Grazie prima di tutto per l’invito, risponderò alle domande raccontandovi brevemente l’esperienza del Comune di Milano e portandovi alcune riflessioni su alcuni spunti che mi sono stati dati dai relatori che mi hanno preceduto.
Regione Lombardia è partita nella fine primavera dell’anno scorso, emanando una serie di provvedimenti, principalmente un piano, un programma, alcune indicazioni molto dettagliate; in particolare, ha previsto due aree di intervento, l’area infrastrutturale e l’area dell’autonomia, criteri di priorità utili a definire le graduatorie per l’ammissibilità delle domande, le modalità di progettazione sulla persona e sul coinvolgimento anche della famiglia.
Il Comune di Milano ha pubblicato due avvisi: il primo, l’anno scorso, il secondo, quest’anno, a fronte di un finanziamento biennale 2016 – 2017, pari a 2 milioni 870 mila euro. Il finanziamento non è stato sufficiente e 33 famiglie stanno attendendo di poter attivare il progetto “durante e dopo di noi”, come meglio preferiamo definire la L. 112 del 2016.
Due avvisi, preceduti da un percorso preliminare che si è dimostrato molto positivo per la diffusione dell’informazione. Ci siamo confrontati con i rappresentanti del Terzo Settore, presenti al Tavolo di Lavoro Permanente per la Disabilità, e con le realtà di servizio che conosciamo, 82 centri di diverse unità d’offerta, assistenziali e sociosanitarie che insistono sul territorio milanese per le persone con disabilità, e questo ci ha permesso di avere una rete di informazione estremamente importante ed efficace in termini di risultati.
Ci hanno coadiuvato quindi i rappresentanti ufficiali del Tavolo, costituito nel 2014 con un provvedimento di Giunta comunale, e gli altri soggetti del Terzo Settore; con queste realtà abbiamo maturato ancora di più la consapevolezza che la prima attuazione della L. 112 costituiva un’opportunità molto forte per imparare e sperimentarsi su percorsi nuovi, di maggiore qualità, benessere e di inclusione delle persone con disabilità.
C’è stato quindi un esteso coinvolgimento del territorio, e l’istituzione, anche grazie alla collaborazione del Terzo Settore, di uno sportello dedicato al “durante e dopo di noi” quale punto di riferimento per le famiglie in prima battuta e in seconda battuta per le associazioni. Lo sportello è stato aperto prima della pubblicazione del primo avviso e il suo funzionamento è stato accompagnato da incontri in città, presso servizi per persone con disabilità o aperti ai cittadini, sempre con l’aiuto di esperti e con la diretta partecipazione del nostro personale, altro elemento estremamente fondamentale per l’impegno di comunicazione del percorso di accesso e di realizzazione dell’intervento.
La partecipazione del territorio è stata possibile anche perché a Milano sono già presenti una serie di esperienze – nate al di là di quella che può essere un’attivazione pubblica – di associazioni di famiglie e di enti del Terzo Settore, che hanno dimostrato di intervenire con una certa efficacia sulle politiche in campo di disabilità con azioni estremamente significative per la realizzazione di interventi per l’autonomia e l’inclusione.
Riguardo agli esiti dei due avvisi, abbiamo avuto complessivamente 387 domande, un numero veramente elevato. Ma, a parte il volume di domande, già elevate con il primo avviso, gli altri risultati quali sono stati? In sintesi, riprendendo l’articolo pubblicato su welforum.it quest’estate, mi preme sottolinearne qualcuno, sia negativo che positivo.
Con gli esiti del primo avviso, ad esempio, non c’è stato un grande successo nell’area degli interventi infrastrutturali ma, in alternativa, una forte impennata di domande per percorsi di autonomia.
Abbiamo cercato di capirne le motivazioni: il risultato, occorre riconoscerlo per trasparenza e consapevolezza, è che non abbiamo centrato gli obiettivi della nostra prima programmazione, che aveva voluto incentivare gli interventi infrastrutturali in sintonia con gli obiettivi della L. 112 e l’analisi di Regione Lombardia. Ci siamo quindi resi conto che il secondo avviso avrebbe richiesto una “ritaratura” della programmazione originaria e abbiamo proceduto in tal senso, adeguando gli obiettivi alle risposte attuali al fine di non vanificare l’evidente opportunità di garantire, tramite gli interventi per l’autonomia, prime riflessioni delle famiglie e prime esperienze di allontanamento della persona con disabilità dal nucleo familiare. Credo che, come noi, anche Regione Lombardia stia ragionando su questo risultato territoriale più ampio.
Se da una parte non abbiamo raggiunto l’obiettivo programmato di incentivare gli interventi infrastrutturali, consideriamo positiva l’alta adesione ai due avvisi di molte famiglie giovani con figli o fratelli e sorelle altrettanto giovani: il picco più alto di età è rappresentato dalla fascia 21 – 30 anni. Le domande delle famiglie composte da persone con un’età superiore ai 75 anni e cittadini con disabilità privi di un sostegno familiare, o privi di un sostegno familiare adeguato, complessivamente sono state solo il 18%.
Il secondo avviso ha poi registrato un aumento di domande di famiglie con componenti di età più avanzata. La partecipazione di famiglie giovani si è rilevata un’esigenza, che va necessariamente ascoltata per una programmazione locale coerente, secondo un approccio flessibile e che non parta da risposte standard.
Così, il secondo avviso ha visto un aumento positivo delle richieste di progetti sulle persone con disabilità più gravi, oggetto di approfondimento tecnico con il gruppo di lavoro di Regione Lombardia, che, in un’ottica di collaborazione con i territori, ha individuato soluzioni interpretative e reso possibile un ampliamento dei contenuti programmatori forniti in origine. Per i disabili più gravi, in particolare, si è fatto ricorso all’intervento dei “soggiorni di sollievo”, previsti in un primo momento più per situazioni di emergenza.
Con Regione Lombardia si è condiviso che tale intervento potesse essere inteso per sperimentare momenti di distacco dalla famiglia quale avvio di un primo percorso di autonomia delle disabilità più gravi, in un progetto individualizzato più ampio.
“Buona pratica” è stata anche la modalità utilizzata per l’analisi di bisogni e l’elaborazione dei progetti, effettuate da gruppi multidisciplinari, con una forte collaborazione con le aziende sociosanitarie milanesi, che cercheremo di portare avanti.
Rimangono però ancora non affrontate dalla L. 112, né di conseguenza dagli atti attuativi, le fragilità psichiche, cioè il disagio mentale. Abbiamo avuto un confronto con alcune famiglie che non hanno visto accolta la domanda presentata e che desiderano che i propri figli possano vivere in contesti che maggiormente si avvicinano a quelli familiari. Nella situazione milanese, l’ATS – l’Agenzia di Tutela della Salute della Città Metropolitana di Milano e le ASST milanesi – le Aziende sociosanitarie territoriali, sono titolari degli interventi terapeutici in materia di salute mentale e, quindi, è auspicabile proseguire un coordinamento dei vari soggetti istituzionali per un’interazione tra le diverse competenze e servizi, per creare maggiori risposte che rispondano ad esigenze del “durante e dopo di noi”.
Altra criticità, che si sta manifestando nell’attuazione dei progetti individualizzati, è l’insufficienza delle soluzioni abitative sostenute dalla L. 112: le risposte dei Comuni sono limitate ed è importante spaziare in scenari differenti, ricorrendo anche a strumenti quali le convenzioni urbanistiche, che possono consentire utilità sociali. Prima di esporre una riflessione conclusiva, vorrei terminare ricordando come è difficile ma fondamentale fornire informazioni adeguate alle famiglie, che possano renderle consapevoli di una volontà di contribuire a realizzare la soluzione di benessere del proprio familiare, in quanto spesso le famiglie si trovano ad affrontare elementi o strumenti giudici non conosciuti, come il “trust” o l'”affidamento fiduciario”, non facili da spiegare.
Questa prima esperienza del territorio milanese è per noi significativa e ne facciamo “tesoro”. In particolare, ha fatto emergere che la programmazione non è strumento sufficiente a definire obiettivi raggiungibili e che va necessariamente preceduta da percorsi da condividere con i cittadini, secondo il rafforzamento del ruolo dell’ente locale come attivatore di processi virtuosi, che ascolta i bisogni e rende protagonisti i cittadini nel creare risposte, coinvolgendo le realtà territoriali, secondo una funzione di regia.
La programmazione cioè non può più avere esclusivamente a riferimento – questa è una esperienza che ci stiamo ancora trascinando – ad esempio i volumi di domande in attesa e le tipologie d’offerta presenti, ma va concepita come confronto, partecipazione e sostegno in un percorso, che è quindi diverso e che deve soprattutto derivare da un “bagno di realtà”, quella locale, che ci fornisce i “dati di realtà”.
Per il Comune di Milano, “regia” significa sostenere e generare la messa a sistema di istanze e risposte, formali ed informali, secondo una rinnovata capacità di ascolto e di lettura delle dinamiche comunitarie e delle trasformazioni territoriali.
Siamo contenti veramente dei risultati raggiunti, però indubbiamente alcuni approcci sono da migliorare.