Epidemie e globalizzazione


Gavino Maciocco | 31 Marzo 2020

C’è stato un momento nella storia della sanità – localizzabile alla fine degli anni ’70 del secolo scorso – in cui si considerò definitivamente esaurita la stagione delle malattie infettive. Una vittoria simbolicamente segnata dall’eradicazione del vaiolo, solennemente annunciata dall’OMS nel 1978 a conclusione di una campagna vaccinale planetaria.

Nei paesi sviluppati a quel tempo le malattie infettive rappresentavano una minima porzione del totale delle cause di mortalità. Nei paesi in via di sviluppo ci si aspettava – in un lasso di tempo ragionevole – la stessa evoluzione dei paesi più ricchi, avvenuta grazie al miglioramento delle condizioni di vita (in primis alimentazione e igiene) e all’utilizzazione di vaccini e antibiotici.

Ma l’idea di essere in procinto di liberarsi dal fardello di quelle malattie che da sempre avevano pesantemente afflitto il genere umano era destinata ben presto a sfumare. Infatti a partire dagli anni ’80 del secolo scorso l’umanità si troverà a fare i conti con un’epidemia tanto inattesa quanto inizialmente letale come quella di HIV/AIDS che provocherà, soprattutto nel Sud del mondo, decine di milioni di morti.  Ma non solo HIV/AIDS. A partire dagli anni ’80 del secolo scorso infatti si registra l’emersione, e la ri-emersione, di una serie di malattie infettive: un fenomeno correlato a molteplici – spesso concomitanti – ragioni, quasi sempre riferibili al contesto della globalizzazione.

 

  1. Indebolimento delle strutture sanitarie di controllo e crollo degli investimenti in sanità pubblica. È il caso della Dengue, una malattia virale veicolata da una zanzara (Aedes Aegypti), presente nelle zone tropicali e subtropicali. Prima degli anni ’70 solo nove paesi, soprattutto dell’America latina, riportavano epidemie di Dengue. Nel 1983 epidemie furono registrate in 13 paesi in America latina e in Asia e nel 1998 i paesi coinvolti furono 56, con 1,2 milioni di casi. Oggi la malattia è endemica in più di 100 paesi dell’Africa, delle Americhe e dell’Asia; secondo l’OMS oltre 2,5 miliardi di persone sono a rischio di contrarre la Dengue, con una stima di 50-100 milioni di infezioni nel mondo ogni anno. A causa di ciò circa 500.000 persone si ricoverano per forme gravi di Dengue, gran parte dei quali sono bambini. Il 2,5% di questi muore.  Il motivo della massiva diffusione del virus va ricercato nella carenza delle attività di bonifica e disinfestazione delle zone in cui si riproducono le zanzare, ovvero tutti i punti in cui l’acqua tende a raccogliersi e a ristagnare, come pneumatici, barili scoperti, secchi e cisterne.
  2. Il cambiamento climatico. Diverse malattie infettive sono sensibili ai cambiamenti di temperatura e di condizioni ambientali per il loro sviluppo e la loro diffusione. La malaria ne è un classico esempio. La zanzara anopheles, che trasmette la malattia, richiede temperature al di sopra dei 16°C per completare il suo ciclo di vita, per questo il riscaldamento climatico ha fatto comparire la malaria nelle aree più montuose dell’Africa orientale dove prima non esisteva. L’OMS stima che, se le temperature globali cresceranno di 2-3°C, come atteso, la popolazione mondiale a rischio di malaria crescerà dal 3 al 5%, con la conseguenza che nuovi milioni di persone si ammaleranno di malaria ogni anno.
  3. Le deforestazioni. La deforestazione è la riduzione delle aree verdi naturali della terra per sfruttare il terreno a scopo agricolo o industriale, con il conseguente aumento di CO2, vedi effetto serra e cambiamenti climatici. La deforestazione distrugge anche il naturale habitat di animali e di insetti che sono costretti, nella ricerca del cibo, a entrare in contatto con gli umani. È il caso della malattia di Chagas, diffusa in soprattutto in America Latina e causata dal Tripanosoma cruzi che viene trasmesso all’uomo dalla puntura di diverse specie di cimici (triatomine). È il caso della malattia da virus Ebola, dove l’introduzione del virus in comunità umane avviene attraverso il contatto con sangue, secrezioni, organi o altri fluidi corporei di animali infetti. In Africa è stata documentata l’infezione a seguito di contatto con scimmie, antilopi e pipistrelli trovati malati o morti nella foresta pluviale.  Il virus Ebola è responsabile di molteplici – e particolarmente letali – epidemie in Africa, la più importante delle quali si è verificata in Sierra Leone, Liberia e Guinea negli anni 2014-2016 provocando circa 10.000 morti.

 

Il fenomeno del passaggio di un virus dall’animale all’uomo, con la conseguente possibilità del contagio da uomo a uomo – il “salto di specie” (Spillover), è un fenomeno che si è sempre verificato nella storia dell’umanità, ma negli ultimi decenni questo fenomeno si è presentato con una frequenza mai vista, dando vita a epidemie e pandemie virali devastanti: la citata Ebola e anche HIV/AIDS (dalle scimmie); influenza aviaria A/H5N1 (dagli uccelli selvatici); influenza A/H1N1 – la pandemia del 2009 – (contenente geni di virus aviari e suini); per arrivare ai Coronavirus (comuni in molte specie animali come i cammelli e i pipistrelli) che hanno provocato nell’ordine: SARS (sindrome respiratoria acuta grave, Severe acute respiratory syndrome), 2002-03;  MERS (sindrome respiratoria mediorientale, Middle East respiratory syndrome), 2012; e l’attuale Covid-19.

La storia dei salti di specie è descritta magistralmente nel libro di David Quammen, pubblicato nel 2012, Spillover: le infezioni umane e la prossima pandemia umana. Seicento pagine di dati, analisi, supposizioni, racconti di viaggio. Pagine profetiche, percorse da una riflessione fondamentale. L’uomo sta facilitando il passaggio di questi microrganismi dagli animali che facevano loro da serbatoio grazie a pratiche insensate. Il punto fondamentale riguarda il comportamento umano: la nostra ingordigia e il modo in cui abbiamo modificato e deturpato gli ecosistemi. “Noi siamo tutti parte della natura e dell’ecosistema, il nuovo virus arriva da animali selvatici che fanno parte di un sistema diverso dal nostro e che hanno una pletora di virus che però sono singoli e specifici per ogni specie. Quando noi mescoliamo ambienti diversi, specie diverse, deforestiamo, sconvolgendo gli ecosistemi, noi umani diventiamo degli ospiti alternativi per questi virus che non sarebbero venuti a contatto con noi diversamente. L’effetto moltiplicativo che l’incontro con l’essere umano genera, su 7 miliardi di possibili e potenziali ospiti interconnessi fra loro con viaggi e contatti, è enorme”.

 

È in arrivo una pandemia catastrofica

Nel 2018, a seguito dell’epidemia di Ebola del 2014-16, su impulso delle Nazioni Unite – con il sostegno dell’OMS e della Banca Mondiale – si è costituito un organismo internazionale indipendente, “Global Preparedness Monitoring Board”, con lo scopo di fornire alle nazioni le indicazioni per affrontare in modo adeguato l’arrivo di una probabile, prossima pandemia. Nel rapporto del 2019 dal titolo A world at risk si legge: “Se è vero il detto “Ciò che è passato è un prologo”, allora ci troviamo di fronte alla minaccia di una pandemia di un patogeno respiratorio altamente contagiosa e letale in grado di uccidere da 50 a 80 milioni di persone e di spazzare via il 5% dell’economia mondiale. Una pandemia globale di una tale scala sarebbe catastrofica, in grado di creare caos, instabilità e insicurezza. Il mondo non è preparato”.

 

Il mondo non era preparato e, nonostante i ripetuti allarmi e le sollecitazioni, i sistemi sanitari di tutto il mondo si sono fatti trovare impreparati di fronte all’epidemia del Covid-19, che si è presentata esattamente con le caratteristiche previste: “pandemia di un patogeno respiratorio altamente contagiosa e letale”.  “Questa crisi – ha affermato Noam Chomski in un’intervista al Manifesto – è l’ennesimo, importante esempio del fallimento del mercato, proprio come lo è la minaccia della catastrofe ambientale. I governi e le multinazionali farmaceutiche sanno da anni che c’era la forte probabilità di una grave pandemia, ma siccome non giova al profitto prepararsi a questa eventualità, non si è fatto nulla”.


Commenti

Poichè è accertato che l’inquinamento ambientale aggrava gli effetti del coronavirus, che attualmente è una grave pandemia, auspico che gli enti preposti dispongano la chiusura delle mega centrali a carbone, specialmente la centrale ENEL di Torvaldaliga (civitavecchia prov. Roma) dove infatti vi è una incidenza enorme delle infezioni da coronavirus, oltre all’aumento dei tumori maligni.

Ho trovato l’articolo interessante perchè si riferisce chiaramente alla correlazione tra epidemie/pandemie con il problema della gestione del patrimonio naturale da parte dell’uomo.Inoltre mi sembra importante anche il dato che il rischio di pandemia era già nell’aria da tempo e non c’è stato alcuna fase 0 per prevenire il fenomeno.Non era abbastanza redditizio mentre il Vaccino lo è.