L’emergenza Covid-19 ha portato sotto i riflettori un comparto di cui si parlava poco nel dibattito pubblico, ma particolarmente cruciale per il sistema di welfare italiano e futuro. Se è vero che la popolazione italiana invecchia costantemente, dovrebbe risultare naturale dedicare attenzione alla rete di servizi che accompagna i cittadini nella fase della vecchiaia. All’interno di questa rete di servizi (anche definita Long Term Care) un ruolo cruciale per molte persone e famiglie è rivestito dalle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) per anziani. Proprio le RSA sono oggi agli onori della cronaca a causa dell’elevato impatto in termini di malati e decessi causati da Covid-19 che ha riguardato in primo luogo gli ospiti delle RSA e, aspetto non meno importante, anche gli operatori delle strutture residenziali per anziani.
I dati dell’Istituto Superiore di Sanità (gli unici ufficiali disponibili sul tema, ultimo aggiornamento al 14 Aprile 2020) presentano una fotografia quantomeno critica. Nel periodo 1° febbraio – 14 Aprile le morti in RSA imputabili al virus sono state il 40,2% del totale (2.724 dei 6.773 decessi complessivi avvenuti in circa 1.000 strutture, sul panorama nazionale ISS ne ha contate 4.629) con eccezione di alcuni territori dove ha raggiunto vette più alte come PA Trento (78,8%), PA Bolzano (46,4%), Lombardia (53,4%) ed Emilia-Romagna (57,7%). Dei decessi in RSA considerati connessi all’epidemia solamente il 13,3% è stato però accertato con tampone. Guardando ai casi attualmente attivi, se considerassimo solo questi si tratterebbe di 1,43 casi per struttura, con una incidenza non superiore rispetto a quella di altri contesti sociali. Includendo anche i casi non accertati da tampone ma senza sospetti si arriva a 4,3 casi ogni RSA.
Un settore già in crisi
Si tratta quindi di un fenomeno diverso o più grave rispetto a quanto stiamo osservando complessivamente nel Paese? Le evidenze a disposizione sono ancora troppo deboli per dirlo ma i primi segnali ci dicono che il peggio potrebbe essere passato nella diffusione dell’epidemia. Ma non per i gestori di RSA. Si è parlato di “strage silenziosa”, mettendo in evidenza come, nei fatti, le RSA siano state “dimenticate”, soprattutto nella prima fase dell’emergenza, e abbandonate a sé stesse in mancanza di protocolli precisi per gli ospiti con sintomi da COVID-19 e una connessione difficile con il resto della rete socio-sanitaria e sanitaria. Nell’articolo “Un’emergenza nell’emergenza” si sottolinea già come i dati di mortalità nelle RSA in queste settimane e le difficoltà emerse non nascano probabilmente con l’epidemia del nuovo Coronavirus, ma abbiano radici più profonde.
Il settore, infatti, era già fortemente in crisi prima dell’esplosione dell’epidemia. I servizi sono scarsi in tutto il territorio nazionale, con eterogeneità molto vaste tra Regioni che non superano comunque il 30% della copertura del bisogno con la loro offerta. Il mercato privato (ossia l’offerta di servizi sul canale out-of-pocket per le famiglie) fatica a partire, ostacolato dalla concorrenza senza soluzione del badantato o di altre iniziative fai da te da parte dei cittadini. La normativa pubblica (in capo alle Regioni) è in molti contesti datata rispetto alle attuali esigenze degli anziani e il finanziamento garantito insufficiente a garantire gli standard assistenziali necessari. La gestione del personale è critica, con personale assistenziale difficile da reperire anche in funzione delle politiche non sempre tutelanti applicate da datori di lavori o intermediari. Un settore insomma fondamentale per la tenuta del nostro sistema sociale e che coinvolge milioni di italiani, ma le cui fondamenta iniziano a scricchiolare.
Le criticità emerse nella gestione dell’emergenza nel comparto sociosanitario
Sulla diagnosi delle criticità emerse si sono già fatti molti approfondimenti e le testimonianze raccolte in queste settimane ci parlano di due elementi dirimenti: tante azioni e poco coordinamento (purtroppo). In sintesi:
- le RSA sono rimaste sole nella gestione degli anziani contagiati e nella prevenzione di ulteriori contagi (scollegate da rete ospedaliera e territoriale);
- le RSA, che non hanno tra il loro personale le stesse professionalità specialistiche di altre strutture, si sono trasformate (in presenza di contagi) in piccoli reparti Covid-19, senza possibilità di organizzare una assistenza sanitaria adeguata;
- la focalizzazione sulla rete sanitaria è stata valida anche per la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e altri presidi fondamentali per la gestione dei casi;
- similmente l’attività di screening tramite tamponi non è stata (e non è tuttora) prevista in modo sistematico e omogeneo per le RSA da parte delle aziende sanitarie locali, impedendo di avere un quadro chiaro dei contagi avvenuti, in corso e dell’andamento di guarigioni e decessi;
- il personale assistenziale si è rivelato una risorsa scarsa in questo periodo, sia perché è stato impossibile formarlo o trasmettere le competenze mancanti in un tempo così breve (soprattutto di tipo sanitario), sia perché si sono manifestati in alcuni contesti fenomeni di assenteismo per paura degli operatori o spostamenti di personale tra RSA e sanità pubblica legati alle assunzioni straordinarie dalle Regioni avvenute in parallelo.
Soluzioni e innovazioni in corso
Se fin qui abbiamo evidenziato i principali elementi critici emersi durante la gestione dell’emergenza Covid-19 nelle RSA del territorio italiana, è anche opportuno mettere in luce le modalità che molte strutture hanno attivato per compensare le difficoltà incontrate, raccolte attraverso le testimonianze di provider di servizi facenti parte dell’Osservatorio Long Term Care del Cergas o del Network di Alumni di SDA Bocconi.
Un primo elemento ha a che fare con la rapidità di risposta e riorganizzazione. Nonostante le indicazioni regionali siano arrivate quasi sempre con ritardo rispetto al diffondersi dell’epidemia, molte strutture hanno deciso di prendere provvedimenti di tutela di ospiti e personale ben prima che fossero ufficializzati dalle disposizioni (ad esempio, il blocco degli accessi da parte di esterni alle strutture, la misurazione della temperatura a tutti gli operatori prima dell’inizio del turno la ricerca di tamponi e di dispositivi di protezione individuale acquisiti a spese e per volontà delle singole strutture o dei singoli gestori dei servizi).
Da molti territori si segnala poi una grande disponibilità da parte delle organizzazioni locali, soprattutto appartenenti al Terzo Settore, nel supportare le RSA tramite donazioni di dispositivi di protezione individuali per gli operatori o altre iniziative di solidarietà di vario tipo destinate alle strutture e ai loro ospiti. In alcuni casi si segnala anche una proficua e fattiva collaborazione con gli MMG e altri professionisti sanitari del territorio, elemento che invece in molti altri contesti è risultato fonte di criticità, come già evidenziato.
Molte realtà si sono attivate per superare la frammentazione e l’isolamento di cui hanno sofferto nei singoli territori, creando un coordinamento e un confronto tra strutture sociosanitarie, con l’obiettivo di condividere buone prassi per gestire l’emergenza, superando i vincoli istituzionali e organizzandosi in autonomia per creare task force o gruppi di confronto. Questa attività è stata facilitata dal ruolo delle associazioni di categoria o dall’esistenza pregressa di altre forme di coordinamento stabili.
Un altro aspetto che ha determinato una positiva gestione in molte RSA italiane è stato quello di scegliere la trasparenza nelle comunicazioni con i parenti degli ospiti innanzitutto e, in seconda battuta, con tutti gli altri interlocutori del territorio di riferimento: enti locali, aziende sanitarie, fornitori. Questo approccio ha consentito in molti casi di attivare le forme di solidarietà e supporto già richiamate, appellandosi al senso e al valore delle comunità territoriali Inoltre, in assenza di dati certi e di tamponi che permettessero uno screening, la comunicazione su quanto stesse effettivamente accedendo in ogni singola struttura è stata l’unica leva possibile nei rapporti con i propri ospiti.
Si è parlato senza dubbio molto degli sforzi e del sacrificio chiesto a molti operatori sanitari, in particolare coloro che hanno prestato servizio negli ospedali, ma anche a molti MMG che si sono spesi sul territorio. Da più parti si raccoglie però anche un elogio della capacità degli operatori delle RSA di essere resilienti, essendo stati altrettanto sottoposti a stress, in condizioni che hanno determinato carenza di personale durante i turni delle ultime settimane (per le numerose malattie o assenze per timori di contagio), nonché per l’adozione procedure di sicurezza aggiuntive.
Emerge infine che le strutture che si erano già mosse nella direzione della digitalizzazione (attivando ad esempio l’utilizzo della cartella sanitaria elettronica per gli ospiti o adottando modalità di comunicazione tra ospiti e parenti tramite tablet, smartphone ecc…) si sono dimostrate meno impattate dall’isolamento a cui sono state sottoposte, nonché più rapide ad adattare le procedure interne (ad esempio, con la registrazione periodica in tempo reale della temperatura corporea degli ospiti).
In conclusione, le RSA sono state fino a oggi nodo cardine nella gestione degli anziani non autosufficienti nel paese e lo hanno fatto nonostante tutte le criticità contingenti, ma anche nonostante quelle già esistenti che caratterizzano il nostro sistema sociosanitario. Tra queste si fa sentire soprattutto la mancanza di una governance di sistema, la stessa che ha determinato un forte isolamento delle strutture che accolgono la fascia di popolazione più a rischio per le conseguenze di Covid-19. Lo sforzo fatto dai singoli gestori è stato orientato a superare questi elementi che sono però sistemici e richiedono oggi più che mai soluzioni innovative.
Spunti per il futuro
Le RSA devono essere ripensate come un nodo della rete sociosanitaria, in continuità e coordinamento con gli altri servizi, e non più come isole (più o meno felici). Bisognerebbe inoltre prendere atto delle mutate caratteristiche dell’utenza delle strutture residenziali per anziani, oggi molto più complesse da un punto di vista clinico e assistenziale rispetto al passato. A questo riconoscimento dovrebbe corrispondere un aggiornamento degli standard assistenziali e delle tariffe riconosciute dalle Regioni.
Il punto di forza emerso durante la gestione della crisi Covid-19 è il valore delle comunità che le RSA rappresentano, sia all’interno delle loro mura, sia nei rapporti con il territorio di riferimento. Queste dinamiche andrebbero incentivate e stimolate dalle regioni nel ripensare l’ottica di sistema di cui sopra.
L’innovazione digitale, di cui tanto si parla in questi tempi di smart working e videocall, dovrebbe essere supportata e valorizzata anche all’interno dei servizi sociosanitari. L’attivazione di risorse a sostegno della digitalizzazione può essere un elemento di svolta per lo sviluppo futuro dei servizi delle RSA e può essere incentivata dalle regioni non solo attraverso l’investimento diretto di risorse in tal senso, ma anche più semplicemente creando le condizioni affinché fornitori di soluzioni tecnologiche e gestori dei servizi possano trovare più facilmente un incontro tra le loro esigenze.
In un paese che sta diventando sempre più anziano, dove sempre di più sentiamo elogiare il “valore” e l’attenzione che si vuole dare alla popolazione over 65, l’emergenza COVID-19 ha dimostrato in realtà che il sistema ha deciso di voltare lo sguardo altrove. È tempo di dare un segnale concreto che si è trattato solo di una svista temporanea.