In questi giorni, accanto all’angoscia per la diffusione del Covid-19 e per le conseguenze sulla salute delle persone, è iniziata un’altra partita, quella delle azioni da intraprendere per limitare l’impatto economico e sociale del virus e delle misure che si rendono necessarie per contrastare una recessione economica che rischia di essere devastante.
Mentre a livello europeo e mondiale inizia a emergere un certo consenso sulla necessità di un massiccio e coordinato intervento pubblico che metta in campo un’entità di risorse che non avrà probabilmente pari nella storia, con il DL 18/2020, meglio conosciuto come “Cura Italia”, anche il Governo italiano ha compiuto un primo passo in questa direzione.
Come è normale che sia, in una fase emergenziale come quella che ancora il Paese sta attraversando, è difficile sia capire la vera natura della crisi – che appare sempre più come contemporaneamente da domanda in quanto colpisce i redditi di molte categorie e da offerta perché mette in discussione la continuità di molte imprese – sia individuare ed equilibrare misure in grado di sopperire ad esigenze immediate e misure capaci di mantenere il sistema imprenditoriale in grado di reagire prontamente nel medio periodo, quando la crisi sanitaria sarà superata o almeno messa sotto controllo. In altri termini, in questa fase e data la natura di questa crisi, servono sia misure volte ad alleviare le sofferenze dei cittadini, sia misure rivolte a garantire la tenuta del sistema economico e sociale. Il DL 18/2020, certamente migliorabile in molti punti, cerca pur in una situazione estremamente difficile, di fare un po’ di tutto questo. E per alcuni aspetti lo fa anche in modo innovativo.
Seguendo il parere di molti che in queste settimane sono intervenuti sul tema, il DL 18/2020 contiene giustamente molte misure rivolte a tutelare i cittadini rispetto a una pluralità di rischi e sofferenze connesse a questa fase (la perdita del reddito e del lavoro, la necessità di dedicarsi al lavoro di cura di bambini e familiari nel momento in cui scuola e servizi chiudono, ecc.) e lo fa sia ampliando la platea degli aventi diritto a misure già in essere, sia attivando interventi ad hoc. Questi interventi agiranno certamente sul fronte della domanda, appena si potrà tornare a spendere in modo normale. Il decreto dedica però risorse consistenti alle imprese, incluse quelle sociali che si andranno ad aggiungere a quelle decise – finalmente! – dalla Banca Centrale Europea e dalla Commissione Europea. Le disposizioni rivolte a tutte le imprese sono numerose e quelle di esse che interessano anche le imprese sociali e il terzo settore, sono in buona parte già descritte su Welforum in questo articolo. Sono previste misure che vanno dalla sospensione di una molteplicità di scadenze fiscali e burocratiche alle facilitazioni per l’accesso al credito e, con specifico riferimento anche alle organizzazioni di terzo settore, la possibilità di usufruire della Cassa Integrazione in deroga. Se adeguatamente implementate, queste misure dovrebbe evitare il tracollo di imprese, incluse le organizzazioni di Terzo Settore e le imprese sociali, già duramente provate dal calo verticale delle commesse e dagli oneri organizzativi. Per quanto riguarda più nello specifico le realtà di Terzo settore impegnate nella produzione di servizi sociali ed educativi in partnership con le amministrazioni pubbliche, il decreto introduce alcune misure innovative e tutt’altro che scontate, in termini generali e non solo perché rappresentano un riconoscimento dell’importanza del Terzo Settore: proprio per questo esse meritano una particolare attenzione.
Il decreto prevede infatti che laddove i servizi gestiti da soggetti privati in convenzione con le amministrazioni pubbliche siano chiusi in conseguenza alle misure di limitazione del contagio, gli enti pubblici committenti siano autorizzati a corrispondere comunque i pagamenti; le imprese sociali da parte loro dovranno essere disponibili a coprogettare con l’ente modalità alternative di servizio (ad esempio non in un centro diurno, ma a domicilio) e, in caso ciò non sia possibile, dovranno organizzare il personale in modo da mantenere le strutture pronte ed immediatamente agibili nel momento della ripresa del servizio, adeguandosi alle misure di prevenzione del contagio che dovessero essere definite. In altri termini il decreto consente alle amministrazioni di non interrompere né i contratti né i flussi finanziari, evitando eccesive perdite nei bilanci di queste imprese.
Ciò di cui è bene essere consapevoli è sia il contenuto innovativo che il senso profondo di tali condivisibili misure. Sono innovative perché agiscono contemporaneamente sulla tutela dei redditi – generalmente non elevati – dei lavoratori e sulla continuità aziendale di queste imprese, senza peraltro creare ulteriori aggravi alle finanze pubbliche poiché per i lavoratori interessati non saranno necessari altri interventi di sostegno. Esse inoltre si giustificano non solo rispetto ad una esigenza emergenziale – assistere gli utenti a domicilio, non licenziare i lavoratori, ecc. – ma anche guardando, con un po’ di speranza, alla fase in cui la fase più dura della pandemia sarà passata, ma in cui l’Italia e gli altri Stati maggiormente colpiti si troveranno comunque in una condizione di estremo affaticamento.
Arriverà il tempo di risanare le ferite. Economiche, certo. Ma anche e soprattutto sociali. E allora il bisogno di una società civile organizzata solida rappresenterà uno degli aspetti determinanti. Oggi il Terzo settore sta già svolgendo un ruolo prezioso non solo per la molteplicità di iniziative messe in campo a supporto dell’emergenza, ma soprattutto perché sono ancora molti gli operatori, volontari e remunerati, che pur poco citati dai media e dai politici nei loro ringraziamenti, continuano a operare nei propri luoghi di lavoro: nel trasporto infermi, nelle case di riposo, nelle pulizie delle strutture ospedaliere. Ma un terzo settore vitale e organizzato sarà ancora più indispensabile domani per rilanciare un modello di sviluppo coeso in una società duramente provata. Se, nel vortice della fase emergenziale, dimenticassimo di preservare questo capitale, annulleremmo una risorsa utile oggi e ancor più domani.
E dovremo continuare, nel solco del DL 18/2020, a ricordare come questo capitale sociale sia al tempo stesso prezioso e fragile: la gran parte delle imprese sociali impegnate nella cura delle persone non si regge su impianti produttivi industriali che oggi possono essere fermati e domani riattivati; non si regge su una bellezza turistica o paesaggistica oggi disertata dai turisti che avevano prenotato, ma domani nuovamente meta di peregrinazioni. Le imprese sociali sono nella maggior parte dei casi edificate su un elemento assai più immateriale come le persone e le relazioni; e laddove un’impresa sociale in questa difficile contingenza vada in crisi di liquidità, non riesca a far fronte ai pagamenti e sia costretta alla chiusura, difficilmente al momento della possibile ripresa sarà possibile riattivarla. Il suo capitale rischia di perdersi, ci vorranno tempi lunghi per riformarlo e il Paese ne sarà privo nel momento del rilancio.
Va a questo proposito ricordato che questa è una crisi diversa dal 2008; a differenza di quella crisi, questa colpisce frontalmente e in prima istanza settori quali i servizi alla persona, la cultura, l’educazione, il sociale, tutte le attività in altre parole che si fondano sulla relazione tra persone e che oggi debbono essere interrotte e che per lungo tempo sono destinate a funzionare a ciclo ridotto e sobbarcandosi oneri organizzativi sino ad oggi impensabili: ci vorrà tempo, molto tempo, prima che si riprenda a stare insieme in occasioni di socialità e di fruizione culturale come si era fatto sino a poche settimane fa. Questo è il motivo per cui, mentre questi settori erano usciti relativamente bene dalla crisi del 2008, oggi rischiano invece di soffrire molto più di altri, perché per lungo tempo ci incontreremo di meno, mentre continueremo invece ad acquistare beni.
A ciò si aggiunga che le imprese sociali, come è noto, hanno sopportato la lunga fase di crisi iniziata nel 2008 limitando chiusure e licenziamenti, ma a prezzo di un impegno di molte di loro a ridurre al minimo i propri margini, rendendosi sicuramente più vulnerabili ad una imprevedibile situazione di crisi come questa. Se vengono meno le entrate previste dai contratti in essere, cooperative, associazioni e altri soggetti di Terzo settore rischiano la chiusura.
A questo proposito bisogna essere consapevoli che mere iniezioni di liquidità rischiano di essere insufficienti: la questione oggi non è ottenere prestiti a basso costo, è evitare la chiusura. Certo, ciò si fa sospendendo pagamenti oggi improponibili, quindi è utile ad esempio la sospensione delle rate dei mutui, ma soprattutto evitando che il fatturato si azzeri, cosa che il DL 18/2020 inizia a fare almeno per alcune situazioni specifiche (i servizi a carattere diurno oggetto di chiusura); ma vi sono sicuramente altre situazioni, diverse ma ugualmente colpite (si pensi al settore della cultura) rispetto alla quale sarà necessario pensare a misure ulteriori.
In altre parole, è assolutamente apprezzabile che le pubbliche amministrazioni possono trasformare un centro diurno in servizio domiciliare, impiegando personale delle cooperative che lo stava svolgendo e con il mantenimento degli importi contrattuali preesistenti; si tratta ora, da una parte di assicurarsi che ciò effettivamente accada – perché dovranno essere le amministrazioni locali e decidere se utilizzare la misura prevista dal decreto –, che queste cooperative possano continuare ad esistere e si tratta, laddove siano coprogettate attività alternative, di creare le condizioni perché possano effettivamente svolgersi; e poi è necessario porsi il problema di altre attività ugualmente penalizzate e di come sostenerle.
Pensiamo alle parole di Sergio Mattarella che nel discorso di fine anno ha detto: “Vi è un’Italia, spesso silenziosa, che non ha mai smesso di darsi da fare e dobbiamo creare le condizioni che consentano a tutte le risorse di cui disponiamo di emergere e di esprimersi senza ostacoli difficoltà, con spirito ed atteggiamenti di reciproca solidarietà, insieme”. Dopo che ben due governi hanno dimostrato ben poco interesse per il Terzo settore non facendo di fatto quasi nulla per completare la riforma; al contrario il decreto 18/2010 sembra aver ben colto questo invito del Presidente. È questa l’Italia che non dobbiamo perdere, che dobbiamo preservare oggi per l’emergenza, domani per la ricostruzione.