Ludmilla, da badante a homeless: «L’Italia era la mia America»


Diana Cavalcoli | 15 Novembre 2017

«Non posso permettermi nemmeno il caffè». Comincia davanti a una tazzina di espresso il racconto di Ludmilla, badante di 48 anni, diventata homeless dopo aver perso il lavoro. La incontriamo in un bar del centro a Milano. Sorride, si presenta, cerca di spiegare come è arrivata a vivere nel centro di accoglienza di viale Ortles. «In mezzo a chi soffre davvero», dice. Gli occhi azzurri tradiscono una grande stanchezza. «Vengo da un paesino nell’entroterra dell’Ucraina dove non ci sono strade asfaltate – racconta -. Sono arrivata in Italia sedici anni fa lasciando tutto. Non è stata una scelta: non c’era lavoro e come sarta per calzature guadagnavo troppo poco. L’Italia era un mito, un po’ come l’America».    width= Ludmilla spiega di aver sempre lavorato nel nostro Paese. Ha imparato a leggere e a scrivere in italiano e ha iniziato a prendersi cura degli «anziani degli altri». Il periodo da badante è stato il più sereno della sua vita. «Ho sempre avuto ottimi rapporti con le famiglie. Una volta i figli del signore che seguivo mi hanno portata anche al mare con loro. Voi italiani siete bravi a far sentire a proprio agio le persone e se lavori bene sei apprezzato». Negli ultimi mesi del 2016 però sono arrivati i problemi di salute. «Sono caduta mentre spingevo una signora sulla carrozzina. Da lì una complicazione alla schiena ha spinto la famiglia per cui lavoravo a mandarmi via. Mi sono ritrovata in strada da un giorno all’altro. Avevo una casa a Monza ma non potendo più pagare l’affitto sono stata costretta ad andarmene». Così Ludmilla, su consiglio di alcuni operatori del Terzo settore, si è rivolta al centro di viale Ortles, la Casa dell’Accoglienza Enzo Jannacci. Qui, al civico 69, si ritrovano italiani, stranieri, anziani, giovani e donne senza fissa dimora. Per Ludmilla la nuova realtà è stata uno shock. «Divido la stanza con altre tre donne – spiega -. Una ragazza russa ex eroinomane, una signora rumena e una cinese che piange e urla quasi ogni giorno. Appena posso esco. Non ci si aiuta, ognuno è chiuso nei suoi problemi. Le poche cose che ho, qualche vestito e un cellulare per sentire i parenti, le porto sempre con me». Del suo lavoro di badante ha nostalgia. «Mi sono presa cura di diversi nonni”,  dice, “li vestivo, cucinavo per loro e confesso che mi sentivo di casa soprattutto quando alloggiavo dalle famiglie. Ho sempre fatto tutto in regola e ho pagato i contributi, sentivo di avere un mio ruolo». Anche se gli affetti erano lontano più di mille chilometri. In Ucraina Ludmilla ha lasciato l’ex marito, il figlio di 26 anni e il padre malato. «Finché ho potuto ho continuato a mandare i soldi a casa. Buona parte degli 800 euro che guadagnavo al mese sono serviti per far studiare Alex. Farà il medico e si è sposato da poco», dice con orgoglio.   Le chiediamo se a casa sanno della sua condizione. «Ho detto solo che non ho il lavoro ma che ho trovato dove stare, non voglio farli preoccupare», taglia corto.  Alla domanda se sta cercando o meno un impiego risponde ferma. «Non ho mai smesso. Però per fare la badante funziona molto il passaparola, devi sempre chiedere se qualcuno ha bisogno. Purtroppo é un lavoro che é sempre a tempo determinato, continui per due o tre anni e poi si cambia.  Ma non ho appoggi adesso». L’idea di Ludmilla è quella di rimanere a vivere in Italia ma confessa di voler tornare a casa per  stare con la sua famiglia. «Adesso che non ho più niente qui anche le colline ucraine mi sembrano più belle».


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