2.4. Misure per la sanità nel Decreto rilancio


Paolo Peduzzi | 28 Luglio 2020

Il Decreto Legge “Rilancio Italia” del 19 maggio 2020 stanzia risorse per il comparto sanitario, in misura di 3,2 miliardi, di cui in particolare 1,256 miliardi per l’assistenza territoriale e 1,467 miliardi per il riordino della rete ospedaliera.

Le disposizioni in materia di assistenza territoriale prevedono che le Regioni siano chiamate ad adottare piani di potenziamento e riorganizzazione della rete assistenziale, “con l’obiettivo di implementare e rafforzare un solido sistema di accertamento diagnostico, monitoraggio e sorveglianza della circolazione del Covid-19, dei casi confermati e dei loro contatti al fine di intercettare tempestivamente eventuali focolai di trasmissione del virus, oltre ad assicurare una presa in carico precoce dei pazienti contagiati, dei pazienti in isolamento domiciliare, dimessi o paucisintomatici non ricoverati.”

I Piani devono quindi contenere specifiche misure per l’identificazione, il monitoraggio costante e il tracciamento precoce dei casi e dei contatti, al fine della relativa identificazione, dell’isolamento e del trattamento. L’organizzaione dell’attività di sorveglianza attiva dovrà essere assicurata dai Dipartimenti di Prevenzione in collaborazione con i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, i medici di continuità assistenziale e le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca).

Le Regioni sono inoltre chiamate ad organizzare un’attività di sorveglianza attiva e di monitoraggio presso le residenze sanitarie assistite e le altre strutture residenziali, anche garantendo la collaborazione e laconsulenza di medici specialisti in relazione alle esigenze di salute delle persone assistite. Il Decreto sottolinea la necessità di incrementare e indirizzare le azioni terapeutiche e assistenziali a livello domiciliare, rafforzando i servizi di assistenza domiciliare integrata per i pazienti in isolamento domiciliare e per i soggetti cronici, disabili, con disturbi mentali, con dipendenze patologiche, nonautosufficienti, con bisogni di cure palliative, di terapia del dolore, e in generale per le situazioni di fragilità.

 

Il coordinamento delle attività sanitarie e sociosanitarie territoriali dovrà essere garantito attraverso l’attivazione di centrali operative regionali con funzione di raccordo tra tutti i servizi coinvolti e con il sistema di emergenza urgenza, anche mediante strumenti informativi e di tele-medicina.

Per potenziare la presa in carico sul territorio dei soggetti infettati, il decreto introduce la figura dell’infermiere di famiglia o di comunità, prevedendo complessivamente l’assunzione di 9.600 infermieri fino ad un rapporto di 8 ogni 50.000 abitanti, fino al 31.12 attraverso forme di lavoro autonome, e a decorrere dal 1 gennaio 2021 attraverso assunzioni a tempo indeterminato, nei limiti delle risorse disponibili. Contestualmente viene incrementato il fondo per la retribuzione delle indennità di personale infermieristico previste dall’Accordo Collettivo Nazionale che disciplina i rapporti con i medici di medicina generale.

Il Decreto stanzia inoltre ulteriori risorse per il 2020 per garantire la funzionalità delle Usca, prevedendo che ne possano far parte medici specialisti ambulatoriali convenzionati, e per conferire incarichi di lavoro autonomo a professionisti del profilo di assistente sociale.

 

Le disposizioni relative al riordino della rete ospedaliera prevedono che le Regioni, tramite apposito Piano di riorganizzazione, garantiscono l’incremento di attività in regime di ricovero in Terapia Intensiva e in aree di assistenza ad alta intensità di cure, rendendo strutturale la risposta all’aumento significativo della domanda di assistenza in relazione alla gestione della situazione epidemiologica correlata al virus Covid-19.

A livello nazionale i posti letto di terapia intensiva all’inizio della pandemia erano 5.404; nel corso della pandemia sono stati attivati altri 2.377 posti letto, arrivando ad un totale di 7.781 posti letto. L’obiettivo posto dal Decreto è di arrivare a rendere strutturale un incremento di posti letto in terapia intensiva di circa il 70% rispetto alla situazione preesistente la pandemia, arrivando ad una dotazione complessiva a livello nazionale di 0,14 posti letto per mille abitanti, pari a circa 8.400 posti letto.

Le Regioni dovranno inoltre programmare un incremento di 4.225 posti letto di area semi intensiva, con dotazione impiantistica idonea a supportare le apparecchiature di ausilio alla ventilazione e monitoraggio, mediante adeguamento e ristrutturazione di unità di area medica, di cui almeno la metà, in relazione all’andamento della curva pandemica, potrà essere riconvertita in posti di terapia intensiva.

 

Per gli ospedali in cui sono state attivate unità assistenziali in regime di ricovero per pazienti affetti dal Covid-19 dovrà essere resa strutturale la separazione dei percorsi ospedalieri tra pazienti Covid-19 e non Covid-19, assicurando la ristrutturazione dei Pronto Soccorso con l’individuazione di distinte aree di permanenza per i pazienti sospetti Covid-19 o potenzialmente contagiosi, in attesa di diagnosi.

Il decreto prevede inoltre la creazione di ospedali mobili per la fase emergenziale prevedendo 300 posti letto di terapia intensiva, suddivisi in 4 strutture movimentabili, ciascuna delle quali dotata di 75 posti letto, da allocare in aree attrezzabili preventivamente individuate.

Sono previste infine misure di implementazione dei mezzi di trasporto dedicati e misure a sostegno della spesa per il personale sanitario.

 

Meritano un commento le disposizioni in materia di assistenza territoriale dove è evidente lo sforzo di investire in un settore della sanità, ampiamente sottofinanziato negli ultimi anni, che richiede interventi di potenziamento e riorganizzazione.

Dopo avere attivato le Usca con il Decreto Legge 14/20 del 9 marzo 2020, viene introdotta la figura dell’infermiere di famiglia, professionista con specifiche competenze e un ruolo potenzialmente rilevante nella gestione delle fragilità e delle malattie nell’ambito dell’assistenza territoriale, in grado di agire e interagire all’interno di team socio sanitari. Il Decreto si limita a quantificare la potenziale domanda di questa figura professionale e a prevedere dal 2021 un rapporto di dipendenza con il SSN, lasciando aperto il nodo della sua collocazione organizzativa, e in particolare il livello di interazione organizzativa con gli altri professionisti. Se da una parte è lodevole, e sicuramente risponde ad un bisogno, l’implementazione delle risorse infermieristiche nell’assistenza territoriale, dall’altra è urgente impostare e avviare un disegno unitario di potenziamento dell’assistenza primaria, a partire dal ruolo del medico di medicina generale.

 

Il nodo, che ritengo non più eludibile, per rispondere alle carenze organizzative dell’assistenza territoriale manifestatesi nelle fasi iniziali dell’epidemia da Coronavirus, è la scelta tra un’assistenza territoriale fondata su una pluralità di professionisti , diversamente organizzati in una logica di reti e di centrali operative, e un’assistenza sanitaria primaria fondata su una struttura organizzativa della medicina generale composta da una pluralità di professionisti, in primis medici e infermieri, che ha nel medico di fiducia la figura centrale di riferimento per l’assistito.

Le misure di implementazione previste per l’assistenza territoriale e per l’assistenza ospedaliera devono essere lette in una logica di continuità e non di comparti separati: un’assistenza territoriale potenziata e organizzata sarà messa nelle condizioni di reggere la domanda di assistenza e cura di ulteriori ondate epidemiche, mantenendo al proprio domicilio i casi meno impegnativi, riducendo il numero di assistiti che necessitano di ricovero ospedaliero e limitando l’impatto sulle terapie intensive.