Famiglie diseguali, anche di fronte al virus


Stefania Sabatinelli | 24 Marzo 2020

Conciliare famiglia-lavoro nell’emergenza

L’emergenza Covid-19 ha mutato rapidamente e profondamente consolidate abitudini e prassi organizzative delle famiglie italiane.

L’equilibrio tra responsabilità lavorative e famigliari, già fragile nel nostro paese in condizioni ordinarie, è stato messo a dura prova prima dalla chiusura delle scuole, poi dal rapido passaggio al telelavoro di moltissimi lavoratori e lavoratrici1. La progressiva chiusura delle attività considerate non essenziali ha, inoltre, gradualmente ridisegnato una ulteriore faglia di diseguaglianza tra genitori che sono temporaneamente esentati dal lavoro, genitori che si trovano a dover lavorare da casa, in presenza dei figli, e genitori costretti a continuare la propria attività lavorativa fuori casa, peraltro in molti casi correndo elevati rischi di contagio per sé e per i propri famigliari. Ciò mentre le scuole continuano necessariamente ad essere chiuse e molte delle rodate modalità di work-life balance sono saltate, in primis quella – prevalente nel nostro paese – che fa affidamento sul contributo pivotale dei nonni, a causa delle essenziali norme di distanziamento sociale e della necessità di proteggere con ancora maggiore attenzione gli anziani.

 

Il decreto Cura Italia va incontro alle stravolte esigenze di conciliazione famiglia-lavoro in due modi: attraverso l’istituto di un congedo straordinario di massimo 15 giorni e attraverso l’introduzione di un voucher baby-sitting.

Il congedo straordinario è riservato a chi ha figli entro i 16 anni di età e il pacchetto di 15 giorni (per il periodo 5 marzo-3 aprile) può essere preso da uno dei due genitori oppure questi possono suddividerlo, ma non possono utilizzarlo insieme. Solo per i genitori con figli entro i 12 anni d’età è prevista un’indennità pari al 50% della retribuzione (dunque superiore a quella del congedo parentale, ma inferiore a quella del congedo di maternità e a quella del congedo di paternità), con contribuzione figurativa. I limiti di età non rilevano nel caso di figli disabili, purché iscritti a scuola o ospiti in centri diurni assistenziali. Il congedo straordinario non può essere richiesto se l’altro genitore è disoccupato o non lavoratore o riceve misure di sostegno al reddito, nè se in alternativa è stato richiesto il bonus per i servizi di baby-sitting. Il congedo è, invece, cumulabile con quello previsto dalla legge 104 (cui il decreto aggiunge 12 giornate complessivi da utilizzarsi nei mesi marzo e aprile, consecutivamente o anche in modo frazionato, anche su base oraria). Ai dipendenti del settore privato che al 5 marzo erano già in congedo parentale “ordinario”, il congedo sarà automaticamente convertito in straordinario. Chi invece non lo era può presentare domanda al proprio datore di lavoro e all’INPS, che entro fine marzo renderà disponibile le procedure telematiche, con la possibilità di presentare domanda retroattiva. I dipendenti pubblici dovranno invece rivolgersi alla propria amministrazione. Possono richiedere il congedo straordinario anche quei genitori che avevano esaurito il diritto al congedo parentale “ordinario”. Anche gli iscritti alla gestione separata Inps hanno diritto al congedo (con indennità pari al 50% di 1/365esimo del reddito utilizzato come base di calcolo per l’indennità di maternità), senza minimi contributivi.

 

Il voucher baby-sitting potrà essere fruito, solo in alternativa al congedo straordinario, da parte dei genitori di figli entro i 12 anni d’età o, se con handicap gravi, senza limiti di età. Il voucher è pari a 600 euro, elevato a 1000 euro per il personale sanitario, della sicurezza o del soccorso pubblico. Si potrà accedere al voucher solo attraverso al libretto di famiglia da attivarsi sul sito dell’INPS (sezione prestazioni occasionali). Una piattaforma, dove anche i/le baby sitter devono registrarsi per poter essere pagati, che si era già dimostrata di non facile utilizzo da parte sia delle famiglie sia dei lavoratori e delle lavoratrici della cura. La modulistica ufficiale per la presentazione della domanda sarà messa a disposizione dall’INPS entro la prima settimana di aprile.

 

Restare a casa. Didattica online e disuguaglianze sociali

Sui chiaro-scuri della didattica online già molto è stato detto. L’adozione di – variegate – modalità a distanza per le attività didattiche ha disvelato ampi gradi di differenziazione, come era facile aspettarsi, tra i livelli scolastici, tra gli ambiti territoriali, come pure tra le singole scuole e tra i singoli insegnanti.

Questo fronte di disparità sul lato dell’offerta si intreccia, strettamente e dando luogo a risultati ancor più diversificati, alle ampie di faglie di disuguaglianza che caratterizzano le famiglie. Anche i rischi che apparentemente toccano tutti allo stesso modo, infatti, trovano individui e famiglie diseguali in termini di capacità di autoprotezione e di risorse su cui far leva, tanto nell’immediato quanto nel medio periodo. Innanzitutto, è quasi banale dirlo, non tutti i bambini possono contare su una dotazione informatica adeguata (numero e qualità dei device, qualità dell’accesso alla rete) per poter agevolmente fruire della didattica online. Contano poi le capacità informatiche con cui gli adulti possono aiutare i più piccoli. Questi elementi di digital divide sono ora divenuti improvvisamente più evidenti, ma certo non sono nuovi. Come ricordano Gavosta e Molina su Lavoce.info, nel 2018 oltre un quarto delle famiglie italiane non disponeva di banda larga a casa, con rilevanti differenze territoriali e, soprattutto, di classe, anche se il 95% delle famiglie con minori ha accesso alla banda larga, fissa o mobile. Tali gap vanno ad aggiungersi, acuendoli, ad altri fronti di diseguaglianza da sempre presenti tra le famiglie. La dotazione di libri (tanto più quando i libri scolastici sono rimasti in molti casi a scuola), di giochi educativi, l’accesso ai contenuti culturali (film, documentari, …), come anche la capacità e la propensione degli adulti di riferimento a seguire i più giovani nelle tante e diverse materie con cui quotidianamente si confrontano non sono certo ugualmente distribuiti tra le famiglie. Queste esigenze si sommano a quelle relative alla conciliazione famiglia-lavoro viste sopra. Come gestire nelle stesse ore, negli stessi spazi, con gli stessi device (e insistendo sulla stessa rete), le incombenze lavorative – magari di entrambi i genitori o dell’unico genitore presente – e gli impegni scolastici dei più giovani, magari di età diverse?

In queste condizioni, il prezzo più alto è senz’altro pagato dai profili famigliari e individuali più fragili. Bambini e ragazzi che crescono in famiglie in condizioni di povertà assoluta, che a scuola trovano non solo istruzione e socialità, ma anche un pasto sano, aule riscaldate, condizioni igieniche adeguate, e quelle seppur limitate attività sportive, culturali e ricreative, cui i loro pari di altra estrazione sociale possono dedicarsi per svariate ore settimanali a pagamento. Bambini e ragazzi con disabilità o con bisogni educativi speciali, che a scuola trovano le risorse di sostegno educativo, per quanto mai sufficienti e spesso falcidiate dai tagli alle risorse a questo dedicate. Bambini e ragazzi con background migratorio, che a scuola imparano la lingua del loro nuovo paese, che è indispensabile vettore di integrazione e cittadinanza per loro e spesso anche per i loro famigliari.

È facile prevedere che questi bambini e ragazzi saranno anche quelli che, una volta superata la fase più acuta dell’emergenza, patiranno le più gravi conseguenze a lungo termine. Se per tutti gli studenti i periodi di distacco dalla frequenza scolastica, come le vacanze estive, influiscono sull’apprendimento in relazione alla loro durata, questo è ancora più vero per quegli alunni e studenti per i quali già in condizioni ordinarie l’apprendimento è più faticoso. E può incidere anche sull’attaccamento alla scuola, specie per quei bambini e ragazzi che faticano a frequentare con continuità, costantemente a rischio di dispersione o abbandono scolastico, oppure già faticosamente recuperati alla scuola tramite interventi di seconda opportunità. Interi programmi in questo campo subiscono oggi necessariamente stravolgimenti e ritardi. Educatrici ed educatori attualmente impegnati a inventarsi modalità alternative affinchè i percorsi già consolidati o appena impostati non si disperdano non possono non chiedersi “come ritroveremo i nostri ragazzi?”. Questi bambini e ragazzi hanno anche maggiori probabilità di soffrire maggiormente, insieme alle loro famiglie, delle ripercussioni economiche di questa pandemia, delle sue ricadute occupazionali e reddituali oltre il breve termine.

 

Un forte appello ad agire a sostegno di tutti i bambini, e in particolare di quelli più svantaggiati, è venuto dall’Alleanza per l’Infanzia e dalla rete Investing in Children, che chiedono alle istituzioni di pensare al loro presente, per esempio distribuendo capillarmente tablet economici e portando la rete alle famiglie che ne sono sprovviste, e anche sin d’ora al loro futuro prossimo. L’Alleanza per l’Infanzia pubblica anche l’intervento di Jack P. Shonkoff del Center on the Developing Child, che sottolinea come sia imperativo trovare modi per realizzare il distanziamento sociale, necessario per contenere il contagio, e al tempo stesso promuovere le interazioni sociali e le relazioni d’aiuto, indispensabili per la resilienza individuale e sociale. Distanziamento e interazione, isolamento e relazione: contraddizioni in termini che richiedono oggi e richiederanno domani tutte le nostre energie e tutta la nostra inventiva per essere trattate.

 

I molti fronti di criticità nell’isolamento forzato

Dunque, come recita uno striscione fotografato nei giorni scorsi in Perù “la romanticizzazione della quarantena è un privilegio di classe”. Il modo in cui attraversiamo questo periodo eccezionale e il modo in cui ne usciremo non è e non sarà uguale per tutti.

Al di là degli appelli a godere del tempo liberato e della vicinanza ritrovata è, dunque, fondamentale non dimenticare tutte quelle condizioni che nell’isolamento forzato rischiano di peggiorare. Dalle situazioni di grave disabilità di fronte alle quali le famiglie, private del sostegno dei centri diurni, si trovano ancora più sole, alle condizioni di disabilità psichica e fragilità psicologica che perdono la regolarità dei percorsi terapeutici, alle situazioni di limitazione della libertà e di coabitazione forzata, alla condizione durissima di chi una casa non ce l’ha.

Non da ultimo, la convivenza forzata di questo periodo aggrava pesantemente il rischio di maltrattamenti in famiglia e riduce la possibilità per le donne vittime di violenza di chiedere aiuto e di allontanarsi dai famigliari maltrattanti. A questo proposito la rete dei centri antiviolenza segnala i centri rimasti attivi in Italia anche nell’emergenza Covid-19. Ricordiamo, inoltre, che rimane attivo il 1522, numero gratuito e attivo 24 ore su 24; si tratta di un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità, che accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking. È attiva anche una chat per comunicare con le operatrici riservatamente tramite messaggistica istantanea, poiché telefonare per chiedere aiuto diviene presumibilmente più difficile nelle condizioni attuali.

  1. Su questo tema vedi anche l’articolo di Sergio Pasquinelli pubblicato su welforum.it