Tutti i dati disponibili indicano che nell’ultimo decennio il rischio di povertà è significativamente aumentato per il complesso della popolazione italiana1. Segnalano anche che questo incremento non è stato ugualmente sofferto da tutta la popolazione, perché si è concentrato sulle fasce di età più giovani: la crisi ha causato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, con conseguente peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie in cui vivono le persone in età da lavoro ed i loro figli. La povertà, sia relativa che assoluta, è invece diminuita tra le famiglie anziane, protette dal sistema pensionistico. Quello del differente incremento del rischio di povertà per fasce di età è un fenomeno comune all’intera Europa2, ma particolarmente evidente in Italia, dove gli effetti della crisi sono stati molto intensi ed ancora ben lontani dall’essere superati. Su questa lettura generale non vi sono dubbi, tuttavia essa può condurre a conclusioni affrettate. Se è vero che la priorità per il nostro sistema di welfare dovrebbe essere quella di proteggere dai nuovi rischi sociali le generazioni più giovani, anche per favorire una ripresa del tasso di natalità, sarebbe sbagliato ritenere che il problema povertà sia stato risolto per le generazioni più anziane.
Usando i dati dell’indagine Silc (Statistics on Income and Living Conditions) condotta dall’Istat ogni anno su un campione di famiglie italiane, confrontiamo la situazione economica dei residenti nel 2004 e nel 2014, l’anno più recente per il quale sono disponibili i dati. La condizione di povertà è qui definita in base al reddito disponibile equivalente della famiglia di cui si fa parte: si è poveri se la famiglia ha un reddito disponibile equivalente inferiore al 60% del suo valore mediano. Manteniamo costante il valore della linea calcolato nel 2004, ottenendo quindi un concetto di povertà che si avvicina a quello assoluto: anche nel 2014, si è poveri se il reddito è inferiore alla soglia calcolata nel 2004, aggiornata solo per il livello dei prezzi. Se dividiamo la popolazione in base all’anno di nascita, identificando diverse coorti, la prima delle quali nata negli anni ’20-’30 del Novecento, l’ultima nel corso del primo quindicennio del nuovo millennio, si nota (Tab. 1) che in effetti la generazione più anziana, di over 80enni (prima coorte) ha mantenuto costante il proprio reddito disponibile, caratterizzandosi addirittura per una diminuzione del tasso di diffusione della povertà nel decennio considerato, mentre tutte le altre coorti hanno avuto una variazione negativa del loro reddito disponibile. La generazione dei giovani si conferma quella più colpita dalla crisi ma anche la classe dei nati negli anni ’40 e ’50, oggi composta in gran parte da over-65, ha visto ridursi decisamente (-7,1%), in media, il proprio tenore di vita, ed in misura ancora maggiore la classe dei 40-50enni. Calcolata in questo modo, la povertà è dunque diminuita per la generazione più anziana, ma solo per questa: i meno anziani tra gli anziani vedono infatti rimanere praticamente costante la quota di poveri, che invece aumenta decisamente per i nati negli anni ’60 e ’70 e per i loro figli, che in gran parte sono nati negli anni 2000. La povertà è quindi in calo o stabile per chi è nato tra gli anni ’20 e gli anni ’50, in aumento per tutti i nati in seguito. È quindi vero che la condizione di povertà degli anziani, rispetto al resto della popolazione, è migliorata, ma molti restano ancora sotto la soglia di povertà.
Tab. 1 Indici di diffusione della povertà per coorti di nascita (%)
Variazione reddito disponibile equivalente tra 2004 e 2014 | 2004 | 2014 | Variazione tasso diffusione povertà tra 2004 e 2014 | |
---|---|---|---|---|
Anni ’20-’30 | 0,3 | 22,6 | 18,0 | -4,5 |
Anni ’40-’50 | -7,1 | 15,1 | 16,0 | 0,9 |
Anni ’60-’70 | -9,5 | 17,5 | 22,7 | 5,2 |
Anni ’80-’90 | -3,9 | 24,9 | 25,8 | 0,9 |
Anni 2000 | -10,4 | 23,4 | 30,2 | 6,8 |
Totale | -7,3 | 19,6 | 22,4 | 2,7 |
Passiamo ora a una visione più standard della povertà sulla base di classi di età, distinguendo tra chi non è anziano, chi ha da 66 a 75 anni, e chi ha almeno 76 anni (Tab. 2). In questa prospettiva, la differenza tra non anziani, con povertà in forte aumento, ed anziani, con povertà in netto calo, è più netta, ma va ricordato che i 60enni di oggi erano i 50enni di dieci anni fa, quindi la riduzione della povertà mostrata dalla Tab. 2 è anche dovuta al fatto che individui più giovani con reddito più alto hanno rimpiazzato persone più anziane con reddito inferiore. Per i primi il reddito può anche non essere aumentato, ma se sono meno poveri degli anziani che sostituiscono, la conseguenza è che il tasso di povertà degli anziani diminuisce. Questo effetto di scivolamento, che provoca automaticamente un calo della povertà per gli anziani, rischia di interrompersi se i redditi delle generazioni più giovani non crescono.
Tab. 2 Indici di diffusione della povertà per classi di età (%)
2004 | 2014 | |
---|---|---|
Non anziani | 19,0 | 24,0 |
66-75 | 21,8 | 14,6 |
≥76 | 23,5 | 18,0 |
Totale ≥66 | 21,9 | 16,3 |
Totale | 19,6 | 22,3 |
Le condizioni economiche medie degli anziani sono sicuramente migliorate, in media, nel corso dell’ultimo decennio, ma solo per alcuni: anche se il numero degli anziani in povertà è diminuito, il reddito medio di quelli che restano in povertà non è praticamente cambiato in 10 anni: era di 7615 euro (equivalenti, cioè pro-capite corretti per le economie di scala familiari) nel 2004, è di 7608 euro nel 2014. La riduzione del rischio di povertà per questa classe di età è frutto quindi di un incremento che ha riguardato solo alcune famiglie, mentre per la maggioranza le condizioni economiche non sono sostanzialmente mutate. Il grafico presenta la distribuzione di frequenza degli anziani per classi di reddito equivalente (in migliaia di euro) nel 2004 e nel 2014. La linea verticale indica la soglia di povertà, fissa in termini reali. Nel decennio è evidente il miglioramento, visibile dalla riduzione delle frequenze più basse, in particolare quella immediatamente sotto la linea, ma resta comunque un numero significativo di individui sotto la soglia.
nbsp;
Fig. 1 Distribuzione degli anziani per classi di reddito equivalente
Guardando alle principali caratteristiche degli anziani poveri nel 2014 (Tab. 3, sezione destra), è interessante notare che sono ripartiti in modo abbastanza omogeneo tra le diverse aree del paese: circa un terzo di chi ha tra 66 e 75 anni vive infatti nel Nord, percentuale che cresce al 41% per chi ha almeno 76 anni. L’incidenza degli anziani poveri sul totale della popolazione anziana è invece al Nord molto inferiore rispetto a quella delle regioni meridionali (sezione sinistra della tabella).
Tab. 3 Distribuzione degli anziani poveri per area, 2014 (%)
Poveri tra gli anziani dell’area | Ripartizione del totale dei poveri tra aree | |||||
---|---|---|---|---|---|---|
66-75 | ≥76 | Totale ≥66 | 66-75 | ≥76 | Totale ≥66 | |
Nord-ovest | 9 | 13 | 11 | 20 | 23 | 22 |
Nord-est | 7 | 17 | 12 | 12 | 17 | 14 |
Centro | 12 | 16 | 14 | 16 | 19 | 18 |
Sud | 24 | 23 | 23 | 33 | 26 | 29 |
Isole | 30 | 28 | 29 | 19 | 15 | 17 |
Totale | 15 | 18 | 16 | 100 | 100 | 100 |
Sembra che in dieci anni le condizioni di salute degli anziani poveri si siano polarizzate (Tab. 4): aumenta infatti la percentuale di chi, pur essendo in povertà, si considera in salute buona o molto buona (da 12% a 19%) e pure quella di chi invece si percepisce in cattiva o molto cattiva salute (da 32% a 39%), mentre diminuisce significativamente la frequenza di chi fornisce una valutazione intermedia. Circa il 40% degli anziani poveri in cattiva salute risiede nelle regioni settentrionali. Qualche breve commento?
Tab. 4 Salute percepita dagli anziani (≤66) in povertà (%)
2004 | 2014 | |
---|---|---|
Molto buona | 1 | 1 |
Buona | 11 | 18 |
Né buona né cattiva | 55 | 42 |
Cattiva | 27 | 30 |
Molto cattiva | 5 | 9 |
Totale | 100 | 100 |
Che qualcosa stia peggiorando almeno per una quota di anziani in povertà è testimoniato non solo dalla distribuzione delle condizioni percepite di salute, ma anche da quanti rispondono che hanno dovuto rinunciare almeno una volta nell’ultimo anno a cure mediche perché troppo costose. La quota di chi ha dato risposta affermativa aumenta sia tra i giovani che tra gli anziani, e sia tra i non poveri che i poveri, ma la crescita è particolarmente significativa per questi ultimi, tanto che ora circa un anziano povero su sei in Italia deve rinunciare almeno una volta all’anno a cure mediche per motivi economici.
Tab. 5 Quota di persone che hanno rinunciato a cure mediche (diverse dal dentista) perché troppo costose (%)
2004 | 2014 | ||
---|---|---|---|
Non poveri | 66-75 | 2,8 | 6,1 |
≥76 | 3,1 | 5,2 | |
Totale ≥66 | 2,9 | 5,7 | |
Totale ≤65 | 1,8 | 3,3 | |
Totale non poveri | 2,0 | 3,9 | |
Poveri | 66-75 | 9,4 | 15,4 |
≥76 | 6,8 | 14,8 | |
Totale ≥66 | 8,2 | 15,1 | |
Totale ≤65 | 6,0 | 10,5 | |
Totale poveri | 6,5 | 11,2 |
È indubbio che vi sia stato un miglioramento medio delle condizioni economiche della fascia più anziana della popolazione, ma questa tendenza media nasconde la presenza di un nucleo consistente di persone per le quali poco è veramente cambiato in questi ultimi dieci anni, se non in termini relativi rispetto a chi, nelle generazioni più recenti, è stato più sfortunato.