Il percorso di formazione “Nel cuore delle case”
Un laboratorio di biblioterapia con un gruppo di operatrici sociosanitarie
Patrizia Corazza | 3 Marzo 2025
Nel periodo ottobre-dicembre 2024 è stato realizzato il percorso di formazione Nel cuore delle case, rivolto a tutto il personale di operatrici sociosanitarie, dipendenti comunali dell’Ambito territoriale Noncello, diviso in due gruppi: ciascuno di essi si è riunito per 5 incontri di due ore a cadenza quindicinale nella sede dei Servizi Sociali di Pordenone; il materiale proposto è stato lo stesso in entrambi i gruppi.
Il percorso è nato dall’interesse a esplorare le potenzialità formative della biblioterapia dello sviluppo all’interno di un contesto organizzativo che mette al centro l’incontro con le persone (nel n. 3-4/2024 di Prospettive Sociali e Sanitarie è stata pubblicata l’esperienza di un laboratorio di biblioterapia con un gruppo di assistenti sociali all’interno dello stesso Ente). La biblioterapia si serve di strumenti narrativi per migliorare le competenze degli operatori: l’uso creativo e ragionato della letteratura (saggi, romanzi, racconti, poesie, romanzi grafici, albi illustrati) è mirato a favorire la crescita e la cura delle persone partecipanti, creando opportunità di dialogo attorno ai testi che generino atteggiamenti autoriflessivi anche e soprattutto grazie al confronto nel gruppo.
Il tema del laboratorio è stato individuato a partire dalla considerazione che il personale OSS di un servizio territoriale lavora prevalentemente nelle abitazioni delle persone non autosufficienti, oltrepassando così la duplice soglia dell’intimità – domestica e corporea –, ed è perciò tenuto a rispettare il singolare modo di abitare di ciascuna persona. Si è ritenuto che fosse importante far emergere i significati dell’abitare per noi e per le persone anziane non autosufficienti, esplorando l’interrelazione tra spazio fisico e vissuto interiore, tra bisogni interiori e ambienti domestici. Oltre a sostenere la domiciliarità, le operatrici sociosanitarie possono anche essere chiamate ad accompagnare il delicato e spesso problematico passaggio dall’abitazione a una residenza per anziani, che comporta una rivisitazione delle proprie abitudini di vita, con sentimenti di perdita e ridotta autonomia.
Mettere a tema l’abitare significa riflettere su più livelli: sulla relazione di cura con persone anziane non autosufficienti, sulle pratiche professionali, sulla potenziale revisione delle proprie rappresentazioni mentali. È risaputo infatti che spesso il fenomeno dell’inerzia cognitiva limita la comprensione e quindi l’empatia verso le persone che l’operatore si trova ad aiutare.
Il laboratorio di biblioterapia ha accompagnato le partecipanti lungo un percorso che ha toccato diverse tappe: l’esplorazione dei significati simbolici della casa e dei significati affettivi degli oggetti, le emozioni che connotano gli ambienti domestici, la dimensione di coabitazione con un’assistente familiare, l’uscita dalla propria abitazione per trasferirsi in una residenza per anziani, la trasformazione degli spazi domestici agli occhi di una persona colpita da demenza.
La scelta di lavorare in piccolo gruppo deriva dalla necessità di evitare il rischio di una lezione frontale, facilitando la partecipazione attiva di tutte al fine di costruire conoscenza assieme, di intrecciare saperi ed esperienze, di arricchire la relazione professionale: il metodo biblioterapeutico va ad agire nell’area dell’essere consapevoli, ossia attiva un apprendimento volto a modificare l’area di competenza relativa agli atteggiamenti. Il compito del facilitatore di biblioterapia è quello di garantire lo spazio e il contesto per l’apprendimento, ha un ruolo di co-esploratore: il facilitatore “accompagna seguendo” il gruppo nell’esplorazione dell’esperienza, contribuisce a mettere a fuoco percorsi inesplorati e saperi taciti, stimola un modo di pensare critico nella complessità lavorativa, sostiene lo sviluppo di consapevolezza delle risonanze emotive che la fatica quotidiana sollecita nei professionisti.
Gli obiettivi della formazione sono stati i seguenti:
- riflettere sul significato simbolico e affettivo della casa in relazione al lavoro di cura con le persone anziane non autosufficienti;
- favorire lo scambio di esperienze e la condivisione di eventuali difficoltà incontrate nella prassi lavorativa;
- promuovere supporto reciproco a partire dalle risorse mobilitate;
- investigare le fatiche avvertite in situazioni concrete;
- raffinare le modalità di osservazione del modo di abitare una casa per individuare segnali di benessere o di profondo malessere attraverso le abitudini e i comportamenti delle persone;
- riflettere sulle prassi operative.
Nel corso degli incontri sono stati proposti brani letterari e di natura saggistica, poesie, albi illustrati per lo più in chiusura dell’incontro, carte metaforiche (due serie, entrambe molto efficaci: per rappresentare la demenza e per illustrare il proprio senso di casa), attività grafiche autorappresentative, tecniche di rievocazione delle fiabe in cui la casa è luogo di affetti e di abusi. Mediante l’assegnazione di consegne specifiche (anche con l’uso di materiali didattici) le partecipanti sono state invitate a rintracciare nella propria vita e nella pratica professionale aspetti specifici legati al tema di ciascun incontro. L’approccio dialogico e riflessivo ha suscitato interesse e partecipazione attiva e ha favorito l’apertura della visuale per fare entrare la complessità e l’incertezza in una prospettiva talvolta schematica e cristallizzata derivante da numerosi anni di lavoro (il gruppo era costituito da 17 operatrici con età media di 54 anni e con un’esperienza lavorativa nel campo sociosanitario mediamente di 24 anni). La maggior parte delle partecipanti ha manifestato curiosità e apertura verso un metodo nuovo. Il clima di lavoro è sempre stato disteso e piacevole, non si sono verificate dinamiche conflittuali od ostili.
Nel laboratorio si è fatto dei paesaggi domestici un terreno di riflessioni, affrontando l’identità personale e professionale, la dimensione etica del lavoro, la comunicazione, gli aspetti emotivi e relazionali. Sono emersi per esempio alcuni dilemmi deontologici: quanto è corretto imporre i nostri criteri di ordine e di pulizia/igiene personale? Quanto mettiamo a disagio le persone quando insistiamo nell’intervenire sul disordine e sulla sporcizia degli ambienti domestici? Qual è la soglia dell’accettabilità? Qual è il confine tra legittimità/rispetto/abuso di potere? Qual è la soglia del pudore che rischiamo di violare? Quanto la presenza di tirocinanti OSS aumenta il disagio nella persona che necessita di prestazioni assistenziali? Quanto è legittimo sollecitare la persona e i familiari verso l’inserimento in una struttura residenziale? Altri temi emersi sono stati la spersonalizzazione delle cure in ospedale e nelle residenze per anziani (con il rischio percepito che questa si verifichi anche a domicilio, per il prevalere del prestazionalismo e della meccanicità delle prestazioni a scapito della relazione di cura); il senso di respingimento provato di fronte ad alcuni ambienti domestici; gli stereotipi verso la professione di OSS (“Quelle del bagno”, “Quelle che controllano il lavoro delle badanti”). La riflessione stimolata dalle letture sugli utenti accumulatori patologici ha facilitato la consapevolezza di quanto sia faticoso per tutte separarsi dai propri oggetti e di quanto tendiamo a conservare anche cose inutili.
Qualcuna ha verbalizzato il piacere per il proprio lavoro, che offre l’opportunità di “ricevere” dagli utenti e di conoscere persone con una storia interessante; le letture hanno stimolato continui collegamenti con le situazioni lavorative quotidiane e così sono emersi ricordi di persone che hanno suscitato simpatia e tenerezza e in generale empatia verso gli utenti e i loro familiari.
Complessivamente il laboratorio ha permesso di guardare con più attenzione alla casa, agli oggetti e alle persone che la abitano ed è stata un’occasione per alzare lo sguardo e riflettere sul proprio lavoro, per imparare a decostruire le proprie credenze e i propri sistemi valoriali e a considerarne e accoglierne di nuovi, tenendo il focus sulla dimensione etica dell’attività di cura.
I questionari di gradimento compilati in forma anonima al termine dei cinque incontri hanno fatto emergere l’apprezzamento per lo sviluppo di una riflessione sulla professione ma anche sulle scelte esistenziali, per l’acquisizione di una maggiore consapevolezza di alcuni temi professionali, per una nuova formula di formazione che in taluni casi “alleggerisce” le proposte tematiche. Tutte le partecipanti hanno espresso l’interesse a svolgere altre formazioni fondate sul metodo biblioterapeutico, con predilezione per le tematiche inerenti il benessere lavorativo e la prevenzione del burnout, la relazione di cura (anche con riguardo alle persone malate infracinquantenni), il maltrattamento istituzionale, la violenza dei figli verso i genitori anziani.
In conclusione, mi sembra di poter affermare che la valorizzazione dell’esperienza attraverso la biblioterapia favorisca l’attivazione di un pensiero riflessivo che può diventare prassi metodologica. Cogliere la complessità e accogliere l’incertezza come aspetto costitutivo della realtà sono processi imprescindibili per alimentare la capacità di generare il nuovo: in questo senso la letteratura e il metodo biblioterapeutico possono contribuire a ridurre il rischio di inaridire le relazioni professionali di cura, un’ipotesi da verificare proseguendo con altre proposte di formazione che utilizzano il medesimo dispositivo.