Integrazione lavorativa permanente e transitoria in Europa
Giulia GaleraGiulia Tallarini | 4 Luglio 2023
Questo articolo è frutto del lavoro di ricerca svolto dalle autrici per incarico di Euricse nell’ambito del progetto Europeo B-WISE. Il report completo è disponibile a questo indirizzo. È stato inoltre pubblicato in lingua italiana e con adattamenti al contesto nazionale questo articolo sulla rivista Impresa Sociale, che tratta in modo più ampio i temi qui sinteticamente proposti.
Nell’articolo si utilizza il termine “WISE” (Work Integration Social Enterprises), comunemente utilizzato in ambito comunitario, per indicare le Imprese Sociali di inserimento lavorativo e quindi, prendendo ad esempio il contesto italiano, le cooperative sociali di inserimento lavorativo.
Sebbene tutte le WISE condividano la finalità di offrire concrete opportunità occupazionali alle persone svantaggiate, nel corso degli anni si sono sviluppate due distinte strategie per perseguirla, seppure con la presenza di soluzioni intermedie: alcune WISE si sono strutturate per creare posti di lavoro permanenti all’interno della WISE stessa, altre per favorire la transizione del lavoratore svantaggiato in contesti lavorativi tradizionali. A questi due obiettivi specifici corrispondono, come mostra la successiva tabella, due distinti modelli di integrazione, l’uno orientato all’integrazione permanente del lavoratore svantaggiato nella WISE, l’altro transitorio, prevedendo cioè che il lavoratore svantaggiato operi nella WISE per un periodo limitato (che può variare a seconda dei Paesi da alcuni mesi ad alcuni anni) e che sia poi avviato, grazie anche al rafforzamento delle sue capacità maturato entro la WISE, ad un impiego in un’impresa ordinaria (Defourny et al., 2004). In alcuni Paesi (e, in questi casi, talvolta nella stessa WISE) coesistono entrambi i modelli: per alcuni lavoratori la WISE rappresenta un passaggio temporaneo e preliminare verso il mercato del lavoro e per altri offre un’occupazione permanente; è questo il caso, ad esempio, dell’Italia, dove coesistono tradizioni regionali e culturali che aderivano all’uno o all’altro modello, che sembrano però negli ultimi anni essere sfumate in una concezione pragmatica che, a seconda dei percorsi di ciascuna persona svantaggiata inserita e della sua effettiva possibilità di collocazione esterna, individuano un esito coerente; va comunque evidenziato, con riferimento al nostro Paese, che la minore ricettività del mercato del lavoro ordinario e la sua selettività stanno spingendo fortemente negli ultimi anni verso una prevalenza dell’integrazione permanente, al di là degli auspici di ciascuna WISE.
Paesi | |
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Permanente | Belgio, Bulgaria, Croazia, Rep. Ceca, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Slovenia |
Transitorio | Austria, Francia, Spagna |
Misto | Danimarca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Svezia |
La prevalenza di uno specifico modello dipende da diversi fattori, tra cui la presenza di vincoli normativi e incentivi pubblici, la ricettività del mercato del lavoro, le connessioni con le politiche del lavoro e il grado di interazione delle WISE con altri potenziali datori di lavoro. Spesso la scelta è fortemente influenzata dalla tipologia e dalla gravità dello svantaggio dei lavoratori inseriti. Infatti, come evidenziato dalla ricerca, le WISE che adottano un modello di integrazione di tipo transitorio o misto tendono ad integrare una più ampia gamma di tipologie di lavoratori svantaggiati rispetto alle WISE che adottano un modello di integrazione permanente, che si si rivolgono invece a categorie maggiormente ristrette di lavoratori svantaggiati, talvolta con limitazioni alle capacità lavorative più severe. Le WISE che adottano modelli transitori integrano in molti casi categorie di lavoratori svantaggiati che, data la natura meno grave e talvolta “temporanea” dei loro svantaggi, possono (o dovrebbero) essere più facilmente integrati nel mercato del lavoro tradizionale, se adeguatamente formati grazie ad un percorso di rafforzamento delle proprie competenze, incluse le soft skills, che consenta di prendere (o riprendere) confidenza con ritmi e orari di lavoro, con il sistema di relazioni che caratterizza l’ambiente lavorativo, ecc. Ne sono un esempio i giovani disoccupati e le persone con un vissuto migratorio, nonché i lavoratori con disabilità meno severe o, con riferimento all’esperienza italiana, le persone detenute o tossicodipendenti. Le imprese di inserimento lavorativo in Spagna, ad esempio, offrono opportunità lavorative temporanee a persone con svantaggi molto diversi, tra cui disoccupati di lunga durata, appartenenti a minoranze etniche e giovani che hanno abbandonato la scuola dell’obbligo. Lo stesso accade in Austria, dove quasi tutte le WISE aderiscono al modello transitorio. Una caratteristica delle WISE che aderiscono a questo modello è la combinazione di elementi formativi ed esperienza lavorativa diretta, che dovrebbero congiuntamente fornire gli strumenti e le competenze di base per aumentare la produttività dei lavoratori vulnerabili inseriti ed aumentare così le chance di rientrare (o entrare per la prima volta) nel mercato del lavoro tradizionale.
Occorre tuttavia sottolineare che, in assenza di politiche idonee di supporto, la scelta del modello di integrazione permanente è talvolta obbligata. È questo appunto il caso non solo dell’Italia, dove il modello di integrazione transitorio, che pure ha caratterizzato nel corso degli anni una parte delle WISE, perde visibilmente terreno a causa del debole supporto fornito dalle politiche pubbliche, che induce le imprese a trattenere i propri lavoratori una volta formati all’interno dell’impresa per non compromettere i livelli di competitività raggiunti, ma anche di molte WISE belghe e slovene che raramente raggiungono il l’obiettivo di facilitare la transizione nel mercato tradizionale che pure è tra gli obiettivi che esse si pongono (Dipartimento del lavoro e dell’economia sociale delle Fiandre, 2020; Cotič, 2021).
Vista la natura complessa e la multidimensionalità degli svantaggi di cui i lavoratori sono portatori, spesso le WISE che adottano un modello permanente dedicano particolare attenzione anche a sfere di vita diverse da quella prettamente lavorativa, creando attorno ai lavoratori un microsistema protetto e fornendo loro servizi di supporto ad ampio spettro, come un aiuto concreto nella ricerca di soluzioni abitative e nell’acquisire indipendenza finanziaria, affinché possano raggiungere quanta più autonomia possibile. Non a caso, questo è il modus operandi adottato da molte WISE nate nel campo della salute mentale, come le cooperative sociali a responsabilità limitata greche, alcune cooperative sociali di tipo B in Italia, le cooperative di persone con disabilità in Bulgaria, i laboratori protetti e integrativi in Croazia, le imprese per le persone con disabilità e i centri per l’impiego in Slovenia e i laboratori protetti in Romania. In questi casi, la natura a lungo termine dei percorsi di integrazione consente alle WISE di strutturare progetti di inserimento lavorativo e formazione personalizzati che consentono di stabilire relazioni sociali significative con altre persone sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione. L’essere integrati permanentemente all’interno della WISE facilita inoltre – laddove possibile- la partecipazione dei lavoratori svantaggiati agli organi di governo dell’organizzazione, contribuendo ulteriormente al loro empowerment.
Il modello transitorio, in alcuni casi è frutto di una cultura consolidata, in altri – come dimostrato da alcune ricerche (UNDP – EMES, 2008) – si è sviluppato come evoluzione del modello permanente di integrazione. L’obiettivo delle prime iniziative di WISE emerse in Spagna negli anni ’80 era ad esempio quello di offrire ai lavoratori svantaggiati (principalmente persone con disabilità) un lavoro stabile per consentire loro di prendere il controllo sulle proprie vite. Tuttavia, nel corso degli anni, la forte interazione con le politiche attive del mercato del lavoro ha spinto le WISE di questo Paese ad integrare il maggior numero di lavoratori svantaggiati possibile nel mercato del lavoro tradizionale (UNDP – EMES, 2008). In Spagna come anche in altri Paesi sono proprio le leggi a prescrivere una durata massima dei percorsi di integrazione lavorativa all’interno delle WISE: la normativa prevede un massimo di tre anni di occupazione prima del passaggio al mercato del lavoro tradizionale. Il tempo massimo di occupazione è ancora più breve nelle WISE austriache e in particolare nelle “Imprese socioeconomiche” (una delle forme di WISE austriache), le quali offrono contratti di lavoro della durata minima di sei mesi e massima di un anno principalmente a disoccupati di lunga durata, lavoratori anziani e persone con disabilità. In questi casi il modello di inserimento, al fine di facilitare il reperimento del successivo lavoro nel mercato tradizionale, assume una valenza marcatamente formativa e abilitante e spesso si associa con azioni di supporto alla collocazione esterna. Tale modello, come più volte evidenziato da Carlo Borzaga, prevede la creazione di rapporti territoriali fiduciari tra la WISE e le imprese del territorio e non a caso è stato notato che le WISE in questo caso assumono nei confronti delle imprese ordinarie una funzione di “rassicurazione” circa la qualità del lavoratore in uscita dal percorso di inserimento che consente all’impresa che successivamente lo assume di superare lo stereotipo negativo connesso a certe condizioni (es. ex tossicodipendente, ex detenuto, disabile, ecc.) e che avrebbe comportato – in assenza del passaggio nella WISE – costi di selezione e di formazione altrimenti insostenibili.
Il modello transitorio è, da un certo punto di vista, fortemente attrattivo: data una certa dimensione di impresa, su una stessa posizione lavorativa ruotano più persone, massimizzando la funzione di inserimento; e, d’altra parte, la successiva assunzione nel mercato ordinario certifica di per sé la positività del percorso. D’altra parte, si tratta di un modello assai costoso, sia per i costi di collocamento, sia, soprattutto, per l’onere connesso al privarsi di personale formato per riprendere ogni volta il ciclo con nuovi lavoratori svantaggiati. Ciò è possibile o in condizioni economiche particolari (ad esempio, le WISE italiane degli anni Novanta) o in presenza di un sostegno pubblico significativo (è il caso dei paesi dove attualmente tale modello è prevalente).