L’impatto del virus sui servizi sociali


A cura di Sergio Pasquinelli | 11 Marzo 2020

Intervista a Mirella Silvani, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali della Lombardia.

 

Come sta impattando il coronavirus sulle famiglie? Quali nuovi bisogni stanno emergendo? Come i servizi sociali stanno fronteggiando questa emergenza, che si configura molto più lunga di quanto pensassimo? Giriamo queste domande a Mirella Silvani, che lavora in una ATS lombarda ed è attuale presidente dell’Ordine degli assistenti sociali della Lombardia.

 

Esiste un versante “sociale” dell’emergenza coronavirus?

La situazione attuale non è ancora di emergenza sociale vera e propria, perché non c’è un sistema di rilevazione dei dati sistematico come sul fronte sanitario. Certo, i servizi sociali sono stati chiamati ad intervenire di più e oltre la routine, da subito. Stiamo tuttavia rilevando il fatto che lo “sguardo sociale” sulle situazioni di emergenza sanitaria è limitato, è di pochi. Manca una visione dell’impatto sociale che il virus sta producendo, e questo non favorisce la progettazione di interventi sociali e sociosanitari da realizzare, una progettazione che manca per gestire questa emergenza. Le unità di crisi sono composte solo da figure sanitarie. Noi ci troviamo invece ora, e lo saremo sempre di più, di fronte al crescere di fragilità sociali.

Per esempio ci sono persone in quarantena che hanno disabilità fisiche, cognitive o patologie di tipo psichiatrico: questo pone criticità perché richiede di attivare supporti in tempi rapidi, produce in qualche modo uno stress nell’organizzazione dei servizi abituati a tempi meno immediati.

In molti casi si sta rivelando essenziale l’attivazione della comunità locale: il terzo settore, la protezione civile, il volontariato, la Croce Rossa, la cooperazione sociale. Insomma, il welfare di comunità.

 

Come sta cambiando il front line dei servizi alla persona?

Gli operatori dei servizi sociali e gli assistenti sociali si stanno impegnando in ogni modo nel rispondere ai bisogni e alle diverse fragilità che questa emergenza sta generando. In Lombardia il font line di sportello dei servizi sociali di base sono ora gestiti in modo diversificato, a volte con una organizzazione degli accessi per appuntamento, e ora sempre più con una gestione dei contatti da remoto, e con una frequente reperibilità telefonica.

È una realtà complessa e molto in divenire allo stato attuale, difficile fissare un quadro certo con dei numeri, ma c’è l’impegno di tutti gli operatori a fornire il massimo di possibilità di risposta, facendo fronte con tempestività alle emergenze.

 

Sembrano emergere due tipi di difficoltà: a monte dell’emergenza sanitaria (nel confinamento domestico) e a valle, quando avviene il ricovero ospedaliero. È così?

Sì, sia l’isolamento dovuto alla quarantena, sia l’isolamento a seguito di una dimissione rivelano condizioni di criticità. Ci sono situazioni in cui l’isolamento sta procurando problemi alle persone, soprattutto anziane sole, a cui vanno forniti beni alimentari, medicine e così via. Ci sono poi situazioni di ricovero ospedaliero in cui i familiari perdono contatto con il proprio congiunto, con un immaginabile vissuto di ansia e isolamento.

Inoltre, i servizi sociali ospedalieri stanno gestendo un numero di dimissioni evidentemente molto superiore alla routine. Oggi c’è una accelerazione delle dimissioni perché l’emergenza impone di liberare posti letto appena possibile, e ciò modifica i tempi e le possibilità di trovare soluzioni adeguate di dimissione protetta. Non tutti gli ospedali inoltre hanno il servizio sociale interno e questo è un elemento di criticità, perché in queste situazioni sono i sanitari che si trovano a dover gestire anche la parte sociale.

 

Che cosa manca? Che cosa va attivato?

L’intervento sociale richiede un’attenzione e una progettualità che dovrebbero discendere da direttive almeno regionali, che ancora mancano. Manca inoltre un coordinamento delle attività e delle soluzioni attivate in emergenza e sulla base delle disponibilità locali. Al momento ci si basa ancora molto sulla presenza o meno di risorse disponibili localmente (risorse pubbliche e del terzo settore), e molto dipende dalla abilità e creatività degli operatori a trovare soluzioni adeguate. Mancano un coordinamento e delle collaborazioni tra territori diversi, che potrebbero essere molto preziose per aiutare a collegare situazioni più ricche e meno ricche di possibilità. La Protezione civile potrebbe avere un ruolo importante a questo scopo.

Va promosso un piano di interventi adeguato a questa emergenza, a livello nazionale e poi regionale. Gli enti locali devono contare su risorse dedicate a gestire l’emergenza e gli interventi collegati, che non sono solo e strettamente sanitari. Mi riferisco per esempio alla necessità di attivare servizi domiciliari in emergenza: gli enti locali devono essere messi in grado di poterlo fare anche in deroga a regolamenti in vigore (Isee, liste di attesa ecc.). Questo riguarda anche collocamenti d’urgenza in strutture residenziali, nelle situazioni di estrema solitudine.

 

Dunque si stanno configurando soluzioni molto diversificate?

Noi abbiamo intenzione, una volta superata l’emergenza, di conoscere e analizzare come i territori si sono organizzati, quali soluzioni hanno trovato o meno a fronte di quali bisogni, quali potenzialità e viceversa quali criticità hanno incontrato. Sarà importante per capire tutto questo, a mente fredda, al fine di strutturare al meglio delle proposte costruttive, in prospettiva, per fronteggiare emergenze simili.


Commenti

Nel decreto emergenza si parla di assumere diverse qualifiche sanitarie dal medico all’operatore oss, nulla dice per reperire la figura dell’Assistente sociale, figura molto importante nel sostegno ai sanitari ma sopratutto all’utenza,a mio avviso nessuno ha provveduto a segnalare questo al governo, si è ancora in tempo a farlo, i problemi verranno dopo se non si agisce.
Buona Sera.

Sapere, saper fare, saper essere: il nocciolo delle professioni di aiuto.
Gli assistenti sociali dimostrino che questo fondamento della nostra professione è applicabile anche nell’emergenza di oggi.
Perchè sarà utilissimo per il domani!

Buongiorno, in queste settimane mi sembra di aver colto poca/scarsa attenzione (ad es. da parte dei media e non solo) al risvolto sociale di questa emergenza. La figura dell’assistente sociale non viene mai menzionata… mi chiedo: può essere dovuto anche ad una scarsa visibilità degli stessi assistenti sociali impegnati nei servizi?
Cordiali saluti.

Buongiorno Signora Panebianco, grazie per il commento. Dal canto nostro, stiamo cercando di raccogliere e pubblicare articoli anche sotto questo aspetto. Le segnalo quello uscito oggi di Giovanni Cellini per esempio. O quello di Cristiana Pregno pubblicato il 18 marzo. Continui a seguirci!
Cordiali saluti. La redazione