Il contrasto alla povertà educativa attraverso le reti territoriali

Il progetto Passaporte Edunauta in Catalogna


Marta Cordini | 21 Ottobre 2024

I tentativi di contrastare o sradicare la povertà educativa si scontrano spesso con la multidimensionalità e la forte contestualità che caratterizzano il fenomeno. Se i tratti salienti della povertà educativa sono condivisi da tutte le bambine e i bambini che ne sono colpiti (in particolare relativamente alle condizioni famigliari di svantaggio socio-economico), le specificità territoriali definiscono in maniera significativa la possibilità di intervenire e di contrastarla. La povertà educativa definita come “la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni di bambini, bambine e adolescenti” (Save The Children, 2022) è un fenomeno rilevante in Italia che pone diverse domande e sfide a livello di politiche locali. Può essere interessante osservare come tali sfide vengono accolte e affrontate in altri contesti, non troppo distanti dal nostro paese. Per questo motivo, insieme a Marta Raqueno, della Fondazione Bofill, abbiamo riflettuto sulle potenzialità e sui limiti di alcuni approcci e strumenti, attraverso l’esperienza del progetto Passaporte Edunauta nella regione della Catalogna, in Spagna.

La Fondazione Bofill, fondata nel 1969, lavora per generare opportunità educative e, attraverso queste, ridurre le disuguaglianze sociali. Le iniziative di cui si fa portatrice poggiano su un approccio che pone al centro la ricerca oltre che l’azione sociale. Il progetto, lanciato nel 2020, si colloca all’interno della più ampia iniziativa Educaciò 360, promossa dalla Fondazione stessa, che sostiene l’importanza delle attività extra-scolari nel contrasto alla povertà educativa e nella mitigazione del rischio. È, inoltre, inserito nel quadro dei “Piani Educativi Territoriali”, strumento di pianificazione e coordinamento dell’offerta educativa promosso dal governo autonomo catalano.

Il cuore del progetto è la valorizzazione delle risorse già presenti nei territori attraverso l’impegno e la consapevolezza degli attori locali. L’intera progettazione punta a utilizzare risorse culturali ed umane già esistenti, riducendo al minimo i costi aggiuntivi e utilizzando le risorse esterne soprattutto, nella formazione e nell’implementazione e mantenimento della rete.

L’obiettivo di Passaporte Edunauta è aumentare l’accesso alle opportunità educative extra- scolastiche cui spesso i bambini provenienti da contesti svantaggiati non accedono. Questo di solito è dovuto alla poca disponibilità economica, alla distanza, ma anche alla scarsa importanza che si dà a tali attività, considerate in un certo senso ancillari e marginali rispetto a quelle scolastiche. Il progetto si è ispirato al concetto di ‘Learning Ecosystem’ (Ecosistema di apprendimento), particolarmente diffuso in ambito statunitense: reti di attori e risorse che rafforzano le comunità e creano un linguaggio comune, oltre a fornire veri e propri strumenti di lavoro, come il Passaporto in questo caso. L’iniziativa ha inizialmente coinvolto alcuni quartieri socialmente vulnerabili di Barcellona, dopo di che si è estesa alle municipalità della Catalogna che mostravano alti livelli di povertà educativa secondo alcuni specifici indicatori (tra cui alti livelli di segregazione scolastica e alti tassi di abbandono scolastico). Ad oggi sono state coinvolte una trentina di municipalità e più di 8.000 bambini e bambine.

Le fondamenta: equità, connessione e qualità

Il contrasto alla povertà educativa si basa, secondo l’approccio della Fondazione Bofill, in primo luogo sulla promozione dell’equità, vale a dire l’accesso alle opportunità educative diffuso a tutti i bambini e a tutte le bambine. In questo senso, obiettivo e strategia esplicita del progetto è quello di avere un target molto specifico, vale a dire quei soggetti che sono esclusi dalle opportunità educativa o a forte rischio di esclusione. A differenza di altri approcci più universalistici, che tendono quindi a moltiplicare e a implementare le progettazioni a tappeto in territori diversi, questa iniziativa seleziona di proposito territori a rischio di povertà educativa, e di conseguenza i loro abitanti, escludendo coloro che invece hanno le possibilità di accedere a diverse opportunità educativa grazie al territorio in cui abitano e alle dotazioni di capitale culturale e sociale di cui godono. Come precisa Marta Requeno “non si tratta di dare a tutti le stesse opportunità indipendentemente da dove abitano e da dove vengono, ma si tratta di darle a chi di fatto non le ha, e non a chi le ha già e vi accede senza alcun intoppo. In altri termini, se i bambini e le bambine provenienti da famiglie agiate beneficiano di questa iniziativa, c’è qualcosa che non va”. Tale approccio nasce da una serie di studi, approfondimenti e ricerche che gli ideatori del progetto hanno raccolto sia nella regione della Catalogna ma anche all’ estero, che evidenza come tali iniziative, se rivolte al totale della popolazione indiscriminatamente, tendono infine ad avvantaggiare coloro che sono già in una posizione di vantaggio (economico, sociale e/o culturale) che accedono alle risorse fornite dalle iniziative in modo più strategico, escludendo chi invece ne avrebbe maggiormente bisogno.

Il secondo pilastro è la connessione: perché il progetto funzioni è fondamentale la partecipazione e la messa in rete di tutti gli attori presenti sul territorio, dalle scuole ai servizi sociali, a coloro che forniscono le attività educative (pubblici e privati), agli stakeholder. La rete è l’attore principale dell’implementazione del progetto e l’eterogeneità della stessa è condizione necessaria perché effettivamente l’intervento funzioni. La consapevolezza di far parte di una rete è propedeutica al suo funzionamento perché la condivisione di approccio, obiettivi, strumenti e linguaggio è fondamentale.

Il terzo pilastro, infine, è la qualità: non tutto funziona nel progetto ed è fondamentale una formazione continua per diversificare gli interventi in base ai contesti perché siano efficaci e duraturi. Il ruolo della Fondazione è proprio quello di accompagnare e formare gli attori che fanno parte della rete. Le persone, in questo senso, la loro professionalità e il loro investimento nel progetto fanno la differenza: se si tratta di un progetto che necessita di relativamente poche risorse finanziare, chiede però un livello di impegno alto in termini di riflessività e formazione continua.

Il Passaporto Edunauta e il ruolo degli attori coinvolti

Il Passaporto Edunauta è lo strumento chiave di questo progetto: si tratta di un vero e proprio documento, ideato con un design accattivante che richiama lo Spazio, in cui i bambini e le bambine possono compilare delle schede rispetto alle attività che hanno fatto sul territorio e ricevere un timbro, come una sorta di visto, dal responsabile del servizio. Il passaporto viene distribuito nelle scuole, il cui coinvolgimento può variare significativamente. Può limitarsi infatti alla semplice distribuzione del passaporto, oppure, a discrezione del dirigente e degli insegnanti, può estendersi alla sensibilizzazione dei bambini e dei genitori rispetto all’iniziativa e alle attività presenti sul territorio, o addirittura, in alcuni casi, il passaporto può diventare uno strumento adottato dagli insegnanti in maniera più proattiva, per promuovere alcune attività e creare delle connessioni con quanto fatto in classe. Alcuni insegnanti hanno deciso di creare un ambiente in cui i bambini possano raccontare cosa hanno fatto, quale attività hanno inserito nel passaporto.  Per altri è solo uno strumento per spiegare ai genitori quali sono le attività extra. Altri insegnanti lo usano come un’agenda che va e viene tra la scuola e la famiglia, è un modo per incontrare i genitori, capire quali soft skill ogni bambino può acquisire anche fuori dalla scuola, a quali attività hanno accesso nel territorio. In alcune scuole ad alta complessità, viene utilizzato per connettersi ai genitori o ai tutori dei bambini e delle bambine. Si tratta, in linea generale, di uno strumento facile e divertente, ma anche volitivo. Se le scuole occupano un ruolo chiave nel diffondere il passaporto e nel socializzare bambini, bambine e famiglie al suo uso, sono i Comuni che chiedono alla Fondazione Bofill di implementare la progettazione. I Comuni si candidano e la Fondazione valuta la possibilità o meno di implementare Passaporte Edunauta sul loro territorio. Tale valutazione è legata a una serie di indicatori che misurano il rischio di povertà educativa ma anche alle potenzialità presenti sul territorio rispetto alla probabilità che il progetto sia effettivamente implementato, come per esempio l’esistenza di stakeholder già coinvolti in reti, il presidio del Comune sul tema della povertà educativa e temi trasversali, la presenza di tecnici che abbiano un monte ore esplicitamente dedicato al progetto (per la formazione all’inizio e per l’implementazione poi). Il progetto richiede un investimento in termini di risorse umane particolarmente significativo all’inizio per la costruzione della rete, le attività formative e l’avvio della programmazione, ma la mole di lavoro richiesto in termini di ore è destinata a diminuire in maniera consistente dal secondo anno in poi. L’obiettivo è che le attività legate al progetto non vadano a sommarsi al carico di lavoro già sostenuto dai tecnici, ma piuttosto diventi, nell’arco di un tempo relativamente contenuto, un’attività integrata nel flusso di lavoro e di supporto e di complemento alle altre. La Fondazione agisce come un attore di innovazione e il ruolo che ha è soprattutto di formazione e di consulente, con lo scopo principale di socializzare una serie di esperti agli strumenti e a un linguaggio comune.

Infine, il terzo gruppo di attori coinvolti include gli stakeholder, vale a dire gli operatori pubblici e privati che offrono servizi educativi (ma non solo) sul territorio. Se il coinvolgimento degli attori pubblici viene in un certo senso promosso e incentivato dal Comune stesso, più difficile è attrarre nella rete gli attori privati, per un problema di costi. Questo rimane uno dei punti più spinosi da risolvere, sebbene in alcuni territori sia stata osservata una adesione relativamente significativa anche di operatori privati.

Le differenze territoriali: sfida e potenzialità

La forte considerazione delle peculiarità territoriali rappresenta una sfida ma anche la potenzialità insita in questo intervento. Ogni territorio è un ecosistema con sfide differenti e diverse modalità di risposta e di sviluppo. Anche i modi di lavoro cambiano. I progetti, gli interventi, le politiche di contrasto alla povertà educativa non possono ignorare l’aspetto delle diversità territoriali. Il progetto qui presentato, per esempio, è disegnato in modo che sia adattabile a contesti diversi, le aree rurali, le zone suburbane, le piccole municipalità e i quartieri delle grandi città.  Sono progettazioni che richiedono una leadership forte e coesa, in particolare una squadra di tecnici con diverse competenze, un capo area che creda e coordini il progetto e un sindaco che ne condivida l’approccio e gli obiettivi. Trovare questo tipo di leadership è una delle sfide in cui maggiormente incorre la Fondazione Bofill. L’impegno che la squadra di lavoro a livello di entità locale è disposta a riporre nel progetto dipende molto da quanto è già stato fatto sul territorio precedentemente, la maturità della comunità educante locale, la connessione tra potenziali fornitori di servizi educativi (biblioteche, centri sportivi, ludoteche), la presenza di una o più scuole ben predisposte verso il progetto.

Un altro punto fondamentale è la trasversalità. Significa che il progetto deve includere diverse aree di competenza dell’autorità locale, l’educazione, ma anche i servizi sociali per esempio. Non si tratta di un’impresa semplice a causa della competizione e della scarsa comunicazione tra i diversi settori. La Fondazione Bofill chiede ai Comuni che vogliono partecipare di costituire la cosiddetta Equipe Impulsu, un gruppo ristretto di tecnici specializzati in diverse aree (educazione, giovani, servizi sociali) che vengono formati da esperti in educazione, spesso provenienti dall’ambito universitario o da cooperative specializzate nel campo del contrasto alla povertà educativa e ovviamente dalla Fondazione Bofill stessa. Il primo anno al Comune viene richiesto di impiegare un ammontare di risorse tra i 4.000 e i 6.000 euro per ricevere la formazione e implementare il progetto. Dal secondo anno il contributo si riduce a 2.000 euro all’anno per la consulenza e per il consolidamento della rete. La conoscenza non è open access, non è quindi accessibile, per esempio online, proprio per evitare che il progetto venga distorto e diventi un mezzo di promozione di attività ludiche e formative non esplicitamente dirette ai bambini e le bambine in condizione di maggiore vulnerabilità.

Un progetto in evoluzione

Partito nel 2020, il progetto è ancora in una fase evolutiva. Gli esiti sui territori, racconta Marta Raqueno, sono stati incredibilmente diversificati, talvolta rispondendo alle aspettative e talvolta andando in direzioni completamente diverse, non per forza negative. L’interdipendenza dei diversi attori, sia individuali che collettivi, per attivare i vari stakeholder e perché il contrasto alla povertà educativa vada oltre la semplice offerta di servizi, ma si traduca anche in una spinta verso l’inclusione e l’uscita da percorsi di marginalità sociali, è sicuramente una forte complessità, ma nei casi in cui gli attori si sono dimostrati capaci di assumersi tale responsabilità e di sfruttare le potenzialità degli strumenti messi in gioco (formazione, passaporto, competenze diversificate… ), le ricadute su territori, scuole e famiglie sono state evidenti fin dal secondo anno di implementazione, in particolare in termini di un incremento degli attori aderenti alla rete e del coinvolgimento attivo delle scuole, che lo apprezzano sempre di più sia come uno strumento integrativo a quelli didattici e pedagogici, ma anche come un ponte per entrare in contatto con le famiglie più marginali.