I beneficiari delle misure di sostegno al reddito
Un’analisi sperimentale tra il 2018 e il 2020
Tiberio DamianiCarlo De GregorioAnnelisa Giordano | 26 Ottobre 2023
Come si caratterizzano le traiettorie lavorative degli individui che hanno beneficiato del Reddito di Cittadinanza e delle ulteriori analoghe misure di sostegno (Reddito di Inclusione e Reddito di Emergenza) prima, durante e dopo l’accesso al beneficio? Ci sono evidenze di un circuito vizioso che collega il livello di istruzione, la condizione lavorativa, il sistema produttivo e il disagio economico che ha indotto la richiesta di accesso ai benefici? E come si collocano i beneficiari di queste misure nella porzione non regolare del mercato del lavoro?
Sono quesiti, fra i tanti possibili, che provano a collegare la dimensione individuale del disagio economico al tessuto produttivo da cui scaturisce e nel quale, al contempo, trova terreno fertile. L’analisi sperimentale che abbiamo condotto sulla platea dei beneficiari fra il 2018 e il 20201 ha in effetti un duplice intento: oltre a cercare di fornire elementi descrittivi utili ad acquisire nuove conoscenze sulla natura dei beneficiari delle misure di sostegno, vuole soprattutto mostrare sia le potenzialità delle fonti statistiche di cui la statistica pubblica si è dotata in questi anni sia i notevoli vantaggi analitici che scaturiscono dal loro utilizzo integrato e dalle possibilità di collegamento che ne derivano. L’utilizzo integrato dei prodotti statistici dell’Istat, ancorché sperimentale, si dimostra a nostro avviso piuttosto promettente sia perché consente quantificazioni decisamente dettagliate e affidabili sia perché permette di collegare aspetti (come per esempio quelli etichettati solitamente come “lato domanda” e “lato offerta”) che tradizionalmente tendono ad essere analizzati separatamente. Il livello di maturazione dei registri statistici (prodotti esaustivi, basati sulla stima di variabili statistiche a partire prevalentemente dall’utilizzo delle fonti amministrative) consente in effetti di collegare gli individui alle loro strutture familiari e ai loro rapporti con il sistema produttivo: l’occupazione regolare, i redditi (in particolare da lavoro e trasferimenti), le caratteristiche dei loro datori di lavoro (settori, struttura, performance), con la possibilità di approfondire il dettaglio territoriale e di sfruttare il carattere longitudinale delle basi informative.
Fra gli aspetti che a nostro avviso meritano attenzione vi sono appunto le esperienze lavorative dei beneficiari, le quali sono decisamente caratterizzate. Si guardi alla concentrazione settoriale: agricoltura, ristorazione, attività ricettive, servizi di pulizia, logistica, lavoro interinale e per la sottopopolazione maschile anche le filiere meno pregiate dei settori delle costruzioni, mentre per quella femminile anche i servizi domestici e quelli alla persona. Si tratta di percorsi lavorativi costituiti in prevalenza da rapporti di lavoro non continuativi e da coperture contrattuali non sufficienti a garantire redditi regolari adeguati. E non deve sfuggire il fatto che quegli stessi settori economici, come pure le professioni svolte dai beneficiari, sono fortemente contraddistinti dalla presenza di lavoro sommerso, come l’Istat certifica da molto tempo2: non è un caso dunque che i tassi di irregolarità registrati dalla sottopopolazione dei beneficiari siano molto superiori alla media. La popolazione dei beneficiari del resto è anche ben caratterizzata dal punto di vista della struttura socio-demografica, della condizione lavorativa e sotto il profilo reddituale. È una popolazione dove è maggioritaria la presenza di residenti nel Mezzogiorno, relativamente giovane e con molti minori, di coppie con figli o monogenitori (in particolare donne), in possesso di titoli di studio modesti; con molti individui che attraversano periodi di disoccupazione e inattività grigia3, e per i quali la ricerca di lavoro è ancora affidata in netta prevalenza a reti informali, con una rilevanza dei Centri per l’Impiego che rimane insufficiente anche dopo il ricorso ai sostegni.
Entrando nel merito con qualche numero, nel triennio 2018-2020 l’impegno di spesa complessivo è stato di 13,2 miliardi di euro e gli individui beneficiari sono stati poco più di 4,5 milioni, afferenti a 1,7 milioni di famiglie di fatto. Gli individui coinvolti continuativamente nelle misure in tutti e tre gli anni sono stati 1,25 milioni, e a questi è stato destinato circa il 50% delle erogazioni complessive del triennio e il 40% delle erogazioni del solo 2020. Dei 4,2 milioni di individui coinvolti nel 2020 nelle erogazioni, ben 2,8 milioni risiedono nel Mezzogiorno (circa due terzi del totale dunque). Prevalgono le famiglie numerose – oltre il 30% dei nuclei è composto da più di tre componenti, a fronte di una famiglia su cinque nell’intera popolazione – e quelle costituite da coppie con figli (nel 2020 quasi il 60% del totale) e soprattutto i nuclei con monogenitore donna, che raccolgono poco meno del 20% dei beneficiari, con un’incidenza più che doppia rispetto a quella registrata sul totale della popolazione. Decisamente meno rappresentati sono i nuclei senza figli e i nuclei monocomponente. Oltre un quinto dei beneficiari sono rappresentati da giovani al di sotto dei 15 anni di età – che nel 2020 ammontano a oltre 900 mila – e nel Mezzogiorno un quarto dei bambini fino a cinque anni fa parte di famiglie beneficiarie. Il livello di istruzione è complessivamente piuttosto basso: ben il 70% dei beneficiari del 2020 in età di lavoro non è andato oltre la terza media. I percettori stranieri nel 2020 rappresentano più del 20% dei beneficiari, un’incidenza più che doppia rispetto al totale della popolazione residente e una dinamica crescente dovuta essenzialmente alla componente extra-Ue.
La condizione lavorativa dei beneficiari mostra fragilità e forti connotati di disagio. Da un lato i percettori hanno tassi di occupazione e di attività decisamente bassi, soprattutto nell’anno di primo accesso al sussidio. Dall’altro emerge un’incidenza molto elevata di occupazioni a bassa intensità lavorativa, sia perché saltuarie (contratti a tempo determinato, in particolare per gli uomini) sia per un minore impegno orario (contratti part-time, in particolare per le donne): questa ridotta intensità genera redditi da lavoro regolare decisamente modesti.
In questo quadro di occupazione saltuaria, i beneficiari quando sono disoccupati si affidano per la ricerca di lavoro a canali informali, privilegiando la propria rete di conoscenze all’invio di CV o all’utilizzo di internet, forse anche a causa di forme di analfabetismo digitale; negli anni oggetto di analisi non è stata riposta fiducia neppure nei Centri per l’Impiego, cui è ricorso al più il 30% dei beneficiari anche negli anni precedenti alla pandemia, e nonostante per molti di essi fosse prevista dalla normativa la stipula del Patto per il lavoro. D’altra parte, l’incidenza dei percettori di indennità di disoccupazione nel quinquennio precedente è relativamente bassa (circa 6 punti percentuali in meno rispetto a quella della popolazione in età di lavoro), circostanza questa che fa ipotizzare che i beneficiari provengano da periodi di disoccupazione prolungati o che le precedenti attività lavorative non consentano l’accesso alle indennità.
La vulnerabilità lavorativa trova un chiaro corrispettivo dal punto di vista reddituale: nel 2019 la metà delle famiglie beneficiarie ha redditi disponibili equivalenti emersi annuali inferiori ai 5 mila euro, tre quarti si collocano sotto gli 8.500 euro e il 92% sotto i 12 mila euro. Rispetto al resto della popolazione la distribuzione del reddito familiare equivalente dei beneficiari è molto raccolta attorno al valore modale, con una coda destra che si esaurisce rapidamente. I beneficiari si collocano perciò in prevalenza nei ventili più bassi della distribuzione del reddito e questa evidenza emerge con maggiore forza nel Mezzogiorno e nelle famiglie dove sono presenti minori, cittadini stranieri, individui meno scolarizzati, nelle famiglie con monogenitore donna e nel caso delle coppie con figli.
Date le caratteristiche reddituali dei beneficiari, non stupisce che i benefici erogati abbiano avuto effetti apprezzabili sulle loro condizioni reddituali. In mediana le misure di sostegno messe in campo nel 2020 hanno accresciuto in maniera significativa (48% circa) il reddito disponibile equivalente delle famiglie beneficiarie. Per più di un terzo di esse l’impatto non ha superato il 20%, mentre all’opposto per oltre un quarto di esse il sussidio ha superato il valore del reddito disponibile. A ulteriore conferma degli squilibri territoriali, nelle regioni del Mezzogiorno l’impatto delle misure di sostegno è stato di dieci punti percentuali superiore alla media. Nelle famiglie beneficiarie con soli occupati non regolari naturalmente le misure di sostegno hanno avuto un ruolo molto rilevante nel sostenere i redditi familiari emersi, con un impatto crescente tra il 2018 e il 2020, compreso tra il 41% e il 48%.
La scarsa qualità dell’occupazione dei beneficiari è confermata anche dagli elevatissimi tassi di irregolarità, i quali si attestano su livelli tripli rispetto a quelli calcolati sul resto degli occupati. Più di un occupato non regolare su otto appartiene a famiglie beneficiarie delle misure di sostegno. I beneficiari con occupazioni non regolari sono maggiormente rappresentati da giovani di età inferiore ai 25 anni, cittadini stranieri comunitari, donne e residenti nel Mezzogiorno: dunque categorie di lavoratori che in generale, anche tra gli occupati regolari, incontrano maggiori difficoltà di accesso e permanenza stabile sul mercato del lavoro e che meno frequentemente rispetto agli altri segmenti ricoprono posizioni lavorative di pregio. È però importante sottolineare che nel 2019 – con l’introduzione del Reddito di Cittadinanza, e il conseguente ampliamento della platea dei beneficiari e aumento sia della continuità sia dell’entità degli importi unitari erogati – si è registrata una riduzione apprezzabile della componente non regolare dell’occupazione e che tale riduzione è quasi del tutto riconducibile alla platea dei beneficiari. Questa evidenza sembra dunque sovvertire la vulgata che dipinge i beneficiari come individui che optano per attività lavorative sommerse al fine di non perdere il diritto al beneficio, mentre suggerisce l’ipotesi che il Reddito di Cittadinanza e le altre analoghe misure di sostegno abbiano rappresentato occasioni di emancipazione dalla condizione di irregolarità lavorativa. È evidente che questo punto, che è indubbiamente cruciale nella valutazione delle misure (come molti altri del resto), necessita di ulteriori approfondimenti e di analisi su più annualità.
- Damiani T., De Gregorio C., Giordano A. 2023, I beneficiari delle nuove misure di sostegno al reddito tra il 2018 e il 2020. Istat working paper n. 4.
- Si vedano la recente Statistica report L’economia non osservata nei conti nazionali. Anni 2018-2021 e la sezione della piattaforma di diffusione I.stat dedicata all’occupazione non regolare (Conti nazionali annuali).
- Gli inattivi grigi sono gli individui che nella settimana di riferimento dell’intervista sono non occupati e, pur desiderando lavorare, non cercano o non sono disponibili immediatamente al lavoro.