Homelessness: conoscere per intervenire

Una ricerca sul territorio metropolitano torinese


La descrizione delle persone homeless non è sovrapponibile all’immagine stereotipata della persona che vive per strada o accede a strutture di bassa soglia; i profili si sono fortemente diversificati negli ultimi vent’anni, includendo individui di varia estrazione e condizione sociale. Da ultimo, la pandemia da SarsCov-2 ha reso ancora più evidenti questi cambiamenti, portando alla luce situazioni di persone che un tempo non erano neppure considerate a rischio e che a seguito della precarizzazione delle sfere di vita, a partire da quella lavorativa, sono entrate in forte disagio economico, sociale e abitativo.

 

Con la L. 56/2014 (cd. “riforma Delrio”), alle Città metropolitane sono state attribuite importanti funzioni di raccolta e elaborazioni dati (art. 1, c. 85) e di promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale del territorio (art. 1, c. 44). Per assolvere a dette funzioni, a partire dal 2017, la Città metropolitana di Torino ha promosso alcune ricerche volte ad approfondire il fenomeno dell’homelessness sul territorio metropolitano torinese, nella convinzione che il contrasto alla grave marginalità adulta rappresenti un tassello essenziale per il complessivo sviluppo socioeconomico del territorio. In questo articolo sintetizziamo i risultati della più recente di queste ricerche, svolta nella seconda metà del 2021 sui Comuni del territorio metropolitano torinese, ad esclusione del Capoluogo, da ricercatori del Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino in stretta collaborazione con funzionari della CmTO, Direttori e Direttrici dei Consorzi socioassistenziali, Responsabili di Area e Operatori/trici dei servizi sociali e del terzo settore.

 

Il contesto dell’indagine

Presentiamo qui una sintesi dei risultati di una recente indagine sull’homelessness che ha interessato gli oltre trecento Comuni afferenti alla Città metropolitana di Torino (Albano, Bianciardi, 2022). Essa costituisce il terzo step di un più ampio percorso di ricerca, iniziato nel 2017. In particolare, tra il 2017 e il 2018, si è proceduto alla mappatura sistematica delle strutture e dei servizi pubblici e di terzo settore dedicati al fenomeno della grave marginalità adulta, alla ricostruzione dei meccanismi di governance e, soprattutto, dei profili ricorrenti d’utenza dei servizi destinati a persone senza dimora (Bianciardi, 2019).

La ricostruzione dei profili è avvenuta raccogliendo informazioni da operatori e funzionari di enti gestori delle funzioni socioassistenziali; essa rappresenta un elemento importante, poiché il fenomeno ha da sempre caratteri di forte eterogeneità e mutevolezza tali da renderne difficile l’emersione nella sua totalità. Accanto a una parte altamente visibile alla società, composta in particolare dalle persone senza tetto, che vivono in strada, ve n’è un’altra numericamente più consistente, ma “nascosta”, costituita, ad esempio, da individui o nuclei che hanno casa, vestiario e alimentazione inadeguate, e che proprio su territori periferici sembrano costituire la popolazione prevalente (Bianciardi, Albano, 2022, in press).

Molti operatori dei servizi sociali, sociosanitari e delle organizzazioni di terzo settore conoscono tali situazioni per diretta esperienza personale e sono sensori di informazioni importanti per cogliere, seppur in modo non esaustivo, le variazioni qualitative e quantitative dei profili delle persone senza dimora.

La produzione di dati amministrativi (i cosiddetti process-produced data) affidabili e comparabili nel tempo e nello spazio è un aspetto importante da curare per chiunque – operatori, ricercatori sociali, policy makers – voglia conoscere il più a fondo possibile il fenomeno e mettere in atto politiche di contrasto alla povertà estrema, e possibilmente di prevenzione primaria. Non si tratta, solo di raccogliere sistematicamente informazioni anagrafiche o relative a procedure di erogazione di contributi economici o altre prestazioni, ma di arricchirle con informazioni sulle caratteristiche delle persone utenti dei servizi: salute, istruzione, relazioni familiari e amicali, occupazione (anche lavori precari), eventi significativi della loro biografia che hanno favorito lo scivolamento in condizioni di povertà e precarietà abitativa.

Il sistema informativo (SI)1 assume, quindi, un ruolo centrale nella progettazione e programmazione dei servizi, poiché consente, se adeguatamente strutturato con la collaborazione di tutti gli attori che esso coinvolge, di raccogliere, elaborare e far circolare utili informazioni sui cui basare i processi decisionali.

 

La metodologia

Questo terzo step d’indagine, pur nella sua indipendenza, si è posto in ideale continuità con quelli precedenti e, come quelli, ha integrato un approccio di tipo quantitativo con uno di tipo qualitativo: si è adottato, in altri termini, un mixed methods design (Torrioni, 2015) che ha integrato una prima parte di rilevazione attraverso uno strumento quantitativo – web survey2 – con una seconda nella quale, sono stati impiegati due strumenti qualitativi, interviste discorsive e focus group. Ciò ha permesso opportuni affondi qualitativi a partire da quanto emerso in una prima lettura dei dati quantitativi.

Nella convinzione che, nell’ambito specifico dei servizi socioassistenziali, la ricerca sia strumento teso alla effettiva trasformazione del contesto oggetto di indagine (Dellavalle, Bianciardi, 2021), ci si è orientati per una ricerca-azione partecipativa (partecipatory action research – RAP), nella quale è elemento imprescindibile (Albano, 2012) la stretta collaborazione di tutti gli attori coinvolti nel processo che è oggetto di ricerca e intervento, sin dalle prime fasi di formulazione della domanda cognitiva.

Il percorso ha, infatti, avuto avvio nell’aprile 2021, con una serie di incontri di partecipazione con policy makers e operatori dei servizi pubblici e delle organizzazioni di terzo settore presenti sui territori dei 18 enti gestori che riuniscono i 311 Comuni dell’area metropolitana torinese. Nel mese di giugno è poi stato diffuso il link per la compilazione della survey; seguendo una logica di diffusione sequenziale, si è fatto ricorso alle reti sociali di operatori/trici e responsabili dei servizi, pubblici e di terzo settore3; la websurvey si è chiusa il 30 settembre 2021. Da giugno a novembre 2021 sono inoltre state eseguite otto interviste in profondità a operatori/trici e responsabili di Servizi sociali di quattro territori campione (Pinerolo, Rivoli, Settimo Torinese e Chivasso). Alle interviste individuali è seguito, in dicembre, un focus group con operatori/trici di front office dei servizi pubblici e del terzo settore per ogni territorio campione.

 

Alcuni risultati significativi

I/le rispondenti prestano in maggioranza la loro attività in un servizio pubblico (62%) e nel 59% dei casi operano all’interno di un servizio sociale territoriale; seguono a distanza, in termini di numerosità, operatori di social housing/alloggi protetti o autogestiti (19%): quest’ultima forma di accoglienza risultava già nelle precedenti indagini una delle più diffuse, contraddicendo l’idea di un territorio metropolitano che si limita a interventi emergenziali (soprattutto attraverso dormitori) e indicando, invece, una propensione a co-costruire percorsi più strutturati e tesi all’empowerment della persona.

I profili professionali dei rispondenti sono variegati; vi è una netta preponderanza di assistenti sociali (47%), a cui seguono i volontari in organizzazioni appartenenti al terzo settore (17%) e gli educatori professionali (16%).

Per quanto riguarda nello specifico il sistema informativo, è interessante notare che nel 70% dei casi, all’interno dei servizi è presente un sistema informativo istituzionale: c’è, però da osservare che coloro che dichiarano la presenza di SI sono in ben il 91% operatori dei servizi pubblici, mentre coloro che dichiarano il contrario appartengono nella quasi totalità a enti di terzo settore.

Rispetto all’utilizzo del SI sono emersi dati interessanti sia dalla survey che dalle interviste e dal focus group: nell’80% dei casi il SI ha funzioni gestionali di archiviazione e recupero di informazioni sulle persone utenti; nel 68% dei casi viene utilizzato come base dati per erogazioni di prestazioni.

Emerge in particolare l’importanza e la soddisfazione degli operatori per il SI, resa più manifesta dalla pandemia; a tal proposito una assistente sociale afferma: “avere il SI ci ha proprio salvato; le agende erano in ufficio mentre il sistema informativo era accessibile a tutti noi da casa”.

A tale constatazione positiva però si aggiunge la consapevolezza di “non intuire le potenzialità del SI”: ciò è in gran parte dovuto sia alla scarsa interoperabilità – nel 53% dei casi il proprio SI non si integra con quello di altri servizi o di altri enti – sia a una logica progettuale di tipo top-down, dove agli operatori si chiede di “popolare” e “utilizzare” uno strumento progettato dall’alto; più volte, infatti, si sottolinea la fatica di dover ricostruire i dati, poiché “quello che è possibile tirare fuori non corrisponde esattamente con quello che ci chiedono altri enti”.

Elemento centrale della ricerca era capire come iniziare un percorso di condivisione delle informazioni riguardanti l’homelessness, per poter disporre a vari livelli di dati puntuali e aggiornati, (continuità dei flussi informativi) e comparabili sull’intero territorio metropolitano (definizione univoca e generalmente accettata di homelessness).

A tal proposito, nove operatori su dieci hanno dichiarato la possibilità di inserire all’interno del SI istituzionale i dati relativi a una persona utente in qualità di “senza dimora”; la criticità maggiore emerge rispetto alla stessa definizione di homeless: il 30% ha dichiarato che l’inserimento di una persona come “senza dimora” è frutto una valutazione del tutto personale dell’operatore e solo il 15% di far riferimento a definizioni presenti in letteratura, in particolare alla definizione Istat4.

 

Una parte dell’indagine era destinata a comprendere se vi fossero state trasformazioni significative rispetto ai profili individuati nella precedente indagine del 2018; durante quest’ultima si delinearono essenzialmente tre profili: A) persone senza dimora di lungo periodo, “in transito” sul territorio, profilo assimilabile alla cosiddetta primary homelessness (senza tetto e senza casa), raro sui territori metropolitani; B) persone in forte disagio abitativo, portatori di “fragilità pregresse” (salute mentale, dipendenza, fragilità familiari intergenerazionali), conosciute dai servizi e tendenzialmente in carico agli stessi, profilo preponderante; C) persone vita “tendenzialmente normale” e che a causa di un evento o una serie di eventi entrano in forte disagio economico e abitativo; tipico di tale profilo è l’attesa e/o la difficoltà a rivolgersi ai servizi che porta a “lento scivolamento verso il basso”. Proprio questi due ultimi profili (B e C), assimilabili alla secondary homelessness (coloro che hanno sistemazioni insicure e inadeguate) erano quelli maggiormente frequenti (74% dell’utenza).

Per gli operatori tali profili conservano tuttora una forte validità (75% dei rispondenti alla survey), anche se dal focus group emerge un aspetto ulteriore di complessità, segnatamente che i confini di tali condizioni sono sempre più sfumati, meno netti, e si parla di “fluidità” e di “facilità di scivolare da un profilo all’altro”.

A ciò, possiamo aggiungere che il quadro disegnato dagli operatori conferma ancora la grande eterogeneità che contraddistingue quest’area di fragilità: le persone homeless che si rivolgono ai servizi del territorio metropolitano torinese assomigliano, infatti, solo in parte al profilo disegnato dall’ultima rilevazione Istat del 2014 (Istat, 2015). Queste sono, in linea con l’indagine Istat, principalmente maschi e sopra i quaranta anni d’età; tuttavia, contrariamente a quanto emerge a livello nazionale, gli stranieri nell’area metropolitana torinese sono una minoranza: in più di otto casi su dieci, gli operatori affermano che tra le persone senza dimora in carico al servizio, gli stranieri sono meno del 50%5.

Rispetto, infine, all’aumento del numero senza dimora, possiamo mettere in evidenza che il 55% percepisce un aumento rispetto a quanto rilevato tre anni fa. A tal proposito, il lockdown [9 marzo 2020 – 18 maggio 2020] sembra aver in parte influito: il 66% percepisce un aumento delle persone senza dimora che si sono rivolte al servizio, durante detto periodo.

 

Conclusioni

Lo sviluppo di adeguati sistemi informativi, non ideati secondo l’ottica del consulente esterno e calati dall’alto dai vertici dell’organizzazione, bensì costruiti con la partecipazione degli operatori della rete dei servizi, è elemento nodale per lo sviluppo delle policies di contrasto alla povertà. Ciò vale in generale, ma appare ancora più vero alla luce della grande eterogeneità e dell’indefinitezza e mutevolezza di contorno che assume un’area come quella dell’homelessness.

Caratteristiche che tali sistemi devono avere, per evitare che si trasformino in meri “miti razionali”, sono la continuità delle rilevazioni, un’architettura multilivello che soddisfi bisogni informativi operativi, gestionali, programmatori e pianificatori, non ridondanza e completezza, interoperabilità tra varie piattaforme. Partendo da tali premesse, la ricerca intervento che abbiamo brevemente illustrato si è mossa per esplorare come avviene attualmente la raccolta di informazioni nei servizi del territorio metropolitano, pubblici e privati, a cui si rivolgono le persone senza dimora, quali sono i principali problemi riscontrati dagli operatori circa i dispositivi e le reti informatiche e telematiche messe a loro disposizione, la funzionalità dei software che devono usare, l’interoperabilità con sistemi informativi di altre organizzazioni, la compatibilità della raccolta in modo completo e corretto di informazioni con l’ottemperanza delle esigenze quotidiane.

Gli operatori dei servizi coinvolti nel percorso si sono mostrati collaborativi in quanto interessati e pienamente consapevoli dell’importanza che i sistemi informativi giocano per la programmazione e la valutazione in questo come in altri ambiti di intervento al fine di dare risposta ai bisogni, manifesti e latenti, presenti nel territorio.

L’informazione e la condivisione della stessa ricoprono, quindi, un ruolo fondamentale e gli operatori si sono dimostrati propensi a sperimentare percorsi orientati in tal senso, divenendo essi stessi, con il loro bagaglio di conoscenza e competenza professionale, importanti “strumenti” (Bianciardi, Delfino, 2021) non solo nell’attuazione ma anche nel disegno delle policies.

  1. “È utile indicare con SI l’insieme delle modalità di produzione e gestione delle informazioni, perché aiuta a comprendere come la sua efficacia sia l’esito di relazioni tra più elementi: i soggetti che producono e usano informazioni, i rapporti che li legano, la natura e la qualità delle informazioni, gli strumenti con i quali queste vengono prodotte e veicolate. L’attenzione al SI non può pertanto esaurirsi nell’organizzare la ‘raccolta dati’, ma implica una riflessione sull’architettura dell’organizzazione e sulle relazioni tra i suoi attori” (Motta, 2013: 660-1).
  2. Un questionario somministrato attraverso piattaforma web e composto da 34 domande, suddivisi in 5 sezioni: Anagrafica; Descrizione del sistema informativo istituzionale; Descrizione del sistema informativo informale; Valutazione del sistema informativo istituzionale; Le persone senza dimora in carico al suo Servizio.
  3. Ciò ha determinato una web survey con campionamento snowball (Lombi, 2015: 31-2).
  4. Secondo l’ISTAT una persona può essere considerata senza dimora “quando versa in uno stato di povertà materiale e immateriale, connotato da forte disagio abitativo, cioè dall’impossibilità e/o incapacità di provvedere autonomamente al reperimento e al mantenimento di una abitazione in senso proprio” (Istat, 2014: 9).
  5. Non si poteva mediante una web survey pensare di poter chiedere stime precise agli operatori su un fenomeno così articolato e mutevole, per cui ci siamo avvalsi di raccogliere indicazioni di massima attorno a soglie tipo quella citata; un esempio di domanda del questionario era “Secondo la sua percezione, in %, tra i senza dimora in carico al Suo Servizio, quanti sono gli stranieri? (risposte: “meno del 50%/più del 50%)”.