, esposto magari da un accompagnatore, appartiene alla persona disabile o è indotto da altre motivazioni.

 

Molte volte mi sono trovato in situazioni in cui l’esigenza di una occupazione lavorativa apparteneva all’accompagnatore e non alla persona accompagnata, oppure mi sentivo dire che era stato mandato dall’assistente sociale o dalla moglie. Nel proseguire il colloquio, diventava palese l’assenza di una motivazione personale e il bisogno di mostrare a qualcuno che aveva ubbidito e si era rivolto al Servizio.  Al contrario della maggioranza che invece, erano ansiosi di trovare un’occupazione.  Per molti disabili il lavoro rappresenta la risposta ad un bisogno economico per altri invece è il bisogno al lavoro in sé:  “ … sono pochi gli uomini dai gusti difficili, di non facile contentatura, ai quali un buon guadagno non serve a nulla se il lavoro non è di per se stesso il guadagno di tutti i guadagni” (Friedrich Nietzsche, La gaia scienza). Molti lavoratori disabili hanno un bisogno e un diritto al lavoro che prescinde dalle loro potenzialità, dal loro bisogno economico e dal volere degli altri. È quindi un dovere morale, per chi si dice al loro servizio, aiutarli in tutti i modi possibili. Sono invece moralmente scorretti tutti coloro che agiscono, perseguendo finalità proprie, utilizzando in modo strumentale i bisogni dell’Altro. La disabilità non ha bisogno di improvvisati esperti alla ricerca di ruolo e finanziamenti. Tutte le persone hanno il diritto di non essere usate. Troppi si nutrono degli svantaggi di altri.

 

Per la quasi totalità delle aziende, il bisogno di assumere persone disabili scaturisce da un obbligo normativo e quindi da assolvere con il minor onere possibile. Di conseguenza si deve trovare una risposta adeguata ai bisogni della persona disabile e nel contempo dell’azienda, realizzando un inserimento mirato che soddisfi i bisogni di ambedue i soggetti interessati. Pertanto l’incontro domanda-offerta si può verificare solo nel momento in cui si è fatta una corretta valutazione delle competenze, disponibilità, potenzialità dell’azienda e della persona. La risposta occupazionale non può essere uguale per tutti, se si vuole evitare una serie infinita di contraddizioni e frustrazioni che porterebbero a una espulsione o a un’auto-espulsione dal lavoro. Si devono invece attivare percorsi di accompagnamento personalizzati e sostenere chi effettivamente vuole e può accedere ad un rapporto di lavoro regolare in aziende pubbliche, private o in ambito protetto. Mentre chi ha bisogni riabilitativi, educativi, formativi deve essere rispettato e non costretto ad entrare nel mondo del lavoro perché altri lo vogliono. Purtroppo sono proprio i soggetti più deboli che spesso subiscono le proiezioni dei bisogni di chi li affianca e sostiene.

 

La conoscenza dell’Altro, la comprensione dei suoi bisogni e del suo linguaggio, creano rapporti positivi. Troppo spesso ci si ostina a sostenere le esigenze di accoglienza di inclusione delle persone disabili, attraverso un linguaggio morale, ideologico o burocratico, accompagnato dall’insistenza o dall’obbligo, pensando così di raggiungere l’obiettivo. Purtroppo non è così; i dati statistici e l’esperienza quotidiana riportata dai servizi lo dimostrano.

Ma chi è l’Altro per la disabilità? Chi sono gli stakeholder della disabilità nel mondo del lavoro? Qual è la loro mentalità? Nel mondo aziendale i portatori di interesse sono i clienti, i fornitori, i collaboratori, i dipendenti, ecc. Per la disabilità sono i datori di lavoro pubblici e privati, i servizi specialistici, le cooperative sociali, i sindacati, le associazioni. Per promuovere progetti e azioni inclusive è bene conoscerli e comprendere il loro modo di essere. Cerchiamo di capire e valutare: chi sono, la loro mentalità, i loro bisogni e il loro linguaggio. Nel presente articolo prenderò in considerazione le aziende private.

 

Primo stakeholder – le aziende

La quasi totalità delle aziende, di fronte agli obblighi previsti dalla legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, reagiscono con insofferenza e attivano comportamenti elusivi o di vera evasione. Del resto l’impresa profit non nasce come risposta ad un bisogno sociale, nasce da un bisogno individuale di business. Di conseguenza il lavoratore è strumento e non fine del suo operare. Per ottenere maggior plus-valore (vero fine dell’imprenditore), si serve della mano d’opera con una finalità di scopo, allo stesso modo con cui utilizza gli impianti, i macchinari e le varie attrezzature. Tant’è vero che oggi, a causa della rivoluzione tecnologica, il lavoratore, in molti casi rischia di essere sostituito dalla macchina. L’azienda uscita dal confine del villaggio e affrancatasi dalla comunità locale, perde sempre più il rapporto personale con i lavoratori. Lo stesso welfare aziendale si sviluppa nell’intento di conseguire migliore efficienza e quindi maggiore produttività. Le singole aziende giustificano questi comportamenti scaricando le colpe sul mercato e sulla globalizzazione. Si restringe la fascia di lavoratori adeguati ai bisogni produttivi.  In un sistema così concepito, il potenziale occupazionale aumenta in rapporto alle capacità tecnico-produttive del singolo. Ne consegue che un numero crescente di persone disabili rischia di non entrare nel mondo del lavoro, di essere espulso o di vivere ai suoi margini. Le aziende cercano in tutti i modi di eludere gli obblighi di legge, e i Servizi per il Collocamento Disabili sono poco performanti nello svolgimento dei loro compiti istituzionale. Solo l’obbligo previsto dalla legge spinge le aziende ad assumere lavoratori con disabilità; in caso contrario pochi super-abili e alcuni con rapporti di parentela, troverebbero un’occupazione.

La Regione Lombardia, in una delibera di fine 2018 (DGR 843/2018), scrive: “il mondo datoriale nel suo insieme è prevalentemente orientato a trattare la disabilità come mero obbligo …”. Non possiamo certo stupirci di fronte a questa affermazione. Da sempre le aziende manifestano una forte contrarietà all’obbligo di assunzione delle persone disabili. Se le avessimo ascoltate, compreso il loro linguaggio e i loro bisogni forse avremmo cambiato da tempo le politiche attive a favore dei disabili. Molte aziende sono tuttavia impegnate a soddisfare i propri bisogni anziché comprendere i vantaggi che ne deriverebbero nell’aiutare l’Altro. C’è inoltre l’abitudine ad ascoltare le parole dette e non a comprendere quello che le stesse sottacciono. “Dalle loro parole riconoscerete quello che volevano tacere” (S.J. Lec). L’imprenditore da sempre, anche se non lo dice apertamente, pensa che: “vuole essere padrone a casa sua”, “lo Stato non deve permettersi di dirgli chi deve assumere”, “ha già un mare di problemi, paga una quantità esorbitante di tasse”, “l’azienda non è un servizio sociale”, “offre già un contributo alla comunità sfamando le famiglie dei suoi dipendenti”, ecc.. Sono i pensieri della maggior parte degli imprenditori, rappresentano le loro paure. Come risposta, da parte dei servizi, viene affermato in modo impositivo e ideologico che devono sottostare agli obblighi di legge e che è un loro dovere morale e sociale assumere lavoratori con disabilità.

L’azienda non è un nemico da sconfiggere, un oppositore da piegare, è soltanto un soggetto sociale a cui è imposto un obbligo complesso che non comprende e non sa gestire. Un dialogo fra sordi, durato un ventennio; un vociferare fra soggetti che parlano lingue diverse senza possibilità di comprendersi.

 

Poco tempo fa incontrai un’imprenditrice che voleva sapere come avrebbe potuto aiutare una sua dipendente, gravemente ammalata, priva di rapporti parentali e senza un sostegno economico. Mi disse che andava a trovarla e la sosteneva in tutti i modi possibili. Le proposi uno “scambio” con una lavoratrice di una cooperativa sociale. Potrei raccontare tanti aneddoti di questo tipo per dimostrare che quando ci si comprende nasce un rapporto positivo e si trovano forme di risposta a reciproci bisogni. Se vogliamo aiutare le persone disabili ad entrare nel mondo del lavoro, e restarci, dobbiamo imparare ad ascoltare l’azienda e partire dai suoi bisogni; solo rispondendo ai suoi bisogni riusciremo a far aprire le porte alla disabilità. L’esperienza mi ha dimostrato l’efficacia di questo approccio e mi ha dato la possibilità di riscontrare disponibilità impensate. Il titolare di una piccola azienda con l’obbligo di assumere un solo lavoratore disabile mi disse: “Ho continuato sulla strada che mi aveva insegnato. Ho assunto altre tre persone disabili che mi stanno dando ottime soddisfazioni”. Pensare che il primo non era stato un inserimento semplice, si trattava di un trentacinquenne autistico.

È dall’esperienza diretta e non dagli obblighi, dalla retorica sociale o dalle dissertazioni teoriche, che si può sviluppare una cultura veramente inclusiva. Solo dall’esperienza positiva e non dall’imposizione, nascono rapporti produttivi! La legge per il collocamento dei disabili si fonda su questi principi e questi valori; purtroppo, l’errata interpretazione e la cattiva interpretazione della norma hanno prodotto incomprensioni fra il mondo del lavoro e la disabilità, e ha spinto le imprese a ricercare tutti i modi possibili per non rispettare gli obblighi.

 

La legge 68/1999 stabilisce i comportamenti a cui si devono attenere gli uffici incaricati, le persone disabili e le aziende. Nel contempo, prevede sanzioni a carico di chi non rispetta le regole. Le somme recuperate con le sanzioni, vengono versate su un Fondo Regionale per l’occupazione dei disabili (art.14). Le risorse sono utilizzate per finanziare azioni volte a migliorare le condizioni di occupabilità delle persone disabili. Di conseguenza Il danno causato dal mancato rispetto delle norme, si ripercuote su chi è in cerca di lavoro, sulle aziende che rispettano la legge, sulle politiche per il lavoro e sul welfare in generale.

La legge (art. 3) stabilisce che le aziende con oltre 15 dipendenti debbano presentare il “Prospetto Informativo” (un modulo per dichiarare che l’impresa è soggetta agli obblighi di assunzione di personale disabile). In caso di ritardato invio, il Collocamento Disabili deve inoltrare un’apposita comunicazione all’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), affinché somministri la sanzione pari a € 631,20 a cui si aggiungono € 30,76 per ogni giorno di ritardo. Il controllo è delegato al Collocamento Disabili, che vista la carenza di personale e la disorganizzazione di molti uffici, spesso non provvede. E’ altresì noto che molte aziende, per dimenticanza o per scelta, spesso ritardano o non aggiornano il Prospetto Informativo.

La legge prevede inoltre che le aziende dai 15 ai 35 dipendenti debbano assumere un lavoratore disabile, due per le imprese dai 36 ai 50 e il 7% oltre i 50 dipendenti. In caso di inadempienza degli obblighi sono soggette ad una sanzione pari a € 153,20 al giorno per ogni disabile non assunto (la sanzione viene ridotta a un quarto, ossia € 38,30, trattandosi di una diffida). Purtroppo l’entità reale della sanzione e l’esiguità dei controlli avvantaggiano gli evasori, penalizzando di conseguenza le persone disabili e le aziende rispettose delle norme. Questo sta ad indicare che è importante disporre di una legge che imponga degli obblighi, ma altrettanto necessario è poter disporre di attenti controllori.

La norma prevede che il Collocamento Disabili comunichi mensilmente eventuali inadempienze all’Ispettorato; questo avviene raramente. Le sanzioni sono inoltre erogate in modo del tutto discrezionale, in quanto non c’è chiarezza normativa sui criteri di calcolo; infatti nel caso in cui un’azienda non avesse rispettato gli impegni declinati in una Convenzione ex art. 11, la sanzione può decorrere dal termine o dalla data di sottoscrizione della stessa o addirittura dall’entrata in obbligo (retroattivamente per cinque anni). A tutto questo si aggiunge il fatto che molti funzionari addetti ai controlli non hanno una adeguata preparazione in merito agli obblighi, alle procedure e agli istituti previsti dalla legge; e quindi preferiscono evitare gli accertamenti.

Le imprese al fine di poter programmare gli inserimenti ed individuare i lavoratori adeguati alle loro necessità, ricorrono allo strumento delle Convenzioni (art. 11). Queste convenzioni pur essendo uno strumento virtuoso, si trasformano spesso in un’ulteriore occasione di evasione. Non esiste infatti un adeguato monitoraggio da parte degli uffici preposti. Le aziende attendono quindi l’ultimo momento utile dalla Convenzione e spesso non assumono. Queste negligenze, a cui si aggiungono una serie di stereotipi e pregiudizi, rendono complesso il rapporto fra disabilità e mondo del lavoro. Il sistema dei servizi per il Collocamento Disabili del resto non fa nulla per cambiare la situazione, continua a considerare l’impresa oggetto di obbligo rafforzando così l’atteggiamento della maggior parte delle imprese, spingendole ad arrangiarsi, a evadere o a vivere in silenziosa attesa, con la speranza che nessuno le richiami al dovere. E’ anche vero che le aziende incontrano difficoltà nella ricerca della persona giusta da inserire e non conoscono le procedure e gli strumenti necessari. Spesso non sono nemmeno in grado di comprendere i propri bisogni in rapporto agli obblighi.

Ne consegue, che il ”Fondo Regionale” (art. 14) non è finanziato in gran parte dalle sanzioni, come spesso si crede, ma dagli esoneri (art. 5) I datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici che, per le  speciali  condizioni  della  loro attività, non possono occupare l’intera percentuale  dei  disabili,  possono, a domanda, essere parzialmente esonerati dall’obbligo dell’assunzione, alla condizione che versino al Fondo regionale per l’occupazione dei disabili, di cui all’articolo 14, un contributo esonerativo  (€ 30.64 al giorno per ogni unità non assunta). Non è quindi vero, come spesso si sente dire che le aziende preferiscono pagare le sanzioni anziché assumere i lavoratori disabili; le aziende preferiscono pagare l’esonero, o meglio ancora non pagare e non assumere, visto che non esistono adeguati controlli. Se scoperte, per loro è comunque conveniente pagare la sanzione in quanto nettamente inferiore ai costi di una assunzione fatta a tempo debito.

 

Gogol, nel romanzo “Anime morte”, rappresentò molto bene la burocrazia zarista dell’ottocento, e come fosse facile approfittarsene nel momento in cui si conoscevano le procedure: “Cicikov decise di comperare a prezzo irrisorio le “Anime morte”, ossia i servi della gleba deceduti, per i quali i nobili pagavano le tasse fino al nuovo censimento quinquennale. Cicikov con un minimo esborso li acquistava e li denunciava come vivi al fine di beneficiare di agevolazioni e finanziamenti. Si costruì cosi un ingente patrimonio”. Noi ci troviamo nelle stesse condizioni. Nel momento in cui il potenziale evasore comprende come funziona il sistema e come opera l’ufficio incaricato, può agire a proprio vantaggio, ignorando le disposizioni di legge.

 

Il fallimento delle politiche inclusive  è imputabile ad un insieme di contraddizioni non risolvibili con un semplice incremento delle risorse professionali ed economiche o come si pensa di fare in Lombardia attraverso la figura del Promotore 681. Gli uffici competenti necessitano di un radicale cambiamento organizzativo e culturale in grado di promuovere un rapporto con le imprese. Alle aziende servono più informazione, formazione, confronto, condivisione e soprattutto regole nazionali e regionali certe e uniformi.

 

Nella seconda parte il focus è su altri stakeholder di rilievo: i servizi di collocamento, le cooperative sociali, i sindacati e le associazioni.

  1. Cfr. l’Azione di sistema a carattere regionale – Allegato D alla DGR 843/2018.