Promuovere la collaborazione fra enti pubblici e organizzazioni private
Guido Ciceri | 29 Novembre 2018
Prima di entrare nel merito della strumentistica amministrativa, dichiaro l’intento dell’intervento e la tesi che lo sottende: la coprogettazione non è un modo comodo e più veloce di affidare i servizi al posto del D.lgs. 50/2016, che ha complicato enormemente la vita delle pubbliche amministrazioni e del terzo settore, ma è uno strumento in corso di sviluppo per provare a lavorare sulla qualità e sull’appropriatezza dei servizi, attraverso un più intenso scambio di idee e visioni.
Ritengo importante iniziare il mio intervento con il pensiero di un emerito costituzionalista, Gustavo Zagrebelsky: “le idee racchiuse in se stesse s’inaridiscono e si spengono. Solo se circolano e si mescolano, vivono e fanno vivere, si alimentano le une con le altre e contribuiscono alla vita comune, cioè alla cultura”. Mi piace dunque pensare alla coprogettazione come a un insieme di idee che circolano. Il mio compito è quello di passare da queste idee agli strumenti utilizzati per poterle realizzare. In particolare, mi concentrerò sul quadro normativo di riferimento, sui rapporti tra pubblica amministrazione e terzo settore, e infine sugli strumenti amministrativi della coprogettazione.
Il quadro normativo
Il quadro normativo si delinea intrecciando due livelli: quello nazionale, con un percorso che va dalla 328/2000 e al conseguente DPCM del 30/3/2001, fino ad arrivare al recente Codice del terzo settore; e quello regionale, dal momento che gli atti normativi nazionali però tratteggiano soltanto la coprogettazione, rinviando alla legislazione regionale le definizioni più precise.
Tali indicazioni regionali hanno prodotto atti di natura profondamente diversa ed estremamente dettagliata; in alcuni casi si tratta di leggi regionali, in altri di atti che in alcuni casi possiedono di rango e natura molto deboli, come nel caso della Regione Lombardia dove un importante atto che definisce in modo dettagliato come coprogettare è stato assunto attraverso un decreto di un direttore generale, senza quindi la portata e la forza di atti normativi di livello superiore. Le legislazioni regionali sono inoltre disomogenee: per esempio, la Regione Veneto definisce la coprogettazione attraverso una legge regionale ma la inquadra all’interno dello schema concessorio degli appalti.
Analizzando gli atti normativi possiamo in sintesi affermare che la coprogettazione è un procedimento amministrativo partecipato, competitivo o non competitivo, che può sfociare o in accordi di collaborazione (ai sensi del D. Lgs. 267/2000) o in accordi procedurali (ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990).
I rapporti tra enti pubblici e terzo settore
Nella definizione dei rapporti tra pubblica amministrazione e terzo settore, abbiamo, quindi, da un lato il Codice dei contratti (appalto e concessione) e, dall’altro strumenti basati sulla coprogettazione che fondano i rapporti tra pubblica amministrazione e terzo settore sono definiti sulla base della legge 328/2000, dalle leggi regionali e dal recente Codice del terzo settore e si concretizzano in accreditamenti o istruttorie pubbliche di coprogettazione. I rapporti tra pubblica amministrazione e terzo settore possono dunque essere definiti attraverso queste quattro strutture: appalto, concessione, accreditamento e istruttoria pubblica di coprogettazione. Da questo derivano ruoli diversi della pubblica amministrazione che è committente nell’appalto, concedente nella concessione, certificatore di requisisti nell’accreditamento e partner nella coprogettazione. L’unico elemento che tiene assieme le quattro forme è l’evidenza del processo, sempre pubblica. Le modalità di scelta del soggetto possono essere competitive o non competitive. L’altro nodo cruciale è la titolarità degli interventi: nell’appalto è pubblica, mentre nell’istruttoria di coprogettazione è pubblico-privata.
Quando coprogettare
L’art. 7 del DPCM del 30 marzo 2001, prima del Codice del terzo settore unica fonte di riferimento a livello nazionale oltre alla delibera dell’ANAC del 2016, sosteneva che le amministrazioni possano indurre istruttorie pubbliche di coprogettazione per affrontare specifiche problematiche sociali connotate da innovazione e sperimentalità; questi due elementi vengono meno nel Codice del terzo settore che amplia l’utilizzo della coprogettazione alla generalità degli interventi nei settori di interesse generale.
L’istruttoria pubblica di coprogettazione
L’istruttoria pubblica di coprogettazione è un procedimento amministrativo partecipato, finalizzato all’individuazione di soggetti terzi disponibili ad una progettazione concertata di servizi e interventi sociali. Nei primi anni di coprogettazione è stata data una grande enfasi all’individuazione del soggetto, forse eccessiva rispetto all’interesse che dovrebbe essere dedicato alla fase di cogestione degli interventi, che è un punto di osservazione importante. A questo proposito, l’istruttoria prevede un rapporto di partenariato tra pubblico e privato per la produzione di servizi coprogettati, non un affidamento della gestione dei servizi, come avveniva nel D.lgs. 50/2016; ma di questo spesso vi è una scarsa consapevolezza, tanto è vero che molte istruttorie pubbliche di coprogettazione utilizzano un vocabolario ancora estremamene connesso all’affidamento di servizi e appalti. Al contrario i due tipi di procedimenti appartengono a domini diversi, tanto è vero che l’istruttoria di coprogettazione non dà luogo ad un provvedimento di aggiudicazione e soprattutto non esiste un corrispettivo in cambio di una prestazione. Tutti questi sono gli elementi caratteristici dell’appalto previsti del D.lgs. 50/2016, che nell’istruttoria pubblica di coprogettazione vengono meno. L’elemento essenziale è che il rapporto tra pubblica amministrazione e terzo settore non nasce in ordine alla gestione di un servizio definito su un capitolato, ma alla progettazione congiunta che prevede la ricerca di una serie di modi e strumenti per gestire tali servizi. Riepilogando, gli elementi che caratterizzano l’istruttoria pubblica di coprogettazione sono: procedura di istruttoria pubblica che non sfocia in un affidamento; disponibilità a coprogettare e a fornire risorse non strettamente economiche, ma anche logistiche, strumentali, organizzative e professionali; assegnazione economica che non assume la forma di corrispettivo, bensì viene riconosciuta a titolo di corrispettivo. Tra i soggetti coprogettanti si stabilisce quindi un rapporto di partnership, di corresponsabilità, sostanzialmente differente dal rapporto di committenza.
Gli strumenti amministrativi
Proviamo ora a tratteggiare gli strumenti amministrativi per la coprogettazione. Il tentativo è quello di definire un modello idealtipico di procedimento che, su un terreno confinante con quello del D.lgs. 50/2016, si pone su un terreno profondamente diverso, ma altrettanto legittimo e sostenibile; legittimo dal punto di vista del rispetto delle norme del nostro Paese, e sostenibile in termini di oneri gestionali ed efficacia economica. Si tratta quindi di delineare un procedimento amministrativo basato sugli elementi normativi sin qui descritti, consapevoli che va collocato in un quadro normativo poco definito a livello nazionale, caratterizzato da legislazioni regionali non sempre coerenti e che si muove su un terreno confinante con i procedimenti tradizionali regolati dal Codice degli appalti, e quindi potenzialmente insidioso. Come rinforzare questo processo? Come operare in modo chiaro e trasparente in un contesto relativamente incerto?
Un quadro coerente per la coprogettazione
A tal fine è necessario collocare la coprogettazione entro un quadro coerente, individuando a questo proposito almeno due elementi. Il primo è la presenza di un Piano di zona, luogo dove si realizza la coprogrammazione, ovvero quel luogo dove si definiscono alleanze e strategie, e si individuano modi e intenti politici per la gestione dei servizi. Il secondo elemento è un regolamento per la coprogettazione, ovvero una dichiarazione chiara, effettuata da parte di comuni o ambiti territoriali, che esprimono un orientamento alla coprogettazione. Questi elementi delineano il modello di sussidiarietà a cui un determinato territorio intende orientarsi, definendo quindi il posizionamento dei rapporti tra pubblico e terzo settore e rendendo conoscibile l’intento del territorio rispetto al tema dell’affidamento e della gestione dei servizi. Il regolamento per la coprogettazione è teso a rinforzare per quella zona le regole e i procedimenti amministrativi di massima: deve essere inteso non semplicemente come una definizione normativa, ma soprattutto come un luogo di elaborazione in itienere in cui gli operatori si possano riconoscere.
Le fasi operative
Passiamo ora alle fasi operative. Come si fa la coprogettazione? L’ente pubblico è colui che ha l’iniziativa – magari anche su spinta del privato o del terzo settore –, redige un progetto di massima (l’atto di avvio del percorso di coprogettazione che ne definisce le linee guida, i limiti e le risorse economiche) in cui si evidenzia il problema e indice l’istruttoria pubblica di coprogettazione. Il terzo settore manifesta interesse a coprogettare e la pubblica amministrazione valuta le proposte, selezionando poi il soggetto coprogettante. Dopodiché inizia il vero processo di coprogettazione, che consiste nel mettersi insieme all’interno di contesti amministrativi ed organizzativi. Uno dei principali criteri di valutazione è la territorialità, ovvero la capacità di cogliere i problemi del territorio e di ipotizzare insieme alla pubblica amministrazione le risposte. È importante quindi pensare alla costruzione di uno spazio tecnico permanente di revisione del progetto, una sorta di Cabina di regia. Questo perché la coprogettazione non si conclude con l’affidamento o con la definizione del progetto, ma implica anche la cogestione, una fase molto delicata e critica. È opportuno quindi pensare allo sviluppo della coprogettazione come ad una sorta di continuum dove, da un progetto iniziale, si ha una prima coprogettazione, poi una cogestione, una valutazione e una revisione del progetto, una seconda coprogettazione e via dicendo.
In conclusione
Concludendo, le condizioni favorevoli allo sviluppo della coprogettazione sono costituite da favorevoli condizioni di partenza del territorio, in termini di sistema di relazioni con il terzo settore; scelta strategica forte, che affondi le sue radici nello sviluppo dei rapporti tra pubblico e terzo settore; intenzionalità politica sostenuta da una robusta capacità tecnica; attitudine ad avventurarsi sulla frontiera della sperimentazione di percorsi amministrativi originali. È bene sottolineare che lo sviluppo della coprogettazione non rappresenta una scorciatoia, ma genera un consistente onere amministrativo e progettuale a carico dell’ente pubblico: l’amministrazione che progetta continua a lavorare durante tutto il percorso in un contesto in cui i processi amministrativi sono meno definiti e normati, si opera in un campo aperto e si è meno protetti. La coprogettazione consente anche ad associazioni ed enti che hanno una conoscenza approfondita dei bisogni dal basso di affacciarsi alla progettualità. Il vero ostacolo è costituito dalle culture amministrative, legate a comportamenti consolidati sia all’interno della pubblica amministrazione che del terzo settore: muoversi nel campo delle procedure conosciute e rigidamente normate è sicuramente più tutelante per il pubblico e più rassicurante per il privato. Ma la coprogettazione nasce nel momento in cui i diversi soggetti per perseguire un obiettivo condiviso sono disposti a mettersi in gioco andando oltre questi confini rassicuranti.
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