La pandemia di Covid-19 non ha che stressato, anticipando gli scenari futuri, le criticità di un sistema, quello dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, già fortemente affaticato e governato da una complessità diffusa. In una logica costruttiva, l’analisi condotta dal gruppo della Cooperativa Meridiana, del Centro di Ricerca ARC dell’Università Cattolica diretto da Mauro Magatti, e degli esperti coinvolti, poi sfociata nel volume “Il futuro delle RSA in Lombardia” (Crippa A., Mauri R., Spreafico G., 2021), si è posta come obiettivi quella di non farsi mera portatrice di una serie di lamentele col solo fine di portare alla luce i buchi neri del sistema ma con animo propositivo e a partire dall’esperienza e dalle competenze maturate proporre strategie di azione nel medio-lungo termine.
Sono chiare le difficoltà di ripensare, in tempi brevi, una riorganizzazione complessiva dell’intero sistema ma è urgente fin da subito affrontare alcuni nodi operativi che quotidianamente concorrono ad affaticare le RSA.
Tre le priorità individuate che richiederebbero fin da subito l’attenzione del programmatore regionale nazionale.
Prima fra tutte gli standard di personale. I dati raccolti sia dalle associazioni rappresentative degli enti erogatori sia da Regione Lombardia confermano che lo standard predefinito negli anni ’90 in 901 minuti di assistenza settimanale per ospite non è più rispondente alle necessita di un bisogno in costante evoluzione che necessita di una rivisitazione complessiva della rete dei servizi. A conferma dei mutati bisogni, anche la ricerca VAOR promossa dalle associazioni di categoria, in collaborazione con la Società Italiana di Geriatria e Gerontologia, ha dato evidenza dell’impegno assistenziale richiesto dagli ospiti in RSA. È emerso che il 60,73% degli ospiti necessiterebbe di uno standard assistenziale pari a 1.412 minuti/settimana mentre il 20.83% di 950 minuti a fronte di una media garantita dalle RSA di 1.096 e di una richiesta regionale di 901 minuti settimanali. Trattasi di una fotografia dinamica: al contrario del sistema SOSIA, il VAOR riconosce il maggior impegno assistenziale e le persone valutate possono muoversi fra i diversi profili RUG in relazione alla stabilita clinica o alla presenza di eventi clinici intercorrenti. Se davvero si vuole mettere mano al sistema RSA il primo intervento da mettere in agenda è la revisione del minutaggio, pena l’impossibilità di farsi carico di una complessità dell’utenza sempre maggiore, unitamente ad una richiesta di qualità che quotidianamente le famiglie legittimamente pretendono a fronte del pagamento della retta. (Benini C., “Le risorse umane: il capitale qualitativo nelle RSA”, in Il futuro delle RSA in Lombardia, pp.185-192).
La correzione degli standard del personale richiama con forza la necessità di rivedere il sistema di remunerazione sanitaria. Agli inizi del 2000 la remunerazione regionale prevedeva, per ogni giornata di presenza, il contributo forfettario di 39,30 €. Oggi, a fronte di un aumento dei bisogni della persona anziana fragile, con l’introduzione del sistema SOSIA e con una dilatazione esasperata degli oneri organizzativi e burocratici a tutti i livelli, la media della remunerazione si aggira mediamente sui 40 € al giorno. Da questo dato dipendono le sempre maggiori difficoltà dei gestori a coniugare qualità delle cure e sostenibilità economica che comportano: la progressiva riduzione degli standard di personale impegnato a “curare” gli anziani; l’impossibilità a garantire agli operatori stipendi adeguati (con conseguenti fughe verso le strutture sanitarie pubbliche); la svendita di un numero sempre maggiore di RSA a soggetti privati (spesso grandi fondi di investimento) sempre più intenzionati ad incrementare i loro numeri di posti letto in Italia. Quest’ultimo, del resto, è un fenomeno emergente che merita di essere attentamente posto sotto l’osservazione del legislatore in quanto il rischio, già rintracciabile, è che queste grandi concentrazioni, mosse da mission e ambizioni di mercato non poco indifferenti, poco si sposino con quella attenzione alla qualità del servizio e ai valori della persona che il sistema di welfare lombardo dovrebbe perseguire. In merito alla quantificazione degli incrementi economici, essa sarà strettamente connessa ai nuovi standard di personale individuati. Molte sono ormai le ricerche che evidenziano il percorso da intraprendere. Si è consapevoli del forte impatto economico che scelte di queste tipo comportano per il sistema di welfare italiano ma è altrettanto indubbio che una reale presa in carico dell’anziano fragile esige interventi ben differenti da quelli messi in campo nell’ultimo ventennio. (Gori C., “Che cosa abbiamo imparato dal Covid”, in Il futuro delle RSA in Lombardia, pp. 57-71).
In terzo luogo, si chiede di porre attenzione al tema degli accreditamenti sociosanitari e, in generale, di alleggerire gli obblighi burocratici in capo agli enti gestori. Sono numerose e non poco marginali le situazioni in cui le scelte del legislatore regionale in materia di accreditamento hanno direttamente contribuito ad incrementare i costi operativi delle RSA, senza che vi fosse una ricaduta diretta sul livello qualitativo dei servizi offerti agli utenti finali. Si pensi all’effetto generato sull’intero sistema ad opera della DGR 1765 del 30 maggio 2014 e della DGR 2569 del 31 ottobre 2014. Entrambi i provvedimenti hanno generato un enorme appesantimento del già, non trascurabile, insieme di obblighi burocratico-adempimentali che il sistema regionale prevede a carico degli enti gestori. Una ricerca condotta tra il 2016 e il 2017 dall’Osservatorio Settoriale sulle RSA della LIUC Business School ha dimostrato che le attività burocratico-adempimentali assorbono mediamente 46 ore e 45 minuti a posto letto su base annua. Sempre in valori medi, questo impatto organizzativo si traduce in un costo annuo di 1.209 € a posto letto. In altri termini, le attività burocratiche “erodono” mediamente l’8,15% del contributo giornaliero da Fondo Sanitario Regionale riconosciuto alle RSA da Regione Lombardia per gli ospiti che occupano dei posti letto contrattualizzati. A fronte di questi dati macro, vi sono alcune famiglie professionali che più di altre scontano il peso della burocrazia. Primo fra tutti, il personale medico che mediamente spende il 21,82% delle ore annue lavorate nell’assolvimento degli obblighi adempimentali (Sebastiano A. e Pigni R., 2019).
Inoltre, la crescente azione di regolamentazione regionale, con l’imposizione di standard gestionali omogenei per tutte le strutture, ha portato ad un elevato grado di standardizzazione e meccanizzazione, in senso metaforico, delle routine di lavoro che scandiscono la quotidiana erogazione dei servizi da parte di queste unità di offerta. Tali dinamiche, oltre a ridurre il livello di discrezionalità dei singoli gestori nell’impostare il proprio modus operandi, rischiano di avere delle ripercussioni negative anche sul livello di personalizzazione dell’assistenza, dato che i tempi di lavoro e la generale organizzazione delle attività sono governati più in funzione delle esigenze della struttura e di sistema che non dei bisogni degli ospiti (Sebastiano A. e Giangreco A., 2019). Al contrario, la qualità di vita degli ospiti dovrebbe oggi rappresentare un parametro irrinunciabile per contribuire a valutare le condizioni dell’utenza delle RSA da parte di tutti gli stakeholder di riferimento. L’impatto sul settore è elevato ed occorre presto intervenire in una logica di semplificazione senza che questo comprometta la qualità dei servizi erogati. Le istanze delle strutture su questo tema, infatti, non sono dettate da una logica di mero risparmio, quanto piuttosto dalla possibilità di intensificare sul piano quantitativo e qualitativo le attività di assistenza e cura che coinvolgono l’ospite.
Sempre con riferimento ai cambiamenti intervenuti internamente a queste unità di offerta, merita di rilevare come siano sempre più importanti e frequenti le strategie di differenziazione e diversificazione dei servizi offerti. Le RSA, sempre più spesso, si sono trasformate in centri di servizi polifunzionali in grado di esprimere notevoli capacità di assistenza e cura, anche di tipo specialistico (Alzheimer, stati vegetativi, hospice, cure intermedie, assistenza post acuti, etc.), (Sebastiano A. et al., 2011). Tuttavia, il sistema regionale sconta rigidità anacronistiche che si traducono in molteplici vincoli ai percorsi di differenziazione e diversificazione del sistema di offerta. Un modello di accreditamento che disciplina in maniera rigida e asettica le singole unità di offerta riconducibili allo stesso ente gestore ed alla medesima sede fisica rappresenta un freno alla modularità delle risposte residenziali, semi-residenziali e domiciliari che possono essere fornite nell’ambito di un percorso di presa in carico globale e altamente personalizzato ad opera di soggetti sempre più in grado di muoversi lungo l’intera filiera dei servizi per la fragilità e la non autosufficienza. Il problema non interessa solo la possibilità non secondaria di condividere spazi e risorse di ogni tipo, in primis quelle umane, ma anche l’impossibilità di modulare i rispettivi budget a parità di spesa complessiva.
Oltre alle priorità fin qui esposte, vi sono alcune criticità operative che quotidianamente concorrono a rallentare il processo di gestione delle RSA. Per citarne alcune: i mancati pagamenti delle rette per degenti Alzheimer, la configurazione catastale delle RSA, le contestazioni da parte dell’Ispettorato del Lavoro circa l’assunzione di personale. (per approfondire Il futuro delle RSA in Lombardia, pp. 221-222).
Le considerazioni qui descritte e individuate dal gruppo di lavoro, lungi dall’ambizione di rappresentare una soluzione né tantomeno essere esaustive, desiderano offrire un modesto contributo volto al miglioramento del sistema di welfare lombardo. È del resto evidente che con l’aumento dell’aspettativa di vita e il progressivo invecchiamento della popolazione (si stimano quasi venti milioni di italiani over 65 nel 2030) (Garattini S., 2021), si rende urgente la necessità di lavorare ad una profonda riforma dell’attuale modello di assistenza che prenda le mosse da un confronto costruttivo e dialettico capace di chiamare a raccolta tutti gli stakeholder del settore per programmare il futuro delle RSA e degli annessi servizi complementari, con un respiro di medio-lungo termine. È indubbio che i driver che dovrebbero guidare questo processo sono la sburocratizzazione, la flessibilità e l’attenzione alla qualità di vita degli ospiti, ponderando con assoluta attenzione le conseguenti ricadute economiche, organizzative e gestionali che discendono in via diretta dal modello adottato. Il tema dell’assistenza agli anziani deve essere percepito nei tavoli regionali e di governo come bene comune da valorizzare attraverso la messa in campo di risorse di capitale sociale, culturale, relazionale presenti nel territorio. Elementi, che tra gli altri, contribuirebbero a concorrere alla sostenibilità economica e di gestione di una RSA, oltre a produrre una qualità di offerta di servizi integrati.
Buongiorno ,
lavoro in Rsa a Milano da 12 anni
attualmente si lavora di media 1 operatore per 8 /9 ospiti
Ospiti gravi , che vengono mobilizzati da 2 operatori ,
ospiti allettati
ospiti mobilizzati con sollevatori passivi.
Il minutaggio ci dicono, nn consente la possibilità di inserire un altro operatore.
Operatori con limitazioni gravi, limitazioni a causa del lavoro gravoso e usurante che oggi è presente in quasi tutte le strutture Rsa
Abbiamo bisogno di interventi urgenti per poter lavorare in sicurezza.