Migrazioni. Elezioni 2018


Eduardo BarberisEnrico Gargiulo | 21 Febbraio 2018

L’agenda politica della XVII legislatura sulle questioni migratorie si è caratterizzata per due temi:

  1. la crisi migratoria nel Mediterraneo e le misure di accoglienza e protezione umanitaria;
  2. l’infruttuoso tentativo di riforma della legge sulla cittadinanza.

 

La crisi migratoria e la sua regolazione

L’intensificarsi delle migrazioni di fuga, degli sbarchi, delle morti “di viaggio” ha caratterizzato l’agenda pubblica e ha prodotto cambiamenti normativi fino al termine della legislatura.

Fra il 2013 e il 2017 sono sbarcati sulle coste italiane più di 650mila migranti: oltre 90mila sono minori (per ¾ non accompagnati) e 82mila donne. Le richieste di asilo sono state ca. 400mila, quelle esaminate ca. 300mila, per il 55% oggetto di diniego.

Dopo i primi interventi di recepimento di direttive europee su protezione internazionale e tratta (D.Lgs. 18/2014; D.Lgs. 24/2014; D.Lgs. 142/2015), gli interventi più significativi si hanno dopo la nomina di Minniti a Ministro degli Interni: è il caso del DL 13 del 17/02/2017, poi convertito in l.46/2017, “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”, meglio noto come Decreto Minniti-Orlando.

Il decreto ha modificato la gestione delle controversie sul riconoscimento della protezione, istituendo 26 sezioni di tribunale specializzate, e ha introdotto nuove procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, con un modello processuale che mira a ridurre la durata dell’iter giudiziario, eliminando un grado di giudizio. Il provvedimento ha inoltre apportato modifiche al T.U. sull’immigrazione, per rafforzare il contrasto alla mobilità illegale e assicurare l’effettività delle espulsioni, anche semplificando le procedure di identificazione e potenziando i CIE, ribattezzati “Centri di permanenza per il rimpatrio”.

Sul piano della gestione delle frontiere e dell’assistenza umanitaria, la legislatura segna il passaggio dall’operazione Mare Nostrum, gestita in autonomia dall’Italia, a Triton, condotta da novembre 2014 da Frontex, col contributo volontario di 18 dei 25 stati UE. Questo passaggio afferma una logica securitaria, imperniata sul controllo dell’immigrazione come minaccia, e uno svilimento della logica del diritto umanitario. Un’accoglienza respingente.

Tale logica è confermata poi dal sistema degli hotspots, parte dell’Agenda europea sull’immigrazione: un metodo di gestione dei flussi migratori eccezionali che sostiene gli Stati membri in prima linea nell’affrontare le pressioni sulle frontiere esterne UE, basato su rapide operazioni di identificazione e registrazione dei migranti, così da consentire la loro “redistribuzione” tra gli Stati membri. Secondo alcuni – come il progetto Meltingpot e Amnesty international – queste strutture funzionerebbero soprattutto come luoghi di sommaria e discrezionale distinzione tra rifugiati e “migranti economici”, favorendo così i respingimenti differiti.

Sempre all’interno di una logica di controllo si collocano altre iniziative prese da Minniti, per esempio sui rimpatri e il controllo “preventivo” dell’immigrazione sulla sponda sud del Mediterraneo, che porta a marzo 2017 ad un accordo con le forze libiche sul controllo delle migrazioni. Nello stesso solco può considerarsi il Codice di condotta per le Ong impegnate nelle operazioni di salvataggio dei migranti in mare. Il Codice – non vincolante giuridicamente – ha introdotto limiti e paletti all’operato delle ONG, al centro di una campagna mediatica che le ha accusate di essere conniventi con i “trafficanti”.

 

Tentativi di gestione strutturata delle migrazioni

Nel corso della legislatura ci sono stati anche tentativi di un discorso più programmatico sulle migrazioni. Possiamo citare il “migration compact”, con cui l’allora premier Renzi avanzava alle istituzioni europee proposte per ridurre i flussi tramite intese con i paesi d’origine e di transito e investimenti in opere sociali e infrastrutturali.

Sul fronte interno, il dicastero guidato da Minniti ha prodotto il Piano nazionale d’integrazione dei titolari di protezione internazionale. Il documento (un commento qui) si focalizza, fra l’altro, sul tema del lavoro volontario come forma di integrazione. Sempre sul tema del lavoro, una iniziativa connessa può essere considerata la legge sul caporalato (l. 199/2016).

Un altro tema trattato nel corso della legislatura è stato quello dei minori non accompagnati, con l’approvazione della l. 47/2017 (nota come legge Zampa). Essa conferma il divieto di respingimento del minore e limita la possibilità del suo allontanamento. La norma definisce le modalità con cui si deve svolgere il colloquio con il minore, disciplina le procedure di identificazione, chiarisce il percorso di accoglienza e introduce la figura del tutore volontario, definisce le condizioni per il rimpatrio volontario assistito e le misure in favore di minori vittime di tratta e/o richiedenti protezione internazionale.

Infine, il tentativo più strutturato sulla gestione della diversità figlia delle migrazioni è stata la proposta di riforma della cittadinanza, che prevedeva l’introduzione dello ius soli temperato (cittadinanza ai figli dei lungosoggiornanti) e dello ius culturae (cittadinanza ai minori che hanno frequentato un ciclo scolastico in Italia). Come è noto, il provvedimento non è stato discusso dal Senato.

 

Cosa ci si può aspettare per la prossima legislatura?

Nonostante il calo degli sbarchi nel 2017, è difficile considerare esaurita la crisi migratoria mediterranea. Molte delle questioni oggetto di dibattito in questi anni si ripresenteranno anche durante la XVIII legislatura.

La questione libica resta critica e le forze in campo in un contesto così disarticolato non forniscono garanzie di affidabilità, né sulla fine degli sbarchi né sul rispetto dei diritti fondamentali dei migranti. Come garantire canali legali e protetti per le migrazioni umanitarie resta un problema aperto. Le esperienze dei corridoi umanitari potrebbero essere considerate nel marketing politico una soluzione accettabile, che mette assieme garanzie dei diritti e controllo sulla qualità, quantità e “meritevolezza” dei nuovi arrivi. Al contempo, sul lato europeo, dovrà proseguire il lavoro sui meccanismi di solidarietà, con la revisione del regolamento di Dublino III e dei ricollocamenti.

Si dovrà discutere ancora dei salvataggi in mare. Da un lato, ci saranno gli effetti politici delle indagini sulle ONG: al momento è difficile prevedere l’esito di iniziativa giudiziarie che potrebbero anche essere un buco nell’acqua. Nel qual caso, ci sarà una ripresa dell’iniziativa privata di search and rescue? Con quali risposte da parte delle istituzioni?

Dall’altro lato, ci potrebbero essere effetti politici dei naufragi. Se l’opinione pubblica sembra essersi abituata al bollettino di morte, in una arena di policy così basata su emergenza e emotività, un nuovo caso Alan Kurdi potrebbe mobilitare un qualche intervento.

Le priorità nell’arena internazionale non debbono far dimenticare l’arena interna. La cronica debolezza dell’Italia nell’identificare modelli di integrazione si può riflettere sulla gestione umanitaria e sui corsi di vita dei titolari di protezione.

Per come si è sviluppata la politica migratoria italiana, punteremmo qualche euro su nuove misure di contrasto all’immigrazione irregolare, rivolte ai diniegati: si tratta di un numero corposo di soggetti che non hanno ottenuto protezione e si trovano in una posizione giuridica irregolare e in una situazione personale che ne può alimentare l’inserimento nella marginalità grave (assenza di dimora, condizioni psichiatriche…) e in circuiti criminali e devianti (compreso lo sfruttamento sessuale e lavorativo).

Le opzioni di policy per questo gruppo possono essere opposte: dal riconoscimento di un permesso temporaneo (proposta della campagna “Ero straniero”) ad una rigida politica di espulsioni e rimpatri (cosa richiesta dalle istituzioni comunitarie). Magari basterà un episodio di cronaca ad alimentare campagne di policing “in emergenza”. Da questo punto di vista, bisognerà anche capire come si implementerà il Decreto Minniti-Orlando, di cui si attendono i decreti attuativi. Una sua bocciatura costituzionale (ipotesi remota ma non impossibile) riaprirebbe la partita della gestione delle domande di protezione internazionale, un nervo ancora scoperto in termini di quantità e qualità delle procedure: tempi lunghi, comportamenti difformi da parte delle Commissioni territoriali, alta conflittualità.

Il sistema dell’accoglienza nel suo complesso potrebbe essere interessato da modifiche. L’accoglienza diffusa sembra rimanere un caposaldo, mentre la gestione in emergenza permanente nei CAS, gestiti dalle Prefetture e appaltati a soggetti gestori di vario tipo, evidenzia notevoli criticità. Dal potere che le Prefetture hanno nella gestione emergenziale non sembra essere discesa altrettanta responsabilità e capacità di stemperare le tensioni con residenti, enti locali e attivisti. Al contempo, però, la generalizzazione del sistema SPRAR – altra richiesta della campagna “Ero Straniero” – si scontra con l’indisponibilità degli enti locali a farsi carico politicamente dell’accoglienza. Sarà da valutare se una revisione degli incentivi dell’accoglienza diffusa e/o cambiamenti nel dibattito pubblico (una riduzione dell’attenzione o casi eclatanti di fallimento dei CAS, con rivolte di ospiti o indagini su appalti “creativi”) possano comportare revisioni nella gestione in emergenza.

Qui, potrebbe trovare sviluppo la “terza accoglienza”, che già vede progetti sperimentali in opera: forme di accompagnamento all’inserimento sociale che dovrebbero seguire le misure di integrazione più strutturate dei cicli di accoglienza precedenti. In presenza di percorsi migratori complicati, affrontati da soggetti con capitale culturale e sociale limitato o scarsamente spendibile, l’uscita dal sistema di accoglienza può innescare traiettorie di vulnerabilità. Nel quadro di un’opinione pubblica che può percepire l’accoglienza come un’immeritata dipendenza da welfare, incentivare misure che favoriscono l’autonomia dei soggetti “attivabili” può essere un’opzione politicamente sostenibile: riprendendo un pezzo pubblicato da Altraeconomia, “la buona accoglienza passa anche dal lavoro. L’Italia non l’ha capito”. Senza la capacità di creare opportunità occupazionali e occasioni di partecipazione stabile alla società e all’economia, infatti, si rischia di innescare quel ciclo vizioso nei modelli di integrazione descritto alcuni anni fa da Boeri (le percezioni negative nei confronti degli immigrati favoriscono un welfare discriminatorio e poco generoso nonché lo sfruttamento lavorativo; questo comporta una scarsa valorizzazione del contributo dei migranti alla società, con effetti economici limitati che alimentano a loro volta le percezioni negative nei confronti degli immigrati). In questo quadro, bisognerà valutare anche gli effetti della l. 199/2016, dato che lo sfruttamento lavorativo oggi coinvolge molti richiedenti e titolari di protezione.

Per concludere questa sezione, vale la pena accennare all’implementazione della Legge Zampa. Dopo l’avvio dei percorsi per i tutori volontari e in attesa del pieno sviluppo dei decreti attuativi, sarà interessante capire se per questo target potrà innestarsi un vero cambio di passo in grado di limitare i rischi e favorire la protezione e – soprattutto – la promozione di diritti e autonomia .

 

Dall’immigrazione alle minoranze

Per i ca. 800.000 potenziali destinatari della riforma della cittadinanza e per i movimenti che li hanno sostenuti, la “fuga di Natale” dei senatori in chiusura di legislatura è stata un duro colpo. Ad oggi le finestre di opportunità per una ripresa della riforma paiono limitate. Tuttavia, una delle cose più interessanti nel dibattito sulla riforma è stato l’emergere di un attore politico nuovo, capace di stare nelle piazze, negli studi televisivi, sui social network e di parlare alla politica, alle istituzioni e alla società civile. Dopo anni di rappresentazioni degli immigrati in Italia caricaturali, eccezionali, mediate da istituzioni di advocacy, oggi abbiamo nuovi italiani capaci di voice nell’arena pubblica e di presentarsi da sé, nella loro normalità.

Dubitiamo che da qui si torni indietro: dagli italiani senza cittadinanza viene una sfida cristallina a una percezione etnica dell’italianità, che potrà produrre reazioni difensive o cambi di orientamenti nell’opinione pubblica, ma sarà elemento del dibattito pubblico sulla cittadinanza.

Tale capacità di mobilitazione potrebbe assumere contorni politico-elettorali? Guardando ai numeri dei naturalizzati, potremmo contare già oggi su più dell’1% del corpo elettorale con background migratorio. Nei prossimi anni si potrebbe avvicinare il punto di rottura fra i voti persi dagli elettori con sentimenti anti-immigrazione e i voti guadagnati con l’incremento degli elettori beneficiati dal provvedimento… magari in vista del voto per la XIX legislatura (nel 2023 o prima?).

 

Conclusioni

L’elemento più sconfortante per chi scrive è l’evidenza di una politica scarsamente programmata, fortemente emotiva e orientata all’emergenzialità. Non si vede come questo trend di lungo periodo possa essere ribaltato nella prossima legislatura. La gestione dei flussi e della prima accoglienza domineranno il dibattito, con una scarsa attenzione ad una politica di prospettiva sul modello di integrazione, sui diritti, i doveri e le possibilità per chi ha scelto negli ultimi decenni il nostro Paese come luogo dove costruire il proprio futuro. Temi come il diritto di voto amministrativo, la riforma della cittadinanza, la mobilità sociale e la capacità del welfare e delle sue professioni di rispondere ai bisogni di immigrati e minoranze restano questioni importanti ma poco dibattute.

 

Per un ulteriore approfondimento su questo tema si segnala anche l’articolo di Maurizio Ambrosini, pubblicato su welforum.it il 29 gennaio 2018