Quando le norme sono di difficile applicazione
Il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID 19” contiene numerose misure alcune delle quali relative alle politiche sociali. In sede di conversione in legge del Decreto, sono state inserite anche le norme già comprese nel Decreto Legge 14/2020 varato in queste ultime settimane al fine di avere un testo unico di riferimento per la fase dell’emergenza COVID-19. Per cui al testo base è stato inserito l’art. 4-ter. Sono pertanto diventati tre gli articoli relativi all’assistenza per disabili e all’assistenza domiciliare. Questi articoli, in qualche caso presentano degli elementi contraddittorietà che ne rendono, per una parte, di difficile applicazione. Ecco la descrizione e le valutazioni dei tre articoli.
Assistenza ad alunni e a persone con disabilità (Art. 4-ter, legge di conversione)
La legge di conversione di del D.L 18/2020 ha introdotto (al Senato) un nuovo articolo che stabilisce che durante la sospensione del servizio scolastico e per tutta la sua durata, gli enti locali possono fornire, tenuto conto del personale disponibile, anche impiegato presso terzi titolari di concessioni o convenzioni o che abbiano sottoscritto contratti di servizio con gli enti locali medesimi, l’assistenza agli alunni con disabilità mediante erogazione di prestazioni individuali domiciliari. Le prestazioni individuali domiciliari, realizzate impiegando i medesimi operatori e i fondi ordinari destinati a tale finalità, alle stesse condizioni assicurative sinora previste, sono finalizzate:
- al sostegno nella fruizione delle attività didattiche a distanza che i dirigenti scolastici attivano, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza a cura dei dirigenti scolastici che devono aver riguardo anche alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità (art.2, c.1, lett. m, DPCM 8/3/2020);
- alla realizzazione delle attività, raccomandate ai Comuni e agli altri enti territoriali, nonché alle associazioni culturali e sportive, ricreative individuali alternative a quelle collettive interdette, che promuovano e favoriscano le attività svolte all’aperto, purché svolte senza creare assembramenti di persone ovvero svolte presso il domicilio degli interessati (art.3, c.1, lett. g, DPCM 8/3/2020).
Giova qui sottolineare che la previsione normativa, ampiamente condivisibile, prevede, in alternativa alle prestazioni scolastiche, delle prestazioni domiciliari individuali che possono essere svolte sia al domicilio degli studenti con disabilità sia svolte all’aperto – la cui conferma costituisce la novità – purché svolte con le dovute attenzioni. Per quel che riguarda le prestazioni alternative all’assistenza educativa scolastica non sono previste prestazioni individuali a distanza (presumibilmente telefoniche) che sono invece possibili per altre prestazioni come indicato all’art.48.
L’art. 4 ter prevede inoltre che le Regioni hanno la facoltà di istituire, entro il 20 marzo 2020, unità speciali atte a garantire l’erogazione di prestazioni sanitarie e sociosanitarie a domicilio in favore di persone con disabilità che presentino condizioni di fragilità o di comorbilità tali da renderle soggette a rischio nella frequentazione dei centri diurni per persone con disabilità.
Questa ultima norma ha perso di valore in quanto era prevista in una fase precedente alla sospensione dei centri diurni per disabili e mirava a ricercare soluzioni alternative per i disabili a rischio frequentati i centri.
Chiusura dei centri diurni e misure compensative anche domiciliari (Art. 47)
Sono sospese le attività di tutti i centri semi residenziali a carattere socio-assistenziale, socio-educativo, polifunzionale, socio-occupazionale, sanitario e sociosanitario per persone con disabilità, per il tutto il periodo dell’emergenza Covid-19, tenuto conto della difficoltà di far rispettare le regole di distanziamento sociale. Sono riconducibili alla norma anche i centri diurni per anziani non autosufficienti in quanto la non autosufficienza rende disabili anche gli anziani.
Sono diverse le tipologie dei centri diurni ma la gran parte sono strutture sociosanitarie gestite dagli enti locali. Ciononostante il Decreto Legge affida solo all’Azienda sanitaria locale, la possibilità, d’accordo con gli enti gestori dei centri diurni di attivare interventi “non differibili “in favore delle persone con disabilità ad alta necessità di sostegno sanitario, quando la tipologia delle prestazioni e l’organizzazione delle strutture stesse consenta il rispetto delle previste misure di contenimento.
La valutazione della non differibilità dell’intervento non viene ulteriormente definita e viene lasciata all’Azienda sanitaria locale. Inutile sottolineare che, in questa fase molto complessa, le ASL italiane, in genere, non hanno trovato il modo ed il tempo di attivare interventi “non differibili” in favore delle persone con disabilità ad alta necessità di sostegno sanitario per cui, formalmente, le attività non differibili alternative ai centri diurni per disabili non si potrebbero attivare e, nella gran parte dei territori, non si sono attivate.
La disposizione sancisce anche il principio che per la durata dell’emergenza, le assenze dalle attività dei centri, indipendentemente dal loro numero, non sono causa di dismissione o di esclusione dalle medesime.
Prestazioni individuali domiciliari (Art. 48)
Il 1° comma dell’art. 48 stabilisce che durante la sospensione di legge dei servizi educativi e scolastici e delle attività sociosanitarie e socioassistenziali nei centri diurni per anziani e per persone con disabilità, a causa dell’emergenza Covid-19, le pubbliche amministrazioni forniscono, avvalendosi del personale disponibile, già impiegato in tali servizi, dipendente da soggetti privati che operano in convenzione, concessione o appalto, prestazioni in forme individuali domiciliari o a distanza o resi nel rispetto delle direttive sanitarie negli stessi luoghi ove si svolgono normalmente i servizi senza ricreare aggregazione. Tali servizi si possono svolgere secondo priorità individuate dall’amministrazione competente, tramite coprogettazioni con gli enti gestori, impiegando i medesimi operatori ed i fondi ordinari destinati a tale finalità, alle stesse condizioni assicurative sinora previsti, anche in deroga a eventuali clausole contrattuali, convenzionali, concessorie, adottando specifici protocolli che definiscano tutte le misure necessarie per assicurare la massima tutela della salute di operatori ed utenti.
Durante la sospensione dei servizi educativi e scolastici e dei servizi sociosanitari e socioassistenziali, le pubbliche amministrazioni sono autorizzate al pagamento dei gestori privati dei suddetti servizi per il periodo della sospensione, sulla base di quanto iscritto nel bilancio preventivo. Le prestazioni convertite in altra forma, previo accordo tra le parti, saranno retribuite ai gestori con quota parte dell’importo dovuto per l’erogazione del servizio secondo le modalità attuate precedentemente alla sospensione e subordinatamente alla verifica dell’effettivo svolgimento dei servizi.
Nella sostanza il Governo prevede che si faccia il possibile per continuare a fornire assistenza o supporto, domiciliare e a distanza, a condizione che si rispettino le indicazioni per il contenimento del contagio. Le attività già previste si possono trasformare in altre prestazioni essenzialmente domiciliari senza troppo badare alla forma e alle norme contrattuali. E fino qui la cosa può funzionare per le attività che riguardano i servizi educativi scolastici. Rimangono però alcune differenze con l’art.4 ter che prevede modalità di erogazione delle prestazioni solo nella forma delle prestazioni domiciliari individuali.
Problemi invece ci sono per la trasformazione, da parte degli enti locali, delle prestazioni semiresidenziali per disabili e per anziani in prestazioni domiciliari, perché nell’art. 47 dello stesso Decreto Legge la previsione di prestazioni domiciliari sostitutive è demandata all’azienda sanitaria locale e non ai comuni e limitatamente alle prestazioni non differibili. Sostanzialmente, senza l’iniziativa dell’ASL – e limitatamente alle prestazioni non differibili – le prestazioni alternative non potrebbero attivarsi. Insomma, i due articoli (47 e 48) dispongono cose molto diverse e non compatibili per cui, almeno per questa ultima parte, le disposizioni non sono applicabili per autonoma determinazione dei comuni.
Il 2° comma dell’art. 48 prevede poi una disposizione senza precedenti. Le pubbliche amministrazioni (essenzialmente i comuni e le ASL), dovranno inoltre corrispondere un’ulteriore quota ai gestori dei servizi che, sommata a quella del comma 1, darà luogo, ad una corresponsione complessiva di entità pari all’importo già previsto, al netto delle eventuali minori entrate connesse alla diversa modalità di effettuazione del servizio stesso.
In sostanza, i Comuni dovranno erogare le somme previste in bilancio e non spese per la sospensione dei servizi semiresidenziali e dell’assistenza educativa scolastica ai soggetti gestori senza che ci sia alcuna prestazione di servizi. Il comune dovrà solo verificare “l’effettivo mantenimento, ad esclusiva cura degli affidatari di tali attività, delle strutture attualmente interdette”, il che sembrerebbe voler dire verificare che siano pronte a riprendere le attività.
Quali sono gli obiettivi di una norma così straordinaria? La legge non la esplicita per cui occorre interpretare con logicità. È quello di garantire comunque le risorse previste ai gestori nonostante la sospensione dei servizi? Due elementi direbbero di no perché lo stesso articolo richiama esplicitamente l’esistenza degli ammortizzatori sociali per i soggetti gestori coinvolti dalla sospensione dei servizi e perché la piena corresponsione di quanto previsto nei contratti/convenzioni per le prestazioni non eseguite non è prevista per nessun altro settore. Pare molto più probabile che l’interpretazione più consona delle finalità della disposizione sia quella di incentivare al massimo l’attivazione dei servizi domiciliari alternativi ai servizi semiresidenziali “minacciando” le pubbliche amministrazioni di disporre comunque delle loro previsioni di bilancio se non attivano servizi domiciliari di pari valore economico. Per i Comuni, certo, la situazione è quantomeno complicata. L’inapplicabilità del comma 1 e cioè l’impossibilità per i Comuni di realizzare i servizi domiciliari alternativi senza l’iniziativa e la decisione dell’ASL – a causa della contraddizione insanabile con il precedente art. 47 – rende di difficile applicazione anche il comma 2. Non è legittimo sottrarre ai comuni delle risorse per non averle investite in servizi domiciliari la cui attivazione spetta ad un altro ente che però non le ha assunte.
E poi ancora. In molte realtà i gestori dei servizi domiciliari e semiresidenziali pur stimolati dai Comuni non riescono ad approntare i servizi domiciliari individuali per mancanza dei DPI ed altro. Nel caso di impossibilità di erogare i servizi domiciliari da parte dei soggetti gestori, sarebbe ancora legittimo remunerare una prestazione richiesta e non erogata?
Un bel groviglio che la legge di conversione non sembra risolvere. L’unica cosa certa, per ora, è che chi ha scritto l’art. 47 del D.L. 18/2020 è persona diversa da chi ha scritto l’art. 48.