Questo articolo è frutto del lavoro di ricerca svolto dall’autore per incarico del Consorzio Nazionale Idee in Rete nell’ambito del progetto Europeo B-WISE. Il report completo è disponibile a questo indirizzo. È stato inoltre pubblicato in lingua italiana e con adattamenti al contesto nazionale questo articolo sulla rivista Impresa Sociale, che tratta in modo più ampio i temi qui sinteticamente proposti.
Nell’articolo si utilizza il termine “WISE” (Work Integration Social Enterprises), comunemente utilizzato in ambito comunitario, per indicare le Imprese Sociali di inserimento lavorativo e quindi, prendendo ad esempio il contesto italiano, le cooperative sociali di inserimento lavorativo.
Le WISE: un fenomeno unitario ma articolato
Per un italiano è naturale identificare le imprese sociali che realizzano inserimento lavorativo di persone svantaggiate con le oltre 5 mila cooperative sociali cosiddette “di tipo B” o “di inserimento lavorativo”, disciplinate dalla legge 381/1991. Possono esservi, da un punto di vista giuridico, anche imprese sociali di inserimento lavorativo in forma non cooperativa, ma i numeri sono assai limitati. Se guardiamo al panorama europeo, il fenomeno diventa assai più articolato, data la presenza di tradizioni giuridiche e prassi sociali differenti.
Quando si tenta di fare ordine tra la estrema varietà di denominazioni attribuite ai diversi soggetti che in Europa realizzano inserimento lavorativo – dai Centros Especiales de Empleo spagnoli alle Sozialökonomische Betriebe austriache, dalle Entreprise d’insertion francesi alle Collectief maatwerk belghe e decine di altre – troviamo un insieme assai vario di soluzioni. Per complicare le cose: possiamo trovare enti con una stessa denominazione (tipico l’esempio dei “laboratori protetti”, ben sviluppato in un articolo di Galera e Tallarini che presentano però caratteristiche molto diverse tra loro – sicuramente tra una nazione e l’altra, ma talvolta anche nello stesso Paese – e soggetti con nomi diversi, ma che di fatto presentano caratteristiche simili. A ben vedere, anche un contesto assai più semplice di altri, quello italiano, dove, come si è detto, vi è un solo soggetto giuridico significativo, troviamo enti che percepiamo essere molto diversi tra loro rispetto a caratteristiche economiche, modelli di inserimento lavorativo, collocazione nel contesto sociale e istituzionale di riferimento, ecc.
A fronte di questo scenario, appare utile una doppia operazione: da una parte una definizione operativa delle WISE che fornisca un perimetro del fenomeno, con criteri resistenti alla varietà di manifestazioni con cui esso si presenta (tema sviluppato in questo articolo), dall’altra individuare degli idealtipi di WISE che ci consentano di fare ordine in questa complessità.
Questa operazione è stata realizzata all’interno del progetto B-WISE attraverso focus group nazionali e realizzando 73 studi di caso, che comprendono complessivamente 518 interviste di cui 112 a dirigenti, 157 a personale incaricato di supportare l’inserimento lavorativo e 249 a lavoratori svantaggiati. La logica di questa operazione di classificazione è quella di individuare criteri indipendenti dalla forma giuridica e legati invece a caratteristiche imprenditoriali, relative alle pratiche di inserimento lavorativo, alla collocazione nelle politiche, alla cultura d’impresa, ecc. che contribuiscano ad individuare uno specifico modello di WISE. Sono così stati individuati tre idealtipi, che contribuiscono almeno in una decina di paesi sui tredici considerati a fornire una chiave di lettura utile a comprendere e classificare le WISE:
- WISE Produttive (o, nei documenti europei, Productive WISEs, PW)
- WISE Sociali (o, nei documenti europei, Social WISEs, SW)
- WISE Formative (o, nei documenti europei, Training WISEs, TW).
La connotazione idealtipica di questi modelli comporta che essi vadano intesi come costruzioni concettuali utili a fini analitici, nella consapevolezza che i casi concreti possono presentare caratteri intermedi o misti.
Le WISE Produttive (PW)
Sono WISE fortemente orientate alla produzione; la loro sostenibilità dipende esclusivamente o quasi dalla vendita di beni e servizi sul mercato, dove competono con altre imprese, sia WISE sia, soprattutto, non WISE; non dispongono invece di proventi significativi derivanti da attività formative o dal riconoscimento del lavoro sociale svolto nei confronti dei lavoratori svantaggiati. Possono raggiungere una dimensione economica rilevante (spesso alcuni milioni di euro, talvolta alcune decine di milioni di euro), dando in questo caso lavoro a centinaia di persone e diventando attori imprenditoriali significativi nel territorio in cui operano. Soprattutto le unità più grandi (ma non solo) effettuano investimenti significativi in impianti di produzione, veicoli, strumenti di lavoro, tecnologie avanzate, ecc. e talvolta le loro immobilizzazioni ammontano nei bilanci ad alcuni milioni di euro.
Operano in diversi settori di attività, dai servizi ambientali (raccolta differenziata, recupero di materiali usati) alle pulizie civili e industriali, dalla gestione delle aree verdi ai vari tipi di stabilimenti produttivi; spesso svolgono più di una attività, avendo nel corso del tempo scelto di differenziare i settori rispetto agli ambiti di partenza. Competono in generale con imprese non WISE sia sul mercato degli appalti pubblici che (prevalentemente) sul mercato privato. I lavoratori svantaggiati sono nella grande maggioranza regolarmente assunti e retribuiti secondo contratti collettivi di lavoro (in Italia, o il CCNL delle cooperative sociali o quello relativo al settore di attività), con l’obiettivo esplicito che lo stipendio porti all’indipendenza economica.
La cultura d’impresa è fortemente orientata all’imprenditorialità e considera centrale il raggiungimento dell’autonomia economica del lavoratore svantaggiato: il lavoro e la conseguente remunerazione sono considerati uno strumento di effettiva autonomia personale, che permette ai lavoratori svantaggiati di non essere (e di non percepirsi) più come fruitori di un servizio, ma come persone che hanno conquistato o riconquistato la propria autonomia; sono invece meno diffuse, con l’eccezione di alcune imprese eccellenti, altre forme di intervento mirate a soddisfare esigenze diverse (es. alloggio, assistenza sociale, interventi educativi, azioni di presa in carico del nucleo familiare, ecc.).
Il fatto che queste imprese dispongano quasi esclusivamente delle risorse tratte dalla vendita di beni e servizi in un contesto economico sempre più caratterizzato dalla competizione può rendere difficile la destinazione di risorse significative agli operatori che supportano l’inserimento lavorativo e l’adozione di modelli di inserimento temporanei (vedi questo articolo) e possono portare la WISE a scegliere gli “svantaggiati meno svantaggiati” e quindi più produttivi. E al contempo tende ad escludere forme di sostegno e supporto che afferiscono più all’inclusione sociale dei lavoratori svantaggiati inseriti.
Con riferimento al nostro Paese (e anche all’intero continente europeo), si tratta del modello largamente prevalente. La conformazione più tipica delle cooperative sociali di inserimento lavorativo segue questo modello.
Le WISE Sociali (SW)
Le WISE Sociali nascono generalmente all’interno di organizzazioni che mirano a realizzare un complesso di interventi diversi (ad esempio, azioni educative e assistenziali, azioni di inclusione sociale, ecc.), legati in senso lato all’area del welfare, a favore di gruppi con caratteristiche specifiche di svantaggio: ad esempio, persone con disabilità intellettiva, persone con problemi di salute mentale, persone senza fissa dimora, donne sole con bambini o vittime di violenza, e così via. Nell’ambito del più ampio intervento rivolto alle persone, le WISE Sociali attivano percorsi finalizzati all’occupazione, poiché il la sfera occupazionale è considerata un aspetto rilevante per l’integrazione sociale e il benessere degli utenti.
Alcune di queste attività hanno avuto origine inizialmente con scopi di terapia occupazionale, considerando l’impiego in attività para-produttive (è il caso dei tradizionali laboratori protetti) come un’azione educativa e di empowerment di cui gli utenti possono beneficiare per poi evolvere verso attività produttive vere e proprie.
Spesso i ricavi per le attività produttive e le remunerazioni per le attività assistenziali nei confronti delle stesse persone svantaggiate sono compresenti; e coesistono lavoratori retribuiti e utenti di servizi con remunerazione simbolica. Talvolta, invece, la vocazione sociale si attua all’interno di un “Gruppo di economia sociale”, tratta in questo articolo, così che la persona svantaggiata ha al tempo stesso un piccolo incarico lavorativo dalla WISE, mentre è utente di un altro ente ad essa collegato che opera nel campo del welfare.
In queste WISE l’integrazione lavorativa è parte integrante di un più ampio progetto sociale e quindi o la WISE stessa o organizzazioni ad essa collegate generalmente prendono in carico aspetti diversi da quelli lavorativi quali l’accesso ad una abitazione o il benessere psicologico delle persone inserite. È presente personale che svolge attività di sostegno alle persone inserite, operando secondo regole organizzative ben definite.
Le WISE Sociali includono persone con diversi tipi di svantaggio: ad esempio persone con gravi disabilità quali deficit cognitivi, pazienti psichiatrici, persone provenienti da percorsi di esclusione estrema (ad esempio, persone senza dimora). In altri casi, il tipo di svantaggio è meno marcato in termini di riduzione della capacità lavorativa (ad esempio, donne sole, donne vittime di violenza), ma il valore sociale connesso all’inclusione in un’attività professionale è comunque forte. Soprattutto nei casi di svantaggio più grave, le persone svantaggiate rimangono permanentemente nella WISE.
Le WISE sociali possono operare in vari campi di attività come laboratori di ristorazione e di produzione alimentare, agricoltura sociale, assemblaggio, laboratori tessili, sartoria, accoglienza turistica, negozi, ecc. Ci sono WISE Sociali in cui l’attività si caratterizza per il suo aspetto di “laboratorio”, ovvero la possibilità di operare in un contesto relativamente protetto, impostando tempi e metodi di produzione coerenti con le caratteristiche delle persone coinvolte. Il contesto laboratoriale facilita anche l’azione degli operatori dell’inserimento lavorativo, che lavorano così a stretto contatto con le persone svantaggiate e possono valorizzare la dimensione del gruppo. In altri casi, le WISE hanno scelto appositamente un’attività a contatto con il pubblico (es. negozio) per il valore “politico” di questa scelta nella lotta ai pregiudizi.
Con riferimento all’Italia, questo modello, pur meno diffuso rispetto a quello delle WISE Produttive, è comunque presente in modo non residuale; spesso si tratta di cooperative sociali di inserimento lavorativo originate da cooperative sociali operanti nel campo del welfare o di cooperative ad oggetto plurimo. Spesso tali esperienze coinvolgono persone con forme di svantaggio assai marcate, ad esempio con disabilità psichica, e si sostengono anche grazie ad una forte presenza di volontari o familiari delle persone inserite.
Le WISE Formative (TW)
Le WISE formative nascono dall’evoluzione delle organizzazioni che svolgono attività di formazione e hanno sviluppato un’attenzione specifica al trattamento dei gruppi vulnerabili, ad esempio NEET o persone con disabilità e che, ad un certo punto della loro storia, hanno ritenuto importante integrare l’offerta formativa con la realizzazione di attività produttive in cui le persone appena formate potessero sperimentare direttamente i ritmi e le esigenze di un contesto lavorativo reale. Come nelle WISE sociali, anche le WISE formative spesso mantengono forti relazioni con una “organizzazione madre”, che contribuisce direttamente o indirettamente alla loro sostenibilità. Queste WISE, in linea con le loro origini, sono strutturate per formare le persone in vista del loro successivo inserimento nel mercato del lavoro ordinario; generalmente non si considerano come l’approdo finale per le WSN, ma come un “ponte” verso successive esperienze lavorative e quindi differiscono dagli altri modelli di WISE per diverse caratteristiche. Prevedono attività di formazione strutturate, realizzate direttamente o nell’ambito del Gruppo di Economia Sociale. Tendono a strutturare attività di job placement verso imprese non WISE a completamento del progetto di inserimento lavorativo.
I settori di attività possono essere vari, anche se il settore della ristorazione e della produzione alimentare sembra più diffuso di altri.
Lo status delle persone occupate spesso è piuttosto “elastico”: soprattutto laddove i periodi di permanenza nella WISE sono brevi, anche se le attività svolte consistono nella vendita di beni e servizi sul mercato, possono coesistere persone occupate (eventualmente con contratti specifici dedicati a chi entra nel mondo del lavoro, in Italia tipicamente il contratto di apprendistato) e persone con uno status legato alla fase di formazione (es. tirocini).
In Italia esperienze di questo tipo sono abbastanza rare, si tratta probabilmente di alcune decine di casi in tutto il Paese, frutto di evoluzioni in senso produttivo all’interno di enti formativi. Malgrado la loro residualità numerica, si tratta di esperienze che è utile considerare perché costringono a interrogarsi – in generale, anche con riferimento alle WISE Produttive – sulla funzione della crescita professionale all’interno del percorso di inserimento e sul modo per supportarla.
Il modello: punti di forza e limiti
Preliminarmente, va richiamato il fatto che un’operazione tassonomica ha una valenza preliminare a successivi passaggi: perché classifichiamo animali, piante, sistemi giuridici, tendenze filosofiche, ecc.? In generale, lo si fa ritenendo che ridurre ma molteplicità di manifestazioni empiriche (nel nostro caso, le centinaia di migliaia di WISE europee) ad un numero limitato di tipi consenta di ordinare e comprendere meglio il fenomeno quindi, eventualmente, di agire in modo più adeguato e mirato. Nel caso qui affrontato, la consapevolezza circa la presenza di questi tre filoni può ispirare tanto azioni organizzative quanto politiche mirate a valorizzare e supportare ciascun modello di WISE.
Ciò premesso, va affrontata una questione di merito: in che misura la tripartizione qui proposta è stata ritenuta utile alla comprensione del fenomeno nei diversi paesi?
Un elemento sicuramente utile è il fatto di prescindere dalle forme giuridiche adottate, superando quindi lo scoglio dell’estrema diversità delle WISE europee: la classificazione proposta è infatti frutto dell’esame di caratteristiche specifiche relative agli aspetti economici, alle forme di inserimento lavorativo e alla collocazione nelle politiche di integrazione socio-lavorativa e formative. In queste immagini (1 – 2 – 3) è proposto il confronto tra le caratteristiche dei diversi tipi di WISE che ha originato il modello; si rimanda comunque per gli approfondimenti a questo articolo pubblicato su Impresa Sociale.
Nel merito, il modello sopra illustrato è stato considerato utile a descrivere e comprendere le WISEs in circa tre quarti dei paesi considerati, mentre la sua pregnanza è risultata più bassa tanto più ci si confronta con contesti nazionali caratterizzati da un alto livello di sostegno alle WISEs; in sostanza, in questi paesi, grazie alla presenza di risorse adeguate, le WISE tendono ad assommare le caratteristiche dei tre modelli e la classificazione proposta può quindi al limite avere un valore “storico” descrivendo le origini dell’ente, ma non aiuta nella descrizione e comprensione delle effettive caratteristiche. Questo esito, se da una parte rassicura sul fatto che il modello proposto può offrire un buon contributo euristico, dall’altra innesca ulteriori riflessioni che saranno sviluppate in un successivo articolo.