La legislatura 2013-2018 si è sviluppata nella fase di avvio e di implementazione della strategia decennale Europa 2020, che tra le tre priorità chiave ha posto la crescita inclusiva, intesa a promuovere un’economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione sociale e territoriale. Per la prima volta dunque i fondi strutturali, principali canali di finanziamento della strategia, hanno inserito, tra gli obiettivi volti a promuovere la crescita e la sostenibilità, uno specifico obiettivo volto alla promozione dell’inclusione sociale e lotta alla povertà. Per l’Italia ha dunque significato trovarsi a gestire, nel complesso dei 44,4 miliardi di euro messi a disposizione dal livello europeo, oltre 4 per l’inclusione sociale e la lotta alla povertà1, a cui vanno aggiunti i 789 milioni del fondi indigenti.
Il Ministro per la Coesione territoriale della precedente legislatura (sotto il governo Monti), Fabrizio Barca ha lavorato per tradurre tali buoni propositi in strumenti operativi ed efficaci, capaci di superare i limiti e l’arretratezza del paese nell’approccio ai fondi europei, presentando a gennaio 2013 (appena un mese prima della fine della legislatura), un documento che ha costituito il fondamento delle attività messe in campo nella successiva legislatura: “Metodi e obiettivi per un uso efficace dei Fondi comunitari 2014-2020” elaborato d’intesa con i Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali e delle Politiche Agricole.
La nuova legislatura ha portato alla costituzione di un organismo centralizzato volto a guidare le Regioni nell’utilizzo delle risorse che arrivano da Bruxelles, l’Agenzia per la Coesione territoriale. Nata con il Governo Letta e confermata dai Governi successivi, l’Agenzia “ha l’obiettivo di sostenere, promuovere ed accompagnare, secondo criteri di efficacia ed efficienza, programmi e progetti per lo sviluppo e la coesione economica, nonché di rafforzare, al fine dell’attuazione degli interventi, l’azione di programmazione e sorveglianza di queste politiche… attraverso azioni di accompagnamento alle Amministrazioni centrali e regionali titolari di Programmi e agli enti beneficiari degli stessi, con particolare riferimento agli Enti locali, nonché attività di monitoraggio e verifica degli investimenti e di supporto alla promozione e al miglioramento della progettualità e della qualità, della tempestività, dell’efficacia e della trasparenza delle attività di programmazione e attuazione degli interventi.
L’attività dell’Agenzia svolge senz’altro un ruolo rilevante in tal senso, eppure l’Italia continua ad essere in grossa difficoltà nella capacità di impegno e spesa delle risorse che arrivano dall’Europa. Se nella programmazione 2007-2013 siamo riusciti a perdere ben 172 milioni di euro (la maggior parte di essi riguarda la regione Sicilia, che in totale perde oltre 124 milioni di euro) la situazione è difficile anche per quanto riguarda la nuova programmazione 2014-2020: dopo 3 anni e mezzo dall’inizio del programmazione la Commissione ha rimborsato pagamenti per appena 3,9 miliardi sui 44 pianificati, con una percentuale pagamenti/impegni ferma al 16,21%, ben al di sotto della media Ue del 23,72. Peggio dell’Italia stanno facendo solo Cipro e Malta.
Per quanto riguarda la trasparenza un importante passo avanti è costituto dalla creazione del sito OpenCoesione del Dipartimento per le Politiche di Coesione della Presidenza del Consiglio, che offre un importante servizio di informazione e aggiornamento continuo in tema di opportunità di finanziamento offerte dai Piani e dai Programmi Operativi cofinanziati dai Fondi SIE.
Per quanto riguarda nello specifico le politiche di inclusione sociale è importante analizzare come si sono mossi il Ministero e le Regioni per inserirsi in questo percorso.
Il punto di partenza è l’obiettivo 9 – inclusione sociale dell’Accordo di Partenariato su cui poi sono stati costruiti i programmi regionali e i programmi tematici, tra cui il PON Inclusione.
Il PON Inclusione rappresenta per molti aspetti una vera innovazione rispetto alla tradizionale modalità programmatoria delle politiche sociali. Le modalità di sviluppo, negoziazione con Bruxelles e con Regioni e Province Autonome ed organismi intermedi ha consentito di valorizzare le possibilità e le potenzialità, finora inesplorate, offerte dalla nuova programmazione europea, permettendo di impostare una strategia di sviluppo del welfare italiano coordinata e lungimirante capace di sfruttare al meglio il ruolo chiave giocato dalle politiche europee e dai fondi strutturali nell’accompagnare il processo definitorio di livelli essenziali delle prestazioni sociali (Lea). Il processo di negoziazione ha consentito allo stesso tempo di assicurare alla Commissione Europea che i fondi comunitari sarebbero stati utilizzati per aiutare le riforme concordate tra la UE e il nostro paese, tra le quali in particolare la riduzione dei livelli di povertà ed esclusione sociale attraverso l’adozione di una strategia nazionale di lotta alla povertà, insieme ad una revisione e ad una razionalizzazione della spesa sociale2.
Il PON Inclusione è stato dunque concepito come programma strutturato volto a rafforzare le capacità istituzionali dei servizi sociali intese a durare nel tempo, con l’obiettivo di andare poi progressivamente a sostituire con fondi nazionali strutturali le risorse messe a disposizione dal FSE. Si tratta di una strategia complessiva ed integrata perché è partita da un lavoro significativo e condiviso tra le diverse parti in campo (Ministero, Regioni, Comuni e Commissione Europea) di definizione di standard di accesso e di linee guida per la presa in carico da parte dei servizi di persone in condizione di povertà ed esclusione sociale e di grave deprivazione materiale. In questo modo l’uso dei fondi comunitari è diventato il “catalizzatore delle risorse e della programmazione sociale per muovere nella direzione dell’attuazione dei Lea preconizzata dalla L.328”3. L’obiettivo complessivo dell’intera infrastruttura è dunque quello di promuovere una maggiore omogeneità a livello nazionale nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale, da sviluppare attraverso il metodo del confronto tra i diversi livelli istituzionali, ed affrontando il nodo della mancata definizione dei Lea attraverso un meccanismo capace di agevolare il confronto nazionale tra i responsabili della programmazione regionale4.
L’aspetto chiave dell’intera infrastruttura è stata dunque la connessione prevista tra la definizione dei Lea realizzata dal governo centrale nel PON e le modalità di implementazione ai livelli periferici, attraverso la connessione tra i diversi canali di finanziamento europei. In parallelo si è iniziato a lavorare al rafforzamento della struttura amministrativa e alla messa a sistema delle altre filiere di servizi, tra cui in particolare quelli del lavoro e della formazione, prevedendo interventi regionali e locali di inclusione lavorativa rivolti ai soggetti più distanti dal mercato del lavoro quali, ad esempio, le persone con disabilità. Infine, a supporto della governance complessiva, è stata prevista l’implementazione del Sistema informativo dei servizi sociali, volto a favorire presso i Comuni la presa in carico delle famiglie e presso le Regioni le attività di monitoraggio, programmazione e valutazione delle politiche sociali. Per lavorare in maniera coordinata tra il livello nazionale, quello regionale e quello locale è stata impostata una sinergia tra il programma nazionale (PON Inclusione), volto a sperimentare una forma di sussidio economico per nuclei poveri, condizionale ad un programma di inclusione attiva sostenuto da una rete di servizi di qualità e da interventi regionali di inclusione lavorativa, e le risorse rese disponibili dai POR (regionali) FSE. Il decreto legislativo che definisce il REI precisa infatti che a questa finalità concorrono in maniera sinergica le risorse dell’obiettivo 9 afferenti al PON Inclusione, con una dotazione a questo proposito di circa 1 miliardo di euro, e ai POR, con una dotazione di circa 3,5 miliardi di euro: il decreto rimanda quindi alle Regioni di definire le modalità attraverso le quali promuovere i percorsi di inclusione attiva previsti per i progetti di contrasto alla povertà da sviluppare nell’ambito de ReI, da coniugare insieme alle risorse previste anche per l’obiettivo 8 ‘occupazione’5.
Un ulteriore tassello dell’infrastruttura è volto alla riduzione del fenomeno della marginalità estrema, attraverso il sostegno all’integrazione socio economica delle comunità emarginate in particolare dei senza dimora e dei Rom: a tal fine è stata creata una sinergia tra il FSE e lo specifico fondo Fead, il Fondo europeo di aiuti agli indigenti, strutturando un coordinamento degli interventi che prevede che il FSE, attraverso il PON Inclusione e i POR, sostenga e finanzi iniziative volte alla promozione dell’accesso delle persone senza dimora ai servizi sociali, sanitari e al lavoro, insieme alla presa in carico in una prospettiva di accompagnamento verso l’autonomia, mentre il Fead consente di finanziare interventi a bassa soglia e di individuare modalità organizzative e di valorizzare le reti territoriali per la distribuzione di beni materiali, andando nel contempo a sostenere l’approccio di elezione denominato housing first6, finanziando la dotazione degli alloggi e la fornitura di beni e servizi di accompagnamento necessari al vivere autonomo. Anche in questo caso la prospettiva adottata è quella del passaggio da un approccio emergenziale ad un modello strategico integrato basato sul principio dell’inclusione attiva quale paradigma ispiratore di tutte le misure di contrasto alla povertà, volto ad evitare di guardare anche il fenomeno dell’estrema marginalità da un’ottica esclusivamente riparativa.
Data la dimensione pionieristica dell’infrastruttura complessiva le difficoltà incontrate sono state molte. Si sono avute difficoltà legate al fatto che il FSE è nato per promuovere politiche attive del lavoro, mentre la componente inclusione sociale in tale ambito è stata negli anni marginalizzata e le risorse reindirizzate alle politiche del lavoro. È stato poi senz’altro importante introdurre un PON dedicato esclusivamente alle politiche sociali, ma i territori si trovano oggi a dover progettare interventi in terreni che conoscono poco, quelli dei fondi comunitari, che richiedono dunque ampio supporto dal livello centrale e un lungo processo di apprendimento, il tutto nell’ambito di un processo normativo in continua evoluzione.
Il REI ad oggi ha comunque già consentito di promuovere l’acquisizione di circa 3.500 operatori7 in 520 ambiti territoriali destinati a rafforzare i servizi sociali in particolare al Sud, dove l’infrastrutturazione era più carente. Il percorso in atto ha inoltre consentito di creare sinergie, in alcuni casi del tutto nuove, coi centri per l’impiego, per i quali è dunque previsto un rafforzamento con 600 nuovi operatori da dedicare esclusivamente alla presa in carico dei beneficiari del Rei e alla collaborazione con i servizi sociali per la progettazione personalizzata.
Dal punto di vista delle professioni del sociale inoltre questa nuova infrastrutturazione ha costituito una significativa leva di cambiamento in un sistema dei servizi che si era esso stesso impoverito a causa della crisi.
Non va infine dimenticato il cambiamento culturale in atto tra gli operatori del sociale che, stanno iniziando a sviluppare la consapevolezza che il sostegno economico non basta più se non è accompagnato da occasioni che possano portare ad un cambiamento della situazione che ha portato alla povertà. Il PON inclusione, per come è stato elaborato, rappresenta una grande occasione anche in questo senso.
Dopo anni nei quali era assistito alla creazione di 21 sistemi di welfare diversi, creando di fatto grandi disparità tra sistemi avanzati e sistemi arretrati, il percorso realizzato rappresenta una occasione di ripensamento complessivo del sistema di governance del welfare a partire da una riflessione su un livello essenziale con una regia nazionale. Per ora si tratta di un ripensamento teorizzato e negoziato coi livelli regionali e locali, ma che deve essere ancora implementato territorialmente. Il Decreto Legislativo 15 settembre 2017, n. 147 infatti prevede che le Regioni e le Province Autonome adottino “specifici atti di programmazione per l’attuazione del Rei con riferimento ai servizi territoriali di competenza”, compreso un Piano regionale per la lotta alla povertà, a cadenza triennale, da adottare entro centocinquanta giorni dall’entrata in vigore del decreto (ovvero fine marzo 2018), per la programmazione dei servizi necessari per l’attuazione del Rei (articolo 14). Nessuna Regione ha ancora predisposto il piano, né ha predisposto gli atti programmatori a livello di Ambito previsti dalla normativa per dare indicazioni ai territori sulle modalità per l’implementazione della misura. Pur in assenza di tali direttive la misura è comunque entrata in vigore a partire dal 1° dicembre 2017, lasciando, pur in un contesto di tanta innovazione, i territori e gli operatori a gestire questo passaggio epocale con la più tradizionale e consueta modalità del ‘fai da te’.
- Dipartimento Sviluppo e Coesione economica, Accordo di partenariato 2014-2020 Italia
- Laura Cassio, intervento al convegno “Contro la Povertà: la sfida del reddito di inclusione”, Milano, 27/11/2017
- Cristina Berliri, intervento al convegno “Contro la Povertà: la sfida del Reddito di Inclusione”, Milano, 27/11/2017
- A tale proposito è stato dunque avviato il Tavolo dei programmatori sociali tra Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e Regioni, Anci e Città Metropolitane, che ha svolto un ruolo importante nel far emergere le migliori esperienze sui territori per poi metterle al centro della programmazione di tutti gli altri: lo si può considerare il precursore del Comitato per la lotta alla povertà, che riunisce i diversi livelli di governo, strumento importante per l’attuazione del Rei previsto dall’articolo 2 comma 12 del Decreto Legislativo 15 settembre 2017, n. 147
- “Alle finalità di cui al presente articolo, in coerenza con quanto stabilito dall’Accordo di Partenariato 2014-2020 per l’impiego dei fondi strutturali e di investimento europei, concorrono altresì le risorse afferenti ai Programmi operativi nazionali (PON) e regionali (POR) riferite all’obiettivo tematico della lotta alla povertà e della promozione dell’inclusione sociale, fermo restando quanto previsto all’articolo 15, comma 6. Le Regioni e le Province Autonome individuano le modalità attraverso le quali i POR rafforzano gli interventi e i servizi di cui al presente decreto, includendo, ove opportuno e compatibile, i beneficiari del REI tra i destinatari degli interventi, anche con riferimento all’obiettivo tematico della promozione dell’occupazione sostenibile e di qualità” (Art 7 Decreto Legislativo 15 settembre 2017, n. 147)
- L’approccio Housing First, alla base delle Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia, identifica la “casa” come diritto e come punto di partenza da cui la persona senza dimora deve ripartire per avviare un percorso di inclusione sociale.
- Informazione desunta dalle proposte progettuali presentate dagli Ambiti sociali per l’attuazione del Sostegno per l’Inclusione Attiva – Avviso n. 3/2016