I cinque quesiti del referendum 12 giugno 2022


La Redazione di Welforum.it | 10 Giugno 2022

Questo referendum è del tipo “abrogativo” (articolo 75 della Costituzione). Il Comitato che lo ha proposto e che per questo ha raccolto oltre 500 mila firme, propone di abrogare (cancellare) cinque testi legislativi, cioè leggi o singole frasi di leggi oggi in vigore.

Il Sì significa abrogare.

 

Sarà valido?

Il referendum sarà valido se avranno votato almeno metà di quei cittadini che hanno diritto di voto (metà “dei quali”, in latino quorum: così si dice “raggiungere il quorum”).

Se si supera il quorum si guarda all’esito del voto su ciascuno dei 5 quesiti: se sul primo quesito prevalgono i Sì, le cancellazioni richieste dal quesito saranno immediate. Se si supera il quorum e prevalgono i No, risulterà chiara la volontà popolare di non cancellare quella norma.

E così per ciascuno degli altri 4 quesiti.

 

Se non si raggiunge il quorum non ci sarà nessun effetto legale. Tuttavia, un effetto politico ci sarà. Il basso afflusso potrà essere inteso come un messaggio: quesiti così complessi li dovete indirizzare al Parlamento, che è stato eletto apposta per prendere decisioni anche difficili, e non al popolo che può dare solo indicazioni semplici rispondendo a domande comprensibili facilmente. E queste non lo sono proprio.

Inoltre, se i Sì saranno molto più numerosi dei No, pur non essendo in numero sufficiente per dare validità al referendum, se ne potrà ricavare un’indicazione favorevole alle intenzioni di chi ha proposto il referendum, e un’indicazione sfavorevole nel caso contrario.

 

Riforma della giustizia

I quesiti riguardano la giustizia.

Il referendum si tiene proprio mentre il Governo sta disponendo una riforma del sistema giudiziario. Il Parlamento ha approvato, negli ultimi mesi del 2021, due leggi che danno delega al Governo per riformare la giustizia. Una per la giustizia penale, che riguarda i reati che recano danni particolarmente gravi ai cittadini e alla società, come ad esempio gli omicidi e le violenze in genere. L’altra per la giustizia civile, che riguarda le controversie in materia di contratti, di commercio, di lavoro, di famiglia altre.

 

Il Governo sta ultimando la preparazione di “decreti legislativi”: norme che avranno valore di legge in base alla delega ricevuta, e che devono attuare in dettaglio le indicazioni generali date dal Parlamento nel votare la delega. Le bozze di questi decreti sono state elaborate e lungamente negoziate dalla ministra Cartabia con le parti politiche e sono comunemente denominate “riforma Cartabia”.

Alcuni dei 5 quesiti su cui si vota riguardano punti che sono trattati nella riforma Cartabia. Dell’esito del referendum il Governo terrà conto: sarà obbligato se il referendum avrà un esito valido (superato il quorum), mentre se l’esito non sarà valido il Governo potrà tener conto del messaggio espresso dagli elettori ma non sarà obbligato.

 

1. Sull’elezione del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM)

Il CSM è l’organo composto da 27 membri che governa la magistratura italiana secondo il dettato della Costituzione: esso decide le assunzioni dei magistrati, le loro assegnazioni e i loro trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei loro riguardi. È un organo di “autogoverno”, composto per la maggior parte da magistrati eletti dai magistrati stessi, a tutela della loro indipendenza. Una parte minore è eletta dal Parlamento, che sceglie tra avvocati e professori universitari di materie giuridiche, per introdurre qualche voce esterna alla categoria.

Il quesito riguarda il sistema che deve adottare la magistratura per eleggere i suoi 18 membri. Si vorrebbe abrogare la legge del 1958 che impone al magistrato che vuole candidarsi al CSM di essere presentato da almeno 25 colleghi. Di fatto questo obbligo ha prodotto una prassi secondo cui ciascuna candidatura è organizzata e sostenuta da una delle organizzazioni (dette “correnti”, specie di partiti) esistenti nella magistratura. Sembra che sia molto difficile per un magistrato non appoggiarsi a una corrente.

Ciò che spinge a cancellare la norma è il fatto, ampiamente riconosciuto, che queste “correnti” sono diventate troppo potenti e hanno spesso lo scopo non di promuovere idee ma di sostenere i loro membri. Così i capi delle correnti formano una specie di oligarchia e non emergono i migliori ma i più appoggiati. Si sono verificati anche episodi scandalosi di accordi tra correnti della magistratura per spartirsi le cariche, di contatti con esponenti politici e scambi di favori.

Se vince il Sì, si torna al sistema precedente e qualsiasi magistrato potrà candidarsi senza raccolta di firme. Il potere delle correnti dovrebbe ridursi. Certo, questo cambiamento da solo non farà miracoli. Recentemente il vicepresidente del CSM ha dichiarato “Quando un veleno ha circolato in profondità e per troppi anni, smaltirlo richiede pazienza e fiducia”.

La riforma Cartabia contiene un sistema di elezione del CSM senza l’obbligo delle 25 firme. Un Sì al referendum sarebbe un incoraggiamento ad approvare questa parte della riforma. Se il Governo vive e prosegue nel suo lavoro, l’incoraggiamento proveniente dal referendum aiuterebbe, ma farebbe comunque poca differenza. Se invece il Governo e la sua riforma dovessero cadere, allora l’esito del referendum farebbe una grande differenza sul punto in questione.

Ma se il Governo cadesse ci sarebbero grossi guai in molti altri campi. Incrociamo le dita.

 

2. Sulla custodia cautelare o carcerazione preventiva

Oggi l’ordinamento prevede la possibilità che il magistrato faccia incarcerare un indagato, prima che si sia arrivati al giudizio, se ci sono “gravi indizi di colpevolezza” e se c’è pericolo che fugga o che ripeta il reato o che alteri le prove.

Nessuno propone di abolire questa possibilità. L’obiettivo del quesito è quello di limitarne l’uso, che è divenuto eccessivo: quasi un terzo della popolazione carceraria sta in carcerazione preventiva, non avendo ancora avuto un processo. Una soluzione corretta sarebbe quella di rendere più veloce il lavoro della magistratura. A questo mira la riforma Cartabia.

Il referendum, essendo abrogativo, può solo togliere qualcosa, e toglierebbe una delle motivazioni per la carcerazione preventiva: il pericolo di reiterazione (ripetizione) del reato. Ci sarà stato un uso eccessivo di questa motivazione come di altre, ma in alcuni casi è una motivazione giustificata.

 

3. Sulla separazione delle funzioni tra pubblici ministeri dell’accusa e magistrati che giudicano

Si tratta qui dei magistrati che si occupano di norme del diritto penale. In questo campo un magistrato può svolgere la funzione di “pubblico ministero (PM)” indagando sul presunto reato, raccogliendo prove, interrogando accusato e testimoni, formulando infine l’accusa; oppure può svolgere la funzione di giudicare, dopo aver messo a confronto il PM con l’avvocato difensore dell’imputato.

Le due funzioni sono molto diverse e un magistrato che svolge l’una non può allo stesso tempo svolgere l’altra, neanche in un diverso processo. Questa è considerata una garanzia per l’imputato: non essere giudicato da un magistrato abituato ad accusare, e che possa aver svolto la parte dell’accusatore in un processo simile. Non vedere troppa familiarità tra il suo accusatore e il suo giudice.

Oggi un magistrato può passare da una funzione all’altra fino a 4 volte nella sua carriera. Quindi molti osservano che oggi quella garanzia possa facilmente venir meno.

Il quesito tende a cancellare questa possibilità: se vince il Sì, nessun passaggio sarà più possibile: il magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera. La riforma Cartabia prevede di consentire ancora il passaggio, ma una volta sola nella carriera: una soluzione di compromesso tra garanzia per l’imputato e libertà per il magistrato.

 

4. Sui provvedimenti per combattere la corruzione nell’amministrazione pubblica

Il quesito propone di abrogare (cancellare) il decreto legislativo (detto comunemente legge Severino) adottato nel 2012 dal governo Monti nel quale l’avvocato Paola Severino era ministro della Giustizia. Quel decreto fu uno degli atti per attuare una legge più ampia, che il Parlamento aveva approvato per contrastare la corruzione nei pubblici uffici.

Il decreto riguarda il caso di condanna per alcuni reati. L’amministratore pubblico (sindaco o altro) che sia condannato viene sospeso o decade dalla carica. Il cittadino che sia condannato non si può candidare alle elezioni.

Il problema attuale è che in molti casi, soprattutto locali, un amministratore viene sospeso dalla carica dopo una sentenza di primo grado che poi, spesso dopo parecchi anni, viene annullata in appello. Così si ha non solo la condanna di un innocente ma anche una carriera politica, a volte promettente, distrutta. È opinione diffusa che sia opportuno evitare questo effetto automatico o ridurlo ai casi più gravi.

Il Sì farebbe cadere l’intero provvedimento, che è stato ritenuto per gran parte opportuno. Modificarlo non è possibile per via di referendum abrogativo: dovrebbe farlo il Parlamento. La riforma Cartabia non tocca il punto. Potrebbe ridurre il danno se riuscisse a velocizzare i processi.

5. Sulla valutazione dei magistrati

Ogni anno il dipendente pubblico viene valutato, con effetti sulla carriera e talvolta anche su parte della retribuzione. Questa innovazione è stata applicata generalmente male: giudizi troppo spesso tutti positivi al livello massimo. Lo stesso vale per i magistrati. La valutazione dei magistrati è operata dal CSM che decide sulla base di valutazioni fatte anche dai Consigli giudiziari, organismi territoriali composti da magistrati, avvocati, professori di materie giuridiche.

C’è una norma che attribuisce questo specifico diritto di voto nei Consigli ai soli consiglieri che sono magistrati, rendendo la valutazione completamente interna alla magistratura. Il Sì cancellerebbe quella norma, estendendo ai consiglieri non magistrati (“laici”) il diritto di voto sulla valutazione dei magistrati stessi. La riforma Cartabia prevede una delega al governo per cambiare questa norma estendendo il voto ai consiglieri avvocati: quindi va nella direzione del Sì ma in modo più parziale e indiretto, quindi incerto.