Le notizie sull’evoluzione dell’epidemia di Coronavirus, in particolare in alcune zone della Lombardia, hanno progressivamente reso consapevole la popolazione della gravità della situazione e del costo in termini di vite umane.
Nella città di Milano, dove abito, dopo una prima fase di scarsa consapevolezza dei rischi effettivi di evoluzione dell’epidemia, contenuta in una zona limitata della nostra regione, una seconda fase, caratterizzata dall’estensione della zona rossa e dalla percezione dell’importanza dell’isolamento domiciliare e del nostro ruolo di cittadini nel contribuire con un comportamento responsabile al contenimento del contagio, prevale in questi giorni lo sgomento di fronte al crescere del numero di contagiati e di morti e la percezione della presenza reale del virus in mezzo a noi.
Si sono interrotti gli appuntamenti quotidiani ai balconi e alle finestre dei condomini , in cui farsi coraggio e sostenere l’impegno dei sanitari a curare le persone malate, suonando e cantando canzoni significative, e prevale il silenzio e la preoccupazione, percepibile dal comportamento e dalla distanza che le persone mantengono nelle brevi camminate intorno alla loro abitazione.
In tale clima fatto di sensazioni di rischio, paure, attese, speranze per noi e per i nostri cari, scandite per ora da dati non confortanti sull’andamento epidemico del virus, non è facile fermarsi un attimo e cercare di sviluppare un pensiero critico, frutto di una riflessione su qualcosa che non ha ancora manifestato in pieno i suoi effetti e che vorrremmo già mettere alle nostre spalle.
Tre sono gli spunti su cui mi sembra utile riflettere per le ricadute che hanno sui nostri comportamenti individuali e collettivi e per le sfide di salute che si pongono al sistema sanitario.
- L’approccio alla salute e la cultura del rischio
L’epidemia di Coronavirus, con le sue caratteristiche epidemiologiche e cliniche ha riportato al centro dell’attenzione sanitaria le malattie infettive e la loro ricaduta sulla salute globale, superando certezze consolidate che vedevano i paesi del mondo sviluppato impegnati nella lotta alle malattie croniche, con la parola d’ordine di guadagnare vita agli anni, e i paesi del cosìdetto “terzo mondo” ancora impegnati nel debellare le malattie infettive e parassitarie, principali cause di mortalità, sopratutto nei primi anni di vita. La globalizzazione sta facendo saltare questo modello con la capacità dei virus di mutarsi e saltare da una specie animale all’uomo, diffondendosi in poco tempo in un mondo interconnesso e privo di specifiche difese immunitarie.
L’infezione da HIV, che pure segue questo modello, ha un andamento epidemiologico legato a specifici comportamenti a rischio e quindi circoscrivibile da parte della popolazione generale. Le epidemie di Ebola, pur con un tasso di mortalità molto elevato, si sono manifestate in contesti geografici particolari, che hanno permesso di circoscriverle grazie a uno sforzo massiccio delle organizzazioni sanitarie internazionali. La SARS, che pure aveva caratteristiche epidemiologiche simili, non ha avuto nel tempo l’andamento che si temeva.
La percezione del rischio di noi occidentali rispetto alle malattie infettive si è pertanto manifestata molto bassa e una certa pigrizia mentale ha favorito la sottovalutazione di un virus, paragonato come caratteristiche a quello influenzale, ma con caratteristich epidemiologiche molto più aggressive e con un tasso di complicazioni e di mortalità più elevato.
Occorre quindi attrezzarsi per il futuro e riconsiderare, in un mondo globalizzato, le categorie mentali e le certezze sedimentate nel nostro patrimonio di concoscenze, attrezzandoci a porre attenzione agli eventi epidemiologici in tutte parti del mondo e alla loro evoluzione e diffusione, consapevoli della vulnerabilità del nostro sistema immunitario di fronte a nuovi agenti patogeni.
- Il sistema di allerta e di attivazione degli interventi
Una prima riflessione, che emerge dalla lettura delle informazioni relative all’andamento dell’epidemia, riguarda la capacità del sistema sanitario di cogliere per tempo “eventi sentinella” meritevoli di approfondimento e di mettere in allerta il sistema sanitario. Le notizie relative alle polmoniti “atipiche” riscontrate fin dal mese di ottobre anche in Italia, sono rimaste confinate alle rilevazioni dei clinici coinvolti e di qualche epidemiologo e non hanno attivato un sistema di allerta epidemiologico nazionale e internazionale. Lo stesso dicasi per la segnalzione del dr. Roberto Burioni, l’8 gennaio sul suo sito, della notizia di casi di strane polmoniti nella città di Wuhan in Cina, in cui i pazienti coinvolti avevano in comune di avere frequentato un mercato in cui si vendono animali vivi.
L’OMS ha manifestato ritardi e lentezze nel cogliere la rilevanza epidemiologica degli eventi e nell’indirizzare tutti gli Stati membri a porre in essere le necessarie misure preventive e le misure di contenimento una volta che l’epidemia si è manifestata in tutta la sua potenzialità in Cina.
Non ho specifiche conoscenze sul funzionamento dell’OMS, ma forse andrebbe posta qualche domanda e fatta qualche riflessione, sulla sua proattività e reattività nel sostenere gli Stati membri e le relative organizzazioni sanitarie a compredere e affrontare nuovi eventi sanitari.
Un discorso a latere merita l’importanza di un informazione trasparente e diffusa, gravemente carente se non ostacolata all’inizio dell’epidemia in Cina, quale condizione per garantire interventi tempestivi ed efficaci a livello locale e internazionale. Al di la delle differenti forme di governo, la garanzia di un informazione libera e diffusa è una precondizione per garantire la salute della popolazione mondiale.
- L’organizzazione del sistema sanitario
Una volta evidenziata la gravità della situazione, l’organizzazione delle cure ospedaliere ha manifestato nel suo complesso una buona reattività nell’affrontare con efficacia l’assistenza ai pazienti entrati in ospedale, caratterizzato, in alcune aree geografiche, da un aumento esponenziale dei casi nell’arco di pochi giorni. Da segnalare in particolare il buon livello di professionalità e di impegno clinico assistenziale di tutti gli operatori sanitari ospedalieri e del sistema territoriale di emergenza / urgenza, impegnati in turni massacranti ed esposti comunque a livelli di rischio, nonostante le precauzioni messe in atto. Forse qualche considerazione andrebbe fatta sul funzionamento delle retrovie, ovvero sulla capacità del sistema di fornire al bisogno tutte le protezioni individuali necessarei a garantire la sicurezza degli operatori sanitari.
Le caratteristiche dell’epidemia pongono sicuramente il tema di un dimensionamento flessibile delle strutture sanitarie ospedaliere, in alcuni sue parti quali le rianimazioni, per renderle in grado di fare fronte a situazioni di stress epidemiologico come quello attuale.
L’anello debole del sistema, evidenziato anche in tale occasione, è rappresentato dal sistema di cure primarie. È stata rilevata da diversi osservatori la buona disponibilità della medicina generale a rispondere alla domanda di salute degli assistiti, pur con margini di rischio per la propria salute, come si è evidenziato dal numero di medici di medicina generale che si sono infettati e da alcuni decessi.
Tale disponibilità non può però oscurare l’insufficente livello organizzativo delle cure primarie, non in grado di costituire in modo generalizzato, oltre che un primo filtro, un primo livello di cura per riservare il livello ospedaliero ai soli casi complicati. Le esperienze positive in atto in alcune regioni italiane e anche in regione Lombardia, illustrate pochi giorni fa dal dottor. A. Aronica in un’intervista alla newsletter “ilsussidiario.net”, non sono ancora purtroppo generalizzate.
Un sistema di cure primarie costituito da organizzazioni di professionisti (medici e infermieri) presenti a livello territoriale, in grado di erogare un’assistenza sanitaria sulle 24 ore sia ambulatoriale che domiciliare, tale da mantenere al loro domicilio i malati non complicati, che non richiedono un livello di cure specialistiche, è ancora un orizzonte lontano per la mancanza di visione del livello politico e dei professionisti.
La sottovalutazione del ruolo di una diversa organizzazione sanitaria e la tendenza a ricondurre alle cure specialistiche la risposta a tutti i problemi sanitari, aumentando tutti gli investimenti a questo livello del sistema, saranno nel prossimo futuro aspetti da prendere in considerazione nel ragionamento su come il nostro sistema sanitario potrà rispondere in modo sostenibile alle sfide future.