Più poveri e tanto più disuguali


Daniela Mesini | 9 Febbraio 2021

Questo articolo è stato pubblicato anche su LombardiaSociale.it

 

 

Dopo una tregua estiva che ci aveva fatto tirare un po’ il fiato e ben sperare verso un più rapido epilogo, seppur tutt’altro che indolore, la pandemia prosegue ed accelera.

 

È ormai chiaro a tutti che ci troviamo di fronte ad una crisi senza precedenti per straordinarietà ed imprevedibilità della causa, per estensione e per rapidità dell’aggravamento. Nessun paese al mondo è salvo e nessuna malattia precedente è diventata una minaccia globale di tali dimensioni e così velocemente come il Covid-19.

Una crisi come non se ne vedevano dalla Grande Depressione del 1929, ci ricorda il World Economic Outlook, trimestrale del Fondo Monetario Internazionale, con contraccolpi impressionanti, sull’economia, l’occupazione e la società tutta, che sta già portando ad un drastico aumento della platea dei poveri e ad un acuirsi dei bisogni e delle diseguaglianze.

Le stime, analisi previsionali e rilevazioni campionarie sin qui prodotte sui primi effetti della pandemia, pur provvisorie e riferite a differenti unità di analisi, sono tutte concordi nel delineare scenari drammatici e preoccupanti.

 

A livello globale

Il recente Rapporto Oxfam Dignità e non miseria parla di una diminuzione del PIL a due cifre e di una contrazione di consumi e redditi da lavoro tali da ridurre in povertà tra il 6% e l’8% della popolazione mondiale, pari a mezzo miliardo di persone1. Banca Mondiale che nell’aprile scorso aveva previsto 49 milioni di persone cadute in povertà estrema nel 2020, per via dell’emergenza sanitaria, qualche settimana fa ha rivisto le stime, quantificando tra gli 88 e i 115 milioni i nuovi poveri. E le persone costrette a vivere con meno di 1,90 dollari al giorno, 700 dollari all’anno, potrebbero raggiungere i 150 milioni entro la fine del 2021. Africa Sub-Sahariana e Asia del Sud i paesi più colpiti dalla recessione, ma anche il resto del mondo, occidente compreso, sta subendo e subirà tragiche conseguenze.

Persone senza lavoro, con scarsa istruzione, bambini e ragazzi tra le categorie più vulnerabili. Unicef e Save the Children hanno lanciato l’allarme. Già dallo scorso mese di maggio sono stati stimati in 117 milioni i minori in più a rischio povertà nel 2020, specie nelle aree più povere del mondo, dove il distanziamento sociale e la drastica riduzione degli spostamenti hanno di molto limitato gli aiuti umanitari. Sempre secondo le suddette stime 10 milioni di bambini non potranno tornare più a scuola e 80 milioni rischieranno di non poter accedere alle vaccinazioni essenziali.

Si tratta di numeri impressionanti, verosimilmente destinati a crescere, ma che già così, sostiene ancora Oxfam, rischiano di vanificare oltre 10 anni di progressi lentamente e faticosamente conquistati nella lotta alla povertà e nel ridimensionamento della forbice tra Paesi; in alcune regioni del globo poi i livelli di povertà tornerebbero addirittura a quelli di 30 anni fa.

 

A casa nostra

Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale (FMI), il PIL italiano nel 2020 si ridurrà complessivamente tra l’8% ed il 9%; ISTAT avrebbe addirittura stimato per il secondo trimestre dell’anno un crollo senza precedenti, pari cioè a -12,4% come non si vedeva dal 1995. Tra le conseguenze un numero di poveri assoluti e relativi decisamente superiore a quello degli anni precedenti.

A questo proposito, uno studio dell’Unione generale del lavoro (Ugl) avrebbe stimato un’incidenza della povertà relativa addirittura del 23%, corrispondente a 13,8 milioni di persone, contro gli 8,8 milioni (14,7% sulla popolazione) dell’ultima rilevazione ISTAT, relativa alla situazione pre-pandemia. Risulterebbero poi più che raddoppiati, pari a 9,8 milioni, i cittadini sotto la soglia della povertà assoluta, a fronte dei 4,6 milioni calcolati sempre dell’ISTAT con riferimento ai dati 2019.

Anche Action Aid, nel suo recente rapporto, stima un raddoppio delle famiglie in povertà assoluta, pari a circa 2 milioni di nuclei in più, a causa delle crisi economica determinata dalle misure di contenimento del virus, contro gli 1,7 milioni stimati sotto soglia alla fine dello scorso anno.

 

Si tratta di dati forse eccessivamente pessimistici, ma se risultassero confermati significherebbe che nel giro di pochi mesi la povertà in Italia ha subito una drastica impennata, facendo scivolare sotto la soglia della povertà relativa poco meno di un italiano su quattro e al di sotto della povertà assoluta all’incirca un italiano su sei.

 

Save the Children prevede gravi conseguenze sui bambini anche nel nostro Paese, con un milione di minori in più in scivolamento nella povertà assoluta, entro la fine dell’anno, il doppio rispetto al 2019.  Ma come sappiamo quella dei bambini non è solo povertà economica. L’isolamento forzato, il distanziamento sociale e relazionale, la chiusura delle scuole, l’indisponibilità di strumenti informatici necessari per seguire la didattica a distanza hanno acuito in fase di lockdown le diseguaglianze tra famiglie con minori, che potranno riproporsi nelle settimane e nei mesi a venire causando nel futuro prossimo un’impennata della povertà educativa. A questo si aggiunga il diseguale accesso alle cure ed ai servizi sanitari, specie in alcune aree del paese, in parte correlato alle differenti possibilità di spesa da parte delle famiglie.

 

Anche con riferimento alla povertà alimentare le stime evidenziano un significativo peggioramento. Coldiretti, prendendo in esame coloro che nella prima metà dell’anno hanno beneficiato di aiuti alimentari con i fondi FEAD (Fondo di Aiuti Europeo agli Indigenti), ha quantificato in un milione l’incremento delle persone deprivate in Italia nel 2020 per effetto dell’emergenza, e ne prevedrebbe addirittura quattro milioni per l’autunno. Ed il Banco Alimentare ha segnalato un incremento del 40% degli assistiti dall’inizio della pandemia a fine giugno, corrispondenti a 2,1 milioni, contro gli 1,5 milioni del periodo precedente.

 

Infine anche il recentissimo Rapporto Caritas 2020, che attraverso i dati dei centri di ascolto distribuiti sul territorio nazionale, cerca di restituire una fotografia dei gravi effetti economici e sociali dell’attuale crisi sanitaria legata alla pandemia, evidenzia un significativo e preoccupante aumento delle situazioni di povertà. Analizzando il periodo maggio-settembre del 2019 e confrontandolo con lo stesso periodo del 2020 emerge che da un anno all’altro l’incidenza di coloro che si sono rivolti alla Caritas per la prima volta passa dal 31% al 45%, evidenziando quindi un incremento dei ‘nuovi poveri’.

 

Dietro ai numeri, persone e volti

Le prime analisi ci dicono che oltre alle categorie tradizionalmente a rischio quali le marginalità estreme (rom, senza fissa dimora), gli stranieri2, le famiglie numerose con figli minori, i disoccupati, la crisi sta colpendo in particolar modo gli occupati, i giovani e le donne, alcuni di questi finora relativamente al riparo da condizioni di deprivazione.

Il sopraggiungere dell’epidemia ha sicuramente causato un duro colpo all’occupazione. ISTAT stima nel terzo trimestre del 2020 una riduzione degli occupati di 841 mila unità, quasi doppia rispetto al trimestre precedente. Il tasso di occupazione scende al 57,9%, al penultimo posto in Europa, mentre il tasso di inattività, che misura coloro che non sono occupati né in cerca di occupazione, è risalito oltre il 38%, cioè ai livelli del 2011. Questo in termini aggregati, ma la crisi non colpisce in modo uniforme le diverse categorie di lavoratori, alcune risultano decisamente più penalizzate di altre: i lavoratori a tempo determinato, specie se con contratto in scadenza, i piccoli commercianti e artigiani che si sono trovati costretti a chiudere le loro attività, i lavoratori stagionali, occasionali, intermittenti, ma anche i lavoratori autonomi e le persone impiegate nel sommerso, che non hanno potuto godere di particolari sussidi o aiuti pubblici. L’acuirsi delle disuguaglianze occupazionali non riguarda e non riguarderà solo le tipologie contrattuali, ma anche i settori di impiego e gli skills professionali, alcuni dei quali consentiranno di avere più chance di resistere al mondo post-pandemia, altri molto meno. Senza considerare le condizioni del mercato del lavoro in Italia che già variavano di molto a seconda della ripartizione geografica e che la crisi verosimilmente accentuerà.

 

In questa fase di precarietà lavorativa ed incertezza delle entrate la differenza la fa la possibilità di ‘attutire il colpo’ attingendo ad eventuali risparmi o ad altre fonti di reddito, pratica questa meno frequente di quanto si pensi. Una recente stima elaborata a partire dall’archivio storico dell’Indagine campionaria sui bilanci delle famiglie di Banca d’Italia evidenzia che se circa il 60% della popolazione adulta possiede un valore mediano di risparmi pro-capite pari a circa 3mila euro, i 10 milioni di persone più povere nel nostro paese possiedono ciascuno non più di 300 euro di risparmi, riserva sicuramente insufficiente a garantire un galleggiamento in questa situazione.

Tra i lavoratori precari e senza altre fonti di reddito a disposizione i giovani rappresentano una quota significativa. È proprio nella fascia di età tra i 15-34 anni che si concentra infatti la più alta incidenza di lavoratori occasionali, scarsamente retribuiti e impiegati in settori come quello turistico, della ristorazione o dello spettacolo, tra i più colpiti e meno tutelati in questa fase di emergenza sanitaria. Oltre ad una maggiore penalizzazione dei giovani occupati, la crisi tenderà ad ampliare anche la fascia degli inattivi. Ricordiamoci che l’Italia già detiene in Europa il triste primato per giovani NEET: i ragazzi e giovani adulti nella fascia 15-29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono alcun percorso di formazione erano pari a oltre 2 milioni nel 2019, rappresentando il 23,4% del totale dei giovani della stessa età presenti sul territorio. E’ ragionevole immaginare che questa percentuale sia destinata a crescere.

 

Le conseguenze della pandemia porteranno anche ad un acuirsi delle diseguaglianze tra uomini e donne. UN Women stima che nel 2021, per gli effetti del Covid, circa 47 milioni di donne in più nel mondo vivranno in povertà, anche per il fatto che i lavori delle donne sono più vulnerabili a questa crisi rispetto ai lavori degli uomini, si pensi ad esempio al lavoro domestico o al maggior impiego nel terziario, almeno per quello che riguarda il nostro paese. Secondo altre stime del Mc Kinsey Global Institute le donne pur rappresentando il 39% dell’occupazione globale, costituiscono il 54% della perdita complessiva di posti di lavoro e questo soprattutto a causa del lavoro di cura non retribuito che è enormemente cresciuto per via dell’emergenza sanitaria. Ma come ben sappiamo le differenze tra i sessi non riguardano solo le minori possibilità occupazionali, ma anche i salari, i redditi ed, estremamente semplificando, il differente accesso all’istruzione, alla salute e le violenze domestiche, che in questa fase sono letteralmente esplose.

In sintesi quindi, il quadro visto fin qui, seppur parziale e necessariamente provvisorio perché in rapida evoluzione, ci consente di affermare che l’emergenza Covid che stiamo attraversando porterà ad un ampliamento decisivo della povertà, sia in termini di allargamento della platea, che di incremento dell’intensità ed aggravamento delle diseguaglianze tra la popolazione e i territori.

Se già prima dell’emergenza sanitaria i redditi della popolazione più economicamente deprivata crescevano in misura minore rispetto ai redditi dell’intera popolazione, la situazione si acuirà in questa fase, portando ad una polarizzazione della ricchezza decisamente maggiore. La pandemia, come ha detto qualcuno, è stata l’imprevisto collettivo, straordinario quanto inedito, che ha sorpreso tutti, facendo sprofondare chi era già povero o a rischio di povertà e scivolare nella deprivazione intere fasce di popolazione, che fino a pochi mesi fa potevano ritenersi relativamente al sicuro.

 

Quello che ancora non sappiamo è quale sarà il definitivo bilancio di questo shock senza precedenti.

  1. A partire dalle analisi del World Institute for Development Economics Research (WUDER) dell’Università delle Nazioni Unite e dei ricercatori del King’s College di Londra e della Australian National University il Rapporto quantifica in mezzo miliardo le persone che potrebbero cadere sotto a soglia di indigenza dei 5,50 dollari al giorno.
  2. Su questo tema vedi l’articolo di Eleonora Gnan pubblicato su welforum.it il 2.11.2020