Tamponi: quanti se ne fanno e quanti ne servono


Franco Pesaresi | 14 Maggio 2020

I tamponi per la diagnosi precoce del Covid-19 sono molto importanti. Gli studi epidemiologici ormai collegano una efficace strategia di contenimento del virus ad una campagna di tamponi di massa. L’organizzazione mondiale della sanità (OMS)  ora caldeggia l’esecuzione di tamponi di massa. Se vogliamo che l’imminente riapertura non sia effimera e se vogliamo governare la successiva fase adottando i provvedimenti per limitare e delimitare gli effetti di una eventuale seconda ondata del virus dobbiamo puntare sui tamponi. Tanto più che un trattamento tempestivo nelle fasi iniziali di una malattia è essenziale per prevenirne le complicanze.

 

Oggi, per fare il cosiddetto tampone si usa il test PCR (polymerase chain reaction, reazione a catena della polimerasi) che funziona in questo modo: il materiale genetico del virus (RNA), raccolto infilando un tampone in fondo a una narice e/o alla gola del potenziale infettato, viene copiato milioni di volte (amplificato) fino a che può essere rilevato. Ciò richiede del tempo (i risultati ci mettono alcuni giorni ad arrivare), tecnologie dedicate e personale addestrato (occorre saper fare bene il prelievo di fluidi). Il costo per il processamento di un tampone è dell’ordine di 15 euro (inclusi il costo del personale tecnico, le utenze, il costo di ammortamento della strumentazione).

 

Come la discussione di queste ultime settimane ha rilevato, si stanno cercando delle alternative al test attuale che oltre ai tempi di risposta un po’ lunghi è stato spesso soggetto anche a limitazioni di attività per le forniture di reagenti non sempre adeguate da parte delle ditte fornitrici.

Per una terapia precoce e mirata sarebbe dunque necessario un test diagnostico che non avesse i limiti dell’attuale “tampone”, ma per ora rimane il test più efficace.

  1. Quanti tamponi si fanno in Italia? In Italia sono stati effettuati 2.310.929 tamponi (al 6/5/2020) di cui il 33% riferito a tamponi di controllo sugli stessi soggetti già testati. Questo vuol dire che hanno riguardato 1.540.619 persone pari al 2,5% di tutta la popolazione.
  1. Sono pochi o sono tanti? Si registrano posizioni molti diverse. Da una parte il Commissario straordinario Domenico Arcuri ha dichiarato che l’Italia fa il numero più alto al mondo di tamponi e dall’altra la Fondazione Hume che, elaborando i dati della Johns Hopkins University e quelli della Protezione Civile, ha invece affermato che l’Italia è fra i paesi che ne fanno meno. La Fondazione Hume ha rilevato che solo 5 paesi (fra cui Francia e Regno Unito) fanno meno tamponi dell’Italia; gli altri 20 ne fanno di più, talora molti di più (è il caso, ad esempio, di Israele, Grecia, Norvegia) (Vedi Figura 1). Va detto però, per completezza, che i paesi diversi dall’Italia hanno quasi tutti beneficiato, causa il ritardo con cui l’epidemia si è manifestata, della clamorosa marcia indietro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che dopo aver a lungo predicato di fare pochi tamponi, il 16 marzo ha repentinamente cambiato idea, e cominciato a predicare di farne il più possibile. Forse la vera colpa dell’Italia è stata di attenersi alle indicazioni dell’OMS, invece che ai suoi tecnici migliori.

 

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  1. Le grandi differenze regionali. La Fondazione Gimbe, che ha effettuato un’analisi sui dati forniti dalla Protezione Civile nel periodo 22 aprile-6 maggio, ha rilevato una forte disomogeneità in relazione al numero di tamponi per 100.000 abitanti/die realizzati dalle singole regioni. Nel periodo considerato, la media nazionale è  stata di 88 tamponi per 100.000 abitanti al giorno ma con punte di 222 tamponi effettuati ogni 100.000 abitanti nella Provincia di Trento a fronte di soli 37 tamponi ogni 100.000 abitanti in Puglia (Cfr. Tabella seguente). Occorre ovviamente tener conto che il dato è influenzato della diversa diffusione dell’infezione a livello  L’aspetto molto interessante, rilevato sia dalla fondazione Gimbe che dalla Fondazione Hume, è che il numero dei tamponi risulta inversamente correlato alla mortalità per Covid-19.

 

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  1. Cosa occorre fare? Il numero di tamponi per 100.000 abitanti/die è molto esiguo rispetto alla massiccia attività diagnostica necessaria nella attuale fase 2. Il monitoraggio della situazione è assolutamente essenziale in questa fase in quanto serve per valutare gli effetti delle misure prese e prendere decisioni in maniera tempestiva permettendo di contenere ed eliminare prontamente la trasmissione del virus in caso di sviluppo di focolai epidemici. Queste analisi devono essere effettuate in modalità standardizzata in tutte le regioni. I dati devono essere disponibili con la massima granularità possibile (per esempio per singola ASL) in maniera di poter identificare anche dei piccoli focolai epidemici.

 

Diversi soggetti – Fondazione Hume, Fondazione Gimbe, Lettera 150, il virologo Andrea Crisanti – chiedono al Ministero della Salute di promuovere lo standard minimo di almeno 250 tamponi diagnostici al giorno per 100.000 abitanti. Si tratta, più o meno, del triplo di quelli che si fanno adesso.

 

Oggi, che l’infezione sta riducendo la sua azione, occorre una politica di tamponi di massa per evitare che si ritorni ai tanti morti, ai tanti ricoveri, ad eventuali nuovi lockdown con conseguenze catastrofiche per la nostra salute e la nostra economia.