I partenariati pubblico-privati (PPPs) nei servizi sociosanitari


Alceste Santuari | 22 Ottobre 2020

I partenariati pubblico-privati, secondo il diritto europeo, identificano diverse modalità giuridiche di cooperazione strutturata e duratura tra pubbliche amministrazioni e soggetti privati, non profit e for profit.

 

Si è soliti suddividere le PPPs in due categorie: contrattuali e istituzionalizzate: nel caso delle “PPPs contrattuali” gli enti pubblici e il soggetto privato sottoscrivono un contratto per l’esecuzione di un’opera o la prestazione di un servizio. La logica contrattuale è la stessa che si ritrova negli appalti, salvo che in un’ipotesi di PPP le parti sono chiamate a concordare elementi ulteriori rispetto a quelli che definiscono un appalto “tradizionale”.

 

Nel caso delle “PPPs istituzionalizzate” la P.A. e il soggetto privato convengono sulla necessità/opportunità/utilità di creare una entità giuridica terza e distinta, finalizzata all’esecuzione di un’opera, all’organizzazione ed erogazione di un servizio ovvero alla gestione di un progetto o di interventi. Nell’ordinamento giuridico italiano, i partenariati in sanità sono stati per la prima volta disciplinati dal d. lgs. n. 229/1999 (Riforma della Sanità-ter) ed oggi trovano “cittadinanza giuridica” sia nel Codice dei contratti pubblici sia nel T.U. sulle società a partecipazione pubblica. Quest’ultimo, in particolare, ha cristallizzato la formula della società mista pubblico-privata, nella quale al soggetto privato non può essere riconosciuto un valore della quota di capitale sociale detenuta inferiore al 30%.

 

In Italia, esistono esempi di PPPs nel comparto sanitario costituite e gestite sotto forma di srl miste, quali l’IRST di Meldola ovvero sotto forma di project financing, quale l’Ospedale dell’Angelo di Mestre. A ciò si aggiungano quelle esperienze di società miste pubblico-privato nel settore dei servizi socio-sanitari, quale, per esempio, il noto caso di Lecco.

 

In questi mesi, complice anche l’emergenza sanitaria da Covid-19, numerosi sono stati i commenti e le valutazioni in ordine alle PPPs: mentre da taluni esse sono considerate la panacea di tutti i mali che affliggono il sistema sanitario pubblico, in specie sotto stress a causa del Covid-19, da altri esse sono percepite quali strumenti del diavolo, in quanto “cavalli di Troia” per privatizzare i servizi socio-sanitari pubblici.

 

Si ritiene che né l’una né l’altra posizione rappresentino in modo adeguato il valore e l’effettivo contributo che le PPPs possono apportare al sistema socio-sanitario. Chi sostiene che le PPPs dovrebbero essere estese “sempre e comunque” spesso dimentica di evidenziare i rischi per il diritto ad un equo accesso alle prestazioni che le privatizzazioni, specie in comparti “sensibili” come la sanità e il sociale, possono comportare. Quanti sostengono che le PPPs siano dannose e pericolose per il sistema pubblico di welfare, sebbene possano riferirsi a casi negativi a livello internazionale, nei quali grandi corporations utilizzano lo strumento giuridico dei partenariati pubblico-privati per realizzare veri e propri progetti di privatizzazione, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dimenticano che lo strumento delle PPPs necessita di talune precondizioni culturali, giuridiche, locali e di sistema che possono, al contrario, rendere tali esperienze positive e rafforzative degli obblighi pubblici.

 

Nel caso della collaborazione pubblico-privata, forse più che in altri contesti, è possibile dunque affermare che in medio stat virtus.

Le PPPs rappresentano una novità, non soltanto da un punto di vista giuridico, ma anche “antropologico”, in quanto esse hanno la pretesa di unire due mondi, segnatamente, “Pubblico” e “Privato”, che spesso identificano due mondi separati e diversi tra loro. I soggetti privati infatti guardano alla profittabilità dell’investimento realizzato, mentre il soggetto pubblico deve preoccuparsi che il servizio venga garantito a costi sopportabili dalla collettività, in modo equo, continuo e trasparente. Le decisioni della P.A. devono pertanto essere guidate e informate dai principi di trasparenza, equità, buon andamento dell’amministrazione, equilibrio di bilancio, in modo che tutti i diversi interessi siano contemplati.

 

La cooperazione in oggetto è riconducibile a due spinte simultanee: l’una proveniente dalla pubblica amministrazione e l’altra dal settore delle organizzazioni private. Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, nello svolgimento della proprie attività, essa ha progressivamente sostituito i processi decisionali formalmente gerarchici con processi sostanzialmente contrattuali.

Per contro, i soggetti privati, in specie for profit, hanno progressivamente abbandonato una logica antagonista nei confronti delle istituzioni pubbliche per approdare ad una dimensione maggiormente incentrata su schemi collaborativi.

 

Affinché le PPPs possano funzionare (bene), la P.A. e i soggetti privati devono condividere non soltanto l’obiettivo ultimo da realizzare, ma anche le specifiche modalità giuridico-organizzative attraverso le quale quell’obiettivo deve essere conseguito in un’ottica di beneficio per la comunità in cui l’opera, l’attività, il servizio ovvero l’intervento si realizza.

 

I soggetti non profit, invece, in ragione delle finalità di interesse generale perseguite, tradizionalmente, si posizionano sullo stesso piano dell’azione delle pubbliche amministrazioni. Negli ultimi anni, tuttavia, proprio in forza degli scopi di pubblica utilità che esse intendono realizzare, le organizzazioni non profit sono state progressivamente chiamate non soltanto ad erogare i servizi in oggetto, ma finanche a partecipare ai processi di programmazione degli stessi. In ciò, quindi, rivelando una funzione, se possibile, ancora “più pubblica” di quella riconducibile alla mera erogazione di un servizio, per quanto quest’ultima risulti fondamentale, in specie nella tutela della fruizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociosanitarie.

 

Una simile prospettiva trova indubbiamente la propria fonte di legittimazione e promozione nella Costituzione italiana, tutta permeata da valori e principi finalizzati a rendere anche i soggetti privati responsabili nell’ambito dell’organizzazione dei servizi di natura pubblica.  In una società complessa e caratterizzata sempre più da un multipolarismo amministrativo, i cambiamenti sopra richiamati hanno prodotto la diversificazione e la contaminazione dei modelli organizzativi, la semplificazione delle procedure attraverso le quali la P.A. interviene ed agisce per rispondere alle istanze della collettività e l’impiego di modalità di organizzazione, gestione ed erogazione dei SIG diversi dagli strumenti giuridici disciplinati nel Codice dei contratti pubblici.  E ciò, in particolare, in forza della responsabilità delle autorità pubbliche, in specie degli enti locali territoriali, di organizzare la funzione di produzione e di erogazione dei beni e dei servizi di interesse generale.

 

In quest’ottica, dunque, enti locali territoriali, anche nella loro dimensione “allargata” o di “gruppo”,  ed enti del servizio sanitario (regionale) possono ricorrere alla progettazione, organizzazione e gestione di formule giuridiche attraverso le quali, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali e di programmazione degli interventi, possono realizzare sperimentazioni ed innovazioni in partnership con le organizzazioni private (non profit e for profit) nell’erogazione di servizi di interesse generale.

 

Ente pubblico ed ente del terzo settore valutano, dunque, la formula più adatta per realizzare l’obiettivo condiviso, considerando, tra gli altri, i seguenti aspetti:

  • il rischio imprenditoriale che l’operazione implica;
  • il rischio politico che l’attività può sottendere;
  • la disponibilità di capitale/patrimonio da parte del soggetto privato;
  • la legittimità, per l’ente pubblico procedente, di istituire, nel caso di soggetto giuridico, una nuova società (cfr. piano di razionalizzazione delle società pubbliche);
  • la durata del progetto da realizzare.

 

È, tuttavia, opportuno chiarire che le PPPs non costituiscono strumenti giuridici di facile implementazione: anzi, esse, rispetto alle tradizionali forme di contratti pubblici, presentano maggiori difficoltà interpretative e applicative, nonché richiedono un livello più elevato di conoscenze e competenze sia dal lato pubblico sia da quello privato. Invero, le difficoltà maggiori non risiedono tanto nella necessità di disporre di apparati, di strumenti giuridici e di competenze manageriali nelle fasi di progettazione, organizzazione e gestione di un servizio in forma di PPP, quanto nella necessaria disponibilità delle due parti di attivare percorsi di conoscenza reciproca, la cui finalità ultima coincide con l’interesse generale.

 

In quest’ottica, i progetti e le attività che possono formare oggetto delle PPPs richiedono approfondimenti e analisi ex ante, tanto più sofisticate e delicate se si considera l’obiettivo ultimo cui tale PPP è collegata. A ciò si aggiunga che nell’ambito dei servizi di interesse generale (si pensi, ad esempio, ai comparti sociale, sanitario, socio-sanitario, turismo sociale, (ri)utilizzo degli immobili pubblici a fini sociali et similia), la pubblica amministrazione e le organizzazioni private sono chiamate a stabilire specifiche forme di collaborazione. Esse, necessariamente, devono tenere in debita considerazione più elementi di quanti siano richiesti nel caso in cui la PPP riguardi la realizzazione di infrastrutture logistiche ovvero di costruzioni da adibire a servizi di pubblica utilità. A tacere di altri aspetti, le PPPs in ambito socio-sanitario, per esempio, non soltanto devono contemplare un’analisi attenta del contesto istituzionale in cui i servizi risultano organizzati ed erogati, ma possono altresì implicare la partecipazione degli utenti-beneficiari del/della servizio/attività oggetto della partnership, profilo che non rientra nelle PPPs dedicate alla costruzione di opere “fredde”.

 

Di qui la necessità di disporre di un set di conoscenze e di competenze che siano in grado, allo stesso tempo, di permettere alla pubblica amministrazione di “leggere” i bisogni cui essa è chiamata a rispondere in termini istituzionali e ai soggetti privati di “comprendere” le procedure, gli approcci, le difficoltà che pertengono all’agire degli enti pubblici.  In altri termini, affinché le PPPs, in specie nel comparto dei servizi di interesse generale, possano risultare efficaci, efficienti e sostenibili, sia sotto il profilo sociale sia dal punto di vista economico-finanziario, le parti coinvolte devono essere consapevoli non soltanto del rischio imprenditoriale che esse corrono, ma soprattutto del “rischio sociale” connesso all’organizzazione e all’erogazione di un servizio di interesse generale.

 

Nello specifico dei servizi sociosanitari, nell’ambito del sistema di welfare italiano, in cui alle istituzioni statali, in collaborazione con quelle regionali e locali, è affidato il compito di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili, le PPPs – soprattutto a livello territoriale – possono invero contribuire in modo originale e innovativo a garantire quei livelli.

 

Si tratta di una prospettiva in cui la contrattualizzazione dell’attività amministrativa, almeno in parte, costituisce l’espressione della contrattualizzazione delle politiche pubbliche. Da ciò discende che nelle PPPs non si realizza una contrapposizione tra modelli di organizzazione pubblici e privati, ma gli stessi devono giungere ad una sintesi equilibrata e ricercata in funzione delle specifiche finalità di interesse generale che le parti, congiuntamente, intendono realizzare.

In questa prospettiva, le PPPs possono efficacemente esprimere contesti in cui il “governo per contratto e il governo per organizzazione” possono riconciliarsi nel perseguimento dell’interesse generale e in cui non si realizza il trasferimento di responsabilità, ma, al contrario, l’assunzione di maggiori responsabilità.

 

Quando si ipotizza una PPP occorre dunque innanzitutto chiedersi quale sia l’interesse pubblico che si vuole realizzare, valutare se la pubblica amministrazione ha a disposizione beni ovvero know-how da apportare al progetto, valutare i potenziali soggetti privati interessati alla cooperazione con l’ente pubblico, nonché analizzare con attenzione il quadro giuridico, istituzionale, territoriale e organizzativo in cui collocare la PPP.

 

In ultima analisi, nelle PPPs ciò che rileva è la finalità (di interesse pubblico) cui esse sono preposte e alla quale esse devono essere assoggettate. Agli enti pubblici che decidono di stabilire partnerships durature, siano esse contrattuali ovvero istituzionalizzate con soggetti privati, è richiesta una capacità di supervisione, di vigilanza e di valutazione dei risultati (anche in forma congiunta con il soggetto partner) e, quindi, un elevato grado di coinvolgimento e di assunzione di responsabilità, che sono all’opposto di qualsiasi forma di abdicazione di funzioni o di doveri pubblici.