Povertà e disuguaglianze. A che punto siamo


Daniela Mesini | 7 Gennaio 2019

In materia di contrasto alla povertà, il Reddito di Cittadinanza rappresenta il cavallo di battaglia dell’attuale Governo. In queste ore, con apposito provvedimento in uscita entro il corrente mese di gennaio e collegato alla Legge di Bilancio 2019, si sta mettendo a punto la sua configurazione.

 

La sua introduzione, prevista per inizio aprile 2019, può in effetti costituire un’importante opportunità per il nostro sistema di welfare, fino a pochi anni fa del tutto impensabile. Occorre tuttavia che la nuova misura risponda alle effettive esigenze dei poveri e tenga conto dell’impalcatura esistente.

Non dimentichiamoci infatti che dal 1° luglio 2018 l’Italia ha già un intervento universale contro la povertà, il Reddito di Inclusione. Seppur rivolto ai più poveri dei poveri e dunque caratterizzato dalla limitata copertura e dal contributo economico decisamente contenuto, il REI ha rappresentato una rottura con il passato, perché per la prima volta si è unito un sostegno economico ad interventi di attivazione e soprattutto si è avviata un’importante infrastrutturazione del sistema dei servizi chiamati ad attuarlo.

Per quanto ci è dato ad oggi di sapere, l’iniziale previsione di destinare 9 miliardi al Reddito di Cittadinanza a decorrere dal 2019, è stata ridimensionata. Si parla ora di 7,1 miliardi per l’anno corrente, 8 miliardi per il 2020 e 8,3 miliardi per il 2021, corrispondenti ad una copertura di circa 5 milioni di persone in povertà. La cosa certa sembra essere il canale di finanziamento: il Fondo Povertà, che attualmente finanzia il REI, verrà progressivamente svuotato ad eccezione della cosiddetta ‘quota servizi’ già destinata ai servizi sociali territoriali per l’uniforme realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che dovrebbe essere confermata. Il contributo mensile di 780€, destinato alle famiglie unipersonali che vivono in affitto ma senza altre entrate, potrà crescere in base alla composizione della famiglia, tenuto conto di determinati requisiti ISEE e reddituali.

Un miliardo dei 7 destinati al finanziamento della nuova misura nel 2019 e sempre un miliardo per il 2020 saranno riservati al rafforzamento dei Centri per l’Impiego ai quali sarà affidata la regia della nuova misura.

 

E’ proprio questa la novità che preoccupa particolarmente gli addetti ai lavori1: l’impianto del Reddito di Cittadinanza delinea un modello di governance diverso dal REI, con una forte centratura lavoristica. I beneficiari della nuova misura in età da lavoro ed abili saranno avviati a percorsi di attivazione lavorativa con una stringente condizionalità in cambio del beneficio.

 

Questo chiama in causa una serie di considerazioni:

  • perplessità circa i tempi brevissimi previsti per la ristrutturazione ed il rafforzamento dei Centri per l’Impiego;
  • dubbi sulla loro presunta adeguatezza rispetto alle funzioni di gestione della misura (accesso, valutazione dei bisogni del nucleo, presa in carico, coordinamento della rete dei servizi territoriali coinvolti);
  •  consapevolezza, ampiamente dimostrata dall’evidenza empirica, che la condizione di povertà è caratterizzata da molteplici vulnerabilità e bisogni complessi, che vanno oltre le necessità di un ‘lineare’ reinserimento nel mercato del lavoro2.

 

Tutte queste questioni andranno attentamente prese in considerazione e presidiate se si vuole scongiurare che il delicato passaggio dal REI al Reddito di Cittadinanza si riveli un boomerang ed un sostanziale ritorno al passato.

  1. L’Alleanza contro la povertà si esprime sulla proposta del Governo di “reddito di cittadinanza”
  2. Mesini D., Medicina I., Reddito di Cittadinanza: contrasto alla povertà o sussidio di disoccupazione?, Welforum.it, 16.11.2018; Saraceno C., Il lavoro non basta, Feltrinelli, Milano, 2015

Commenti

La grande amarezza e delusione di noi assistenti sociali impegnati sul campo è prendere atto che con un colpo di spugna si azzera il cammino fin qui fatto per il REI.
Il REI ha rappresentato una sorprendente innovazione per il nostro sistema di welfare, non solo perchè finalmente accompagnava un’erogazione economica ad una presa in carico da parte del servizio sociale, ma perchè si proponeva di innovare il modo stesso di prendere in carico. Si arrivava finalmente ad un’equipe multiprofessionale e di ambito, con l’obiettivo specifico di lavorare con il territorio e di integrarsi con gli altri servizi, in primis quelli per il lavoro ma anche quelli sanitari ed educativi.
Di più: gli strumenti preparati dall’Università di Padova davano ai territori modalità comuni per operare e fornivano una strumentazione di qualità anche ai territori più fragili.
Niente, di tutto questo non si è tenuto conto.
La presunzione dei parvenu li ha convinti ad avere la scienza infusa e a poter magicamente “abolire la povertà per decreto”, senza aver alcuna competenza in materia e senza dialogare con chi questa competenza ce l’aveva (inqualificabile il rifiuto a interloquire con l’Alleanza contro la povertà).

Ciao Giulia, comprendo molto bene l’amarezza e la delusione ed in gran parte la condivido. Consideriamo però 3 elementi:
1. la quota servizi del fondo povertà per l’attuazione dei LEP è salva (art. 12, comma 12 del d.l. istitutivo del RdC)
2. ben presto ci si accorgerà che preservare il ‘pilastro sociale’, con i relativi strumenti, non solo è opportuno, ma risulta imprescindibile se si vuole davvero combattere la povertà
3. da qui a 60 gg, con la conversione del decreto in legge, possono essere introdotte anche sostanziali modifiche al nuovo impianto.
Speriamo… e andiamo avanti sulla strada tracciata!