La coprogettazione costituisce un’opportunità. Per comprendere appieno il senso di questa affermazione e di come e per chi la coprogettazione rappresenti un’opportunità, è utile partire da una esperienza concreta: quella del lavoro che si è fatto in questi anni nella città di Brescia.
Innanzitutto un dato incontrovertibile. Il primo risultato dell’azione per far diventare Brescia, completamente una “città a zero gare”, è stato il suo configurarsi come una “città a zero ricorsi”. Infatti, riguardo alle attività di welfare, da quando si è insediata la nuova amministrazione, quattro anni fa, non si è determinato nessun contenzioso. Si tratta di un risultato non secondario, che già da solo evidenzia come un diverso rapporto tra enti pubblici e terzo settore produca un ambiente totalmente diverso da quello che caratterizza i sistemi basati sugli appalti, dove ormai un ricorso quando non si vince la gara, sembra voglia farselo mancare nessuno.
Anche la seconda considerazione si rifà a un dato di realtà. Il welfare locale non è prodotto unicamente né prevalentemente della pubblica amministrazione, come vorrebbe il presupposto ideologico della visione welfarista socialdemocratica. Il welfare è prodotto dall’intera comunità in tutte le sue articolazioni.
Il welfare locale è dunque il risultato dell’azione di un insieme di produttori organizzati (cooperazione sociale, associazionismo, volontariato, la municipalità, fondazioni etc.), e di produttori individuali (badanti, psicologi, medici di base, farmacisti ecc.: tutti coloro che producono benessere per la comunità), nonché dell’azione delle famiglie e dei caregiver. Nel 2016 a Brescia hanno operato 318 produttori dei servizi di welfare gestiendo complessivamente 767 unità operativa. Il Comune è uno dei produttori organizzati e gestisce 48 servizi, gli altri 317 produttori – dalla piccola associazione alla grande fondazione – gestiscono 719 servizi. Abbiamo poi stimato almeno 3500 produttori individuali (230 psicologi, 3000 badanti, 134 medici di base, 40 pediatri di base, 60 farmacie).
Per avere il quadro complessivo del sistema di produzione della città sarebbe utile stimare anche il numero dei caregiver familiari e soprattutto dei volontari. È un lavoro che si è cominciato a fare ma che non è facile, soprattutto quando ci si confronta con dimensioni dell’agire connotate da informalità. Abbiamo poi pesato il dato economico. Al netto della stima del valore del lavoro dei volontari, il valore economico complessivo è di circa 175-180 milioni di euro di cui solamente 34 milioni sono rappresentati dal bilancio del Comune. È quindi evidente che abbiamo quindi a che fare con una grandissima rilevanza economica di altri soggetti, molti dei quali privati.
Se questi sono i dati, non è sensata una politica che si basi sulla presunzione che sia il Comune ad erogare i servizi , eventualmente approvvigionandosi di forza lavoro tramite appalti. È invece corretto considerare il welfare locale come il prodotto di un “distretto produttivo del welfare” della città; un “distretto” non nell’accezione del distretto amministrativo socioassistenziale, ma in quella del distretto industriale.
Ciò premesso, l’art. 55 del Codice del terzo settore serve a chi fa propria una visione come quella sopra richiamata e concepisce quindi la pubblica amministrazione come il soggetto leader che deve innervare, orientare, rendere efficace e più produttivo il sistema complessivo del welfare, in primo luogo garantendo equità e universalismo. Il pubblico deve quindi imparare a lavorare come sviluppatore e animatore di un sistema di produzione molto complesso, il distretto del benessere appunto.
L’art. 55 rappresenta inoltre un’opportunità per chi crede nella gerarchia delle leggi e nella forza trasformativa della Costituzione. La Riforma costituzionale del 2001 con l’affermazione del principio di sussidiarietà dell’articolo 118 è uno spartiacque. Tuttavia l’impatto delle riforme costituzionali non è immediato, ma è molto complesso perché si sviluppa lungo due traiettorie: la prima èla rilettura di tutto l’apparato normativo esistente per valutarne la coerenza rispetto al nuovo dettato costituzionale; la seconda riguarda la promulgazione di leggi applicative del nuovo dettato costituzionale, che avvengono anche dopo molti anni. L’art. 55 è il primo articolo attuativo, e complessivamente il Codice del terzo settore è la prima legge attuativa, del comma 4 dell’art. 118 della Costituzione. Lo richiama espressamente: è il principio di sussidiarietà, così come declinato dalla Costituzione e che trova applicazione attraverso la promulgazione del Codice del terzo settore, e in particolare nell’art. 55, che non potrebbe avere dunque fondamento più solido, molto più solido rispetto a una qualsiasi legge di settore nazionale o regionale.
Il nostro sforzo è quello di leggere l’art. 55 come l’occasione per voltare pagina e ricostruire concettualmente e operativamente un filone di riflessione tecnico-giuridica e di costruzione di strumentazione nuovo, che tenga conto del fatto che la riflessione che parte dall’art. 118 della Costituzione e prosegue con l’art. 55 del d.lgs. 117/2017 rappresenta uno spartiacque che offre la possibilità di interpretare il ruolo della pubblica amministrazione nella logica del soggetto animatore e promotore del distretto del benessere. Anche perché l’art. 55 è un articolo particolarmente ben fatto dal punto di vista tecnico, ed è la dimostrazione di come si possono fare grandi riforme con poche e chiare parole prescrittive. Vi è infatti costruita una filiera concettuale, che parte dalla coprogrammazione, passa come attuazione in dettaglio alla coprogettazione e genera come esito non l’affidamento di un appalto, ma l’accreditamento e il partenariato.
Come già evidenziato, l’art. 55 richiama espressamente l’art. 118 in quanto ci dice che: “gli enti pubblici assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del terzo settore, attraverso forme di coprogrammazione, coprogettazione e accreditamento”. Il termine “assicurare” implica un obbligo in capo all’amministrazione di promuovere coinvolgimento attivo del Terzo settore e, dall’altra parte,l’ insorgere di un diritto soggettivo del Terzo settore ad essere coinvolto. Tutto ciò deve essere fatto attraverso forme di evidenza pubblica e di coinvolgimento trasparente dei soggetti chiamati a lavorare a questo processo.
A Brescia in qualche modo si è anticipato l’art. 55; lo si è fatto nella pratica e anche predisponendo un Regolamento generale di attuazione dell’art. 55 in quanto, dal punto di vista del procedimento amministrativo, tale articolo ha bisogno di una strumentazione amministrativa robusta quanto quella del codice degli appalti.
Un’ultima considerazione. Questa visione richiede una profonda revisione dell’approccio da parte degli enti del terzo settore. In questi anni, in cui abbiamo creato tavoli, fatto coprogrammazione e coprogettazione, definito insieme degli standard; in questa situazione spesso è emerso il disagio e la difficoltà di tutte quelle realtà, soprattutto cooperative, che a causa di 40 anni di richieste inopportune della pubblica amministrazione si sono abituate ad essere essenzialmente fornitori di manodopera. C’è veramente bisogno di un cambio di visione, di momenti di riflessione e di processi formativi.
Tornando alla nostra esperienza, a Brescia attraverso la coprogettazione abbiamo sviluppato, a parità di budget, molti servizi in più: il risparmio è derivato dall’efficientamento complessivo. La qualità e la quantità delle prestazioni, e la possibilità di integrazione delle risorse presenti sul territorio è enormemente aumentata. Non si tratta dunque un risparmio tout court della spesa pubblica, ma dell’aumento complessivo delle prestazioni in quanto la loro qualità e capacità di soddisfare il benessere dei cittadini è enormemente aumentato. A noi il compito di mettere tale visione a terra all’interno del territorio e dell’attività quotidiana che siamo chiamati a svolgere.
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