Coprogettazione e non solo. L’intervento di Fondazione Cariplo


Monica Villa | 26 Novembre 2018

Fondazione Cariplo è un soggetto radicato nel proprio territorio di intervento, che è esteso e ad alta intensità abitativa in quanto comprende tutti i territori della Lombardia più quelli di due province piemontesi (Novara e VCO), per un totale di più di 10 milioni di abitanti.

Storicamente Fondazione Cariplo ha assunto il ruolo di soggetto innovatore ed anticipatore individuando specifiche tematiche (es. housing sociale, inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati etc.) e obiettivi di cambiamento chiari su cui costruire progetti di innovazione.

 

A un certo punto però ci si è resi conto che in realtà l’aspetto da rafforzare spesso non riguarda una specifica area settoriale, ma è l’intero sistema di welfare che fatica a rispondere ai cambiamenti della società. Da questa considerazione è scaturita l’dea di attivare uno strumento di nuovo, mirato a costruire una sorta di framework di attivazione e facilitazione per rafforzare il welfare locale. Si è in altre parole usciti dalla logica di ricercare un’innovazione puntuale su uno specifico intervento, chiedendo invece ai territori di ragionare per sperimentare piste di innovazione complessiva dei sistemi di welfare; e si è richiesto che ciò avvenisse con uno sforzo dal basso, facendo attivare insieme pubblico e privato sociale per sperimentare, a livello territoriale, l’attivazione di un welfare comunitario utile a superare un approccio assistenziale ed emergenziale e in grado invece di essere preventivo e promozionale.

 

Questi sono i presupposti con cui Cariplo ha promosso il bando “Welfare in azione” (in quattro edizioni 2014-2017) in cui si è chiesto alle reti territoriali pubbliche e private di ragionare insieme attorno a un possibile cambiamento del proprio sistema di welfare territoriale, partendo dall’individuazione di un problema.

Abbiamo quindi fatto un passo indietro, senza dire ai territori su che temi lavorare: è stato chiesto loro di individuare un problema rispetto a cui le risposte esistenti fossero assenti o non soddisfacenti e di disegnare una pista di innovazione, insistendo sul fatto che pubblico e privato sociale lavorassero assieme attraverso il coinvolgimento anche di quegli attori in genere un po’ fuori dalle reti che si occupano di servizi sociali, come le aggregazioni informali di cittadini, il mondo delle imprese e delle Università.

Nello specifico, abbiamo chiesto ai territori di effettuare tre step – co-programmazione, co-progettazione e co-gestione delle risposte –  e ai due attori prioritari dei sistemi di welfare, ente pubblico e terzo settore, di cambiare un po’ pelle: all’ente pubblico si è chiesto di uscire dalla logica di definire autonomamente le politiche e poi chiedere a qualcun altro di realizzarle, ma di porsi come un soggetto facilitatore del territorio e garante dell’equità; al terzo settore si è chiesto di uscire dalla logica dell’autoreferenzialità e del muoversi prioritariamente come esecutore di una delega da parte dell’ente pubblico attraverso l’esternalizzazione, per co-costruire insieme delle risposte.

 

Ovviamente l’impresa richiesta ai territori non era semplice: oltre alle cospicue risorse a disposizione (in totale 40 milioni di euro per 4 edizioni) e la fiducia nella capacità di innovazione degli attori locali, abbiamo quindi deciso di mettere a disposizione un framework facilitante.

Per ogni edizione del bando sono state individuate tre fasi di realizzazione: call for ideas, studio di fattibilità e realizzazione. L’idea alla base era quella che per innovare bisognava aprire innanzitutto degli spazi di pensiero, cercando quindi di spostare l’attenzione dalla scrittura del progetto a quella dell’idea.

Siamo partiti con la raccolta delle proposte da parte dei territori (intesi non come singoli comuni, ma come ambiti o sovrambiti territoriali), chiedendo agli stessi di individuare con chiarezza il problema e l’innovazione con cui rispondere a tale problema. Successivamente, passando alla fase dello studio di fattibilità, abbiamo selezionato le idee che più ci convincevano e abbiamo accompagnato i territori dall’idea al progetto, attraverso alcuni soggetti facilitatori. Tali soggetti hanno avuto il compito di affiancare i territori in processi di facilitazione progettuale (creazione di un linguaggio comune, condivisione della lettura del problema, etc.) e di fundraising.

L’ultima fase è poi quella della realizzazione dei progetti, della durata di tre anni: i progetti vengono di anno in anno ridefiniti in un’ottica di coprogrammazione e coprogettazione costante. Questo percorso ci ha permesso anche di accompagnare i territori in fase di realizzazione dei progetti – 27 in totale nelle prime tre edizioni– sia per il monitoraggio, sia attivando una comunità di pratica, collocandoli costantemente in un setting di confronto e facilitazione.

 

Quali risultati nella collaborazione pubblico-privata? Sicuramente stiamo vedendo tanta fatica perché sia per il pubblico che per il Terzo settore è più rassicurante stare all’interno delle dinamiche consuete, spesso gestite mediante l’uso di gare; entrare in una logica diversa è un percorso difficile che può incontrare diverse resistenze.

In tutti i territori stiamo comunque registrando una forte spinta a ridisegnare gli assetti tra i partner di progetto per dotarsi di forme organizzative che consentano di ottenere la gestione efficiente di processi decisionali e organizzativi compartecipati e la ricomposizione di processi altrimenti frammentati tra attori e azioni diversi.

Un risultato che invece non abbiamo ancora raggiunto riguarda il passaggio da un governo condiviso del progetto ad un cambiamento della governance territoriale della gestione delle politiche: ad oggi siamo ancora molto dentro alla logica del governo del singolo progetto e non siamo in grado di capire se nei territori rimarrà un modo di lavorare nuovo, legato a un diverso rapporto tra attori del pubblico e del privato sociale e un costante allargamento agli attori “non consueti” del welfare.

Inoltre, la comunità è stata coinvolta nella co-costruzione dei servizi, ma è ancora embrionale il coinvolgimento nella programmazione e nella progettazione.

Infine, un ultimo aspetto critico è da ricondurre al fatto che questi progetti di lungo respiro e lunga durata possono subire delle battute di arresto anche in conseguenza a cambiamenti di maggioranze, in particolare locali.

 
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