Welforum.it in una recente segnalazione ha anticipato un mio intervento sul tema relativo ai confini del Terzo settore, riflessione che, soprattutto, riguarda la sfera discrezionale di azione della pubblica amministrazione.
Essa è investita di una responsabilità particolarmente rilevante, in specie, in questo momento storico in cui l’intervento pubblico è invocato al fine di organizzare e sostenere le risposte alle fasce di popolazione maggiormente colpite dalla pandemia.
In questo contesto, si può ben comprendere come la pubblica amministrazione, in forza dei principi costituzionali di non discriminazione, di parità di trattamento e di buon andamento dell’attività amministrativa, solo per citarne alcuni, è chiamata in modo sempre più pressante ad individuare i percorsi e i metodi più adeguati a realizzare finalità di interesse generale attraverso il coinvolgimento di una ampia gamma di soggetti giuridici non profit.
È, allora, in quest’ottica, che i singoli enti pubblici, in particolare locali, possono dotarsi di appositi regolamenti (cfr. il recentissimo esempio del Comune di Bologna, al quale verrà dedicato ampio spazio in un successivo numero di Welforum) per disciplinare i rapporti con gli ETS e con le organizzazioni non profit in generale.
Invero, mentre il Codice del Terzo settore stabilisce specifici istituti giuridici di natura cooperativa riservati ai soli enti che risultano iscritti al Registro unico nazionale del Terzo settore, gli enti locali si trovano e si troveranno nella condizione di rapportarsi anche con enti che nel Runts non si iscrivono.
Da ciò discende la necessità di comprendere i confini giuridici delle organizzazioni non lucrative, affinché sia possibile comprenderne le caratteristiche e le potenzialità di partnership con le pubbliche amministrazioni.
Al fine di comprendere il perimetro di azione delle organizzazioni non profit è necessario richiamare, seppure brevemente, la tradizionale distinzione tra questa tipologia giuridica e le imprese lucrative.
Queste ultime sono facilmente identificabili in quanto gli azionisti ovvero soci perseguono lo scopo di ricavare un utile dai loro investimenti. Per contro, le organizzazioni non profit sono da sempre definite, sia a livello internazionale sia a livello nazionale, dal vincolo alla non distribuzione degli utili. Esso si sostanzia nel divieto per gli associati, per i membri degli organi direttivi e per gli altri soggetti coinvolti nell’organizzazione di appropriarsi degli utili eventualmente conseguiti (divieto del c.d. lucro soggettivo), che spesso è stato confuso e sovrapposto con l’assenza di economicità o imprenditorialità degli enti non profit.
Tuttavia, negli ultimi decenni, la su richiamata distinzione tra imprese for profit ed organizzazioni non profit si è progressivamente attenuata, facendo venire meno, in particolare, la capacità “identitaria” del vincolo alla non distribuzione degli utili nelle organizzazioni non profit e la causa lucrativa nelle società di capitali.
In questa prospettiva, infatti, da un lato, si è assistito al c.d. tramonto dello scopo lucrativo nelle società commerciali, poiché lo schema societario è stato (ed è utilizzato) per conseguire scopi che non sono necessariamente lucrativi (si pensi alle società mutualistiche e a quelle consortili). Dall’altro, le organizzazioni non profit hanno progressivamente sviluppato una vocazione imprenditoriale e commerciale, ritenuta maggiormente efficace ed efficiente per il raggiungimento delle finalità di interesse generale che esse sono chiamate a realizzare.
È dunque necessario introdurre altri elementi distintivi che sappiano cogliere in termini più moderni le differenze tra diverse tipologie organizzative. In quest’ottica, la Riforma del Terzo settore ha inteso affidare, coerentemente con la prassi statutaria di molte associazioni e in linea con alcune leggi speciali precedenti, alle finalità perseguite dagli enti del terzo settore il compito di distinguere queste formule organizzative da altre.
Ne consegue che un’organizzazione non profit che intenda iscriversi al Runts non solo deve dichiarare espressamente che nella propria attività istituzionale non intende perseguire alcuno scopo lucrativo, ma soprattutto che intende perseguire, nello svolgimento delle proprie attività di interesse generale, una finalità civica, solidaristica o di utilità sociale.
In questa prospettiva, il Codice del Terzo settore ha operato una scelta di campo innovativa: ha ritenuto di combinare finalità e attività specifiche, identificando queste ultime in un elenco “chiuso” contenuto nell’art. 5 del d. lgs. n. 117/2017, che rappresenta il “campo da gioco” su cui tutti gli ETS sono chiamati a perseguire le loro finalità statutarie.
Nell’ambito di una definizione unitaria di ETS, obiettivo dichiarato dal legislatore della riforma, il CTS, in considerazione della “storia” e del radicamento di alcune tipologie giuridiche nell’esperienza regionale, ha identificato alcune categorie speciali di ETS, quali le OdV e le APS.
Queste ultime, in ragione delle loro caratteristiche giuridiche e organizzative, risultano maggiormente “preferite” ad altre per svolgere talune delle attività di cui all’art. 5. Da ciò discendono le previsioni di cui all’art. 56 e 57 del Codice. Le OdV e nelle APS sono individuate quali unici ETS ammessi a stipulare convenzioni con gli enti pubblici, rispettivamente, per lo svolgimento di attività o servizi sociali di interesse generale (art. 56) e di trasporto sanitario di emergenza e urgenza (art. 57).
Le ragioni di questa “corsia preferenziale” riservata alle Odv e alle APS vanno ricercate nella gratuità delle prestazioni rese dai volontari, che costituiscono l’ossatura delle associazioni in parola, unitamente all’assenza di scopo di lucro che caratterizza le medesime associazioni. Gratuità e non lucratività che risultano strettamente collegate con i doveri di solidarietà espressi nella Costituzione, che nel caso delle associazioni di volontariato e di promozione sociale è presupposto fondante la loro realizzazione di finalità di interesse collettivo.
Le caratteristiche sopra richiamate dunque sono alla base della preferenza accordata dal CTS alle OdV e alle APS. Tuttavia, è necessario collocare detta preferenza in un contesto evolutivo che potrebbe creare alcuni cortocircuiti rispetto alla previsione normativa. Si pensi, per esempio, ai seguenti aspetti, che brevemente verranno qui analizzati:
- la natura delle attività svolte;
- le possibili analogie tra tipologie giuridiche diverse;
- gli enti pubblici si troveranno a confrontarsi anche con organizzazioni non profit che non decideranno di iscriversi al Runts;
- la partecipazione alla compagine associativa di altri enti non profit e della P.A.
-
La natura delle attività svolte
Sia le convenzioni ex art. 56 sia quelle ex art. 57 descrivono attività che, sebbene affidate alle OdV e alle APS, intese come le formule organizzative più “leggere” rispetto ad altri enti non profit (si pensi alle fondazioni) sono spesso definite da un elevato grado di complessità organizzativa e richiedono, non di rado, anche l’impiego di personale retribuito, così come peraltro confermato dal CTS. In quest’ottica, deve leggersi la previsione contenuta nell’art. 56 che impone alla P.A. sia di motivare le ragioni della scelta di ricorrere alle convenzioni rispetto al ricorso al mercato sia di svolgere un confronto comparativo tra le diverse associazioni qualora ciò si renda necessario.
Benché non si tratti di una comparazione di natura concorrenziale, ossia basata su elementi economici, bensì qualitativi e di capacità di intervento, rimane ferma la necessità per la P.A. di individuare un soggetto con il quale procedere al convenzionamento diretto.
Se, poi, si prende in considerazione l’attività dedotta nell’art. 57 CTS, è noto che siamo di fronte ad un’attività complessa che integra un diritto fondamentale dei cittadini (art. 38 Cost.: diritto alla salute), che sottende molteplici responsabilità, civile, amministrativa e finanche penale, come alcuni casi hanno purtroppo già dimostrato in questi ultimi anni.
-
Le possibili analogie tra tipologie giuridiche diverse
Anche con riferimento all’attività svolta, è possibile richiamare il secondo aspetto sopra delineato, ossia quello relativo alle possibili similitudini tra forme giuridiche diverse, come nel caso di OdV e di altre tipologie giuridiche, associazioni ovvero fondazioni non OdV, ma che possono avere acquisito lo status fiscale di ONLUS, riconosciuto dall’Agenzia delle Entrate in quanto richiesto ovvero perché la forma giuridica ne ha diritto ex lege (cfr. cooperative sociali).
La presenza di taluni elementi comuni nelle diverse formule giuridiche (si pensi ai volontari, all’assenza di scopo di lucro, al perseguimento di finalità di interesse generale) possono aver indotto il legislatore ad inserire nell’art. 57 la locuzione “in via prioritaria”. E ciò al fine di non escludere che le aziende sanitarie locali ovvero le Regioni, nel caso specifico del trasporto sanitario di emergenza ed urgenza, non solo potessero stabilire rapporti convenzionali anche con altri soggetti non profit ma anche ricorrere alle procedure ad evidenza pubblica per individuare l’operatore economico cui affidare quel servizio (id est, le cooperative sociali).
-
Gli enti pubblici si troveranno a confrontarsi anche con organizzazioni non profit che non decideranno di iscriversi al Runts
Quanto sopra richiamato risulterebbe coerente con la presenza di soggetti giuridici che, sebbene definiti dalle medesime caratteristiche e profili degli ETS di diritto speciale, non risultano iscritti al Runts. Cionondimeno, le organizzazioni non profit che non risulteranno iscritte nel Runts chiederanno di partecipare a percorsi di convenzionamento ovvero di co-progettazione con gli enti locali ovvero da questi ultimi potrebbero anche essere invitati ad elaborare proposte progettuali. Da ciò consegue dunque la necessità per gli enti locali di dotarsi delle regole e procedure atte ad “ammettere” nei processi di amministrazione condivisa anche le organizzazioni non profit – non ETS.
-
La partecipazione alla compagine associativa di altri enti non profit e della P.A.
Da ultimo, merita una specifica attenzione il fatto che il CTS abbia inteso (a parere di chi scrive, opportunamente) ammettere nelle compagini sociali delle APS, delle OdV e delle imprese sociali anche altri soggetti giuridici non profit, le pubbliche amministrazioni, nonché le imprese for profit. Si pensi, a questo ultimo riguardo, alla possibilità che le fondazioni ex IPAB, nonostante abbiano talvolta la totalità dei componenti dell’organo amministrativo di nomina pubblica, accedano al Runts.
La “contaminazione” tra diverse tipologie giuridiche è essa stessa superamento de facto dei confini del Terzo settore, poiché questo abbraccia e coinvolge organizzazioni che, seppure definite dal vincolo alla non distribuzione degli utili, non possono identificarsi con le finalità e le attività di cui al CTS. Questo “diritto di cittadinanza” di soggetti giuridici diversi all’interno degli ETS può ricondursi all’intenzione del legislatore della riforma di convogliare tutte le energie, pubbliche e private, nelle strutture giuridiche non profit affinché queste ultime possano in modo più efficace, sostenibile, efficiente e solido perseguire le finalità di interesse generale che l’ordinamento affida proprio agli ETS?
Se così fosse, ci troveremo di fronte ad un perimetro di ETS che, ancorché definito dalle singole soggettività giuridiche che popolano le diverse sezioni del Runts, alcune delle quali specificamente funzionali a riconnettersi con specifiche agevolazioni fiscali, ricomprenderebbe una nozione sostanziale di ETS più ampia.
Ed è proprio sul contenuto sostanziale delle attività e dei soggetti ammessi al convenzionamento che i giudici nazionali e (sempre) il giudice europeo fondano le proprie argomentazioni. Da ultimo, si segnala la sentenza della Corte di giustizia europea dell’11 giugno 2020, C-219/19, nella quale i giudici di Lussemburgo hanno ribadito che una norma nazionale non può impedire agli enti senza scopo di lucro di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi. La sentenza estende il novero dei soggetti giuridici che possono partecipare alle procedure ad evidenza pubblica, ivi inclusi quelli senza scopo di lucro. Una simile interpretazione suscita alcuni interrogativi:
- la riforma del Terzo settore ha inteso introdurre una lista positiva di attività di interesse generale, prevedendo per le stesse alcuni istituti di partnership con la P.A. (si pensi alla co-programmazione, co-progettazione e convenzioni), alternative alle tradizionali procedure ad evidenza pubblica. La sentenza qui in commento ammette anche gli enti non lucrativi alle gare d’appalto: da ciò consegue, dunque, che gli enti non profit possono accedere alle forme previste dagli artt. 55 e ss. del Codice del terzo settore e agli appalti?
- la sentenza de qua non opera alcuna discriminazione tra soggetti economici e soggetti non lucrativi, confermando che i secondi possono svolgere anche attività ad elevato contenuto professionale e tecnico. Da ciò si può dunque inferire che le due “tipologie” sono equiparabili e che, quindi, agli enti non lucrativi non è preclusa alcuna attività in termini generali?
- Alla luce di quanto riportato sub 1. e 2., dalla sentenza de qua si può far discendere che il diritto europeo riconosce uno specifico favor legis nei confronti degli enti non lucrativi?
Esprimo il più vivo apprezzamento per l’analisi giuridica e la chiarezza espositiva che ritengo sia utile non solo alle organizzazioni che intendono iscriversi o no al RTS.
L’ articolo offre anche orientamenti per le future scelte sia delle organizzazioni sia della PA.
Auspico che, in futuro, non prevalga l’orientamento utilitaristico a quello di valore e di solidarietà per tutte le componenti chiamate a confrontarsi, compresa quella politica.
Ma perché mai dovrebbero accedere al convenzionamento anche soggetti che non si sono iscritti al Runts e soprattutto perché dovrebbero a parità di condizioni?
La modifica degli statuti, il perseguimento di attività di interesse, la coerenza delle norme statutarie ed infine l’iscrizione al Runts, non dovrebbero essere solo requisiti formali, perché riconoscere gli stessi diritti a chi non ha voluto (spesso per preservare il patrimonio e non assoggettarsi a norme associative democratiche) seguire questo iter? Accade così anche per le vaccinazioni covid: chiunque può decidere di non vaccinarsi, ma poi non può pretendere di avere le stesse garanzie e diritti, soprattutto se, con il proprio comportamento, mette a rischio gli altri; l’immunità di gregge è per chi “non può”, non per chi non vuole! Diverso è il discorso per le gare d’appalto.
Condividiamo l’opinione di Daniele circa il fatto che da quando il Codice è stato approvato sembra essersi animata una corsa al riconoscimento da parte di soggetti che al tempo stesso non possono / non vogliono / non ritengono premiante essere riconosciuti come ETS, ma rivendicano di avere le medesime caratteristiche di “interesse generale” e dunque di meritare trattamenti analoghi, mentre semmai il problema andrebbe affrontato rivedendo le norme di codice eventualmente problematiche. Diversa la questione dei confini interni al Terzo settore (cosa può o non può fare una specifica forma all’interno di quelle previste dal codice), dove probabilmente scontiamo un approccio un po’ “conservativo” del codice, laddove invece la comune appartenenza al Terzo settore suggerirebbe a mio avviso una maggiore omogeneità. In quest’ottica, infatti, nonostante sia comprensibile la necessità di conservare le diverse tipologie giuridiche, eredità delle abrogate discipline speciali, risulta di tutta evidenza che, in molti comparti di azione e di intervento, tali specificità rischiano di creare confusione, anche e soprattutto nell’ente pubblico chiamato (e ormai sempre più spesso disponibile) a collaborare con gli enti non profit. E d’altra parte, la recente sentenza 52/2021 della Corte costituzionale sembra andare proprio in questa direzione.