La timidissima espansione dei servizi 0-2 in Italia nel nuovo millennio
All’inizio degli anni Duemila, nel quadro dell’Agenda Sociale Europea e della Strategia Europea dell’Occupazione furono fissati (a Lisbona nel 2003) degli obiettivi di copertura per i servizi pre-scolari, rispettivamente 90% per il 3-5 e 33% per lo 0-2. Pur non essendo vincolanti, tali obiettivi hanno assunto un peso (certo variabile a seconda dei contesti, come discusso su Welforum qui) nei dibattiti nazionali.
Nelle due decadi successive, anche sulla scia della crescente adozione a livello europeo dell’approccio dell’Investimento Sociale, che promuove la realizzazione di interventi di policy in grado di generare rilevanti ritorni individuali e sociali, si sono osservati andamenti diversi. I paesi nordici hanno ulteriormente ampliato un’offerta già significativa. Anche i paesi continentali – che partivano da dati diversificati, soprattutto tra paesi francofoni e germanofoni – hanno investito (in particolare Paesi Bassi e Germania). Nei paesi del Sud Europa la copertura era già da tempo molto ampia sul 3-5 (le scuole materne in Italia), ma residuale sullo 0-2, i cui sviluppi si sono disallineati nel nuovo millennio. Mentre la Spagna, pur nel quadro di una discontinuità connessa all’alternanza dei governi nazionali, ha visto un significativo incremento, in Italia la progressione è stata molto timida.
Il Piano Straordinario Nidi del 2006, per quanto ben congegnato, con obiettivi medi nazionali e premialità per le Regioni che avessero raggiunto obiettivi intermedi, e benché accompagnato da un finanziamento significativo nel panorama nazionale (sebbene imparagonabile, per esempio, con il finanziamento tedesco degli stessi anni), non ha prodotto risultati ‘straordinari’. Lo stesso divario tra Centro-Nord e Sud ha iniziato ad essere intaccato solo recentemente, con l’uso mirato dei fondi PAC. Tale evoluzione va certo letta anche alla luce delle crisi finanziarie ed economiche iniziate nel 2008 e delle correlate politiche di austerity, che hanno impattato pesantemente sulla continuità dei flussi finanziari dal centro agli enti locali, come pure sulla possibilità di questi ultimi di investire nella gestione dei servizi. Ricordiamo, infatti, che i finanziamenti nazionali sono stati sempre destinati ad investimenti infrastrutturali, lasciando alle Regioni e agli enti locali farsi carico della gestione che – come noto – nei servizi ad alta intensità di lavoro come sono i servizi di cura incide molto sui costi complessivi; un elemento su cui torneremo nelle conclusioni. La Grande Recessione ha, dunque, arrestato la pur gradualissima espansione della copertura dei nidi in Italia. Nel 2017, il Dlgs. 65 ha introdotto il Sistema Integrato 0-6, con l’obiettivo di superare la segmentazione tra nidi d’infanzia e scuole dell’infanzia, ampliare la copertura e diffusione, promuovere la continuità educativa, armonizzare livelli qualitativi e costi. Nonostante una prima parte dei fondi sia stata distribuita alle Regioni, tuttavia, l’implementazione del Sistema Integrato è stata sinora a malapena avviata.
“Assenza, più acuta presenza”
Alla vigilia della pandemia in Italia la copertura pubblica o pubblicamente sovvenzionata era, dunque, pari solo al 13,1%; l’offerta complessiva, inclusa quella privata, copriva circa un quarto dei bambini fino ai tre anni d’età (ISTAT 2020), ancora distante da un parametro europeo ormai peraltro datato. Durante la pandemia i servizi 0-6, come le scuole, hanno conosciuto una lunghissima chiusura: da marzo fino a settembre del 2020, e poi di nuovo nell’a.s. 2020-21 in corrispondenza delle zone rosse locali e nazionali. Un’assenza vissuta con evidente e comprensibile fatica da parte delle famiglie dei bambini iscritti, in primis per le enormi difficoltà di conciliazione esperite in corrispondenza della ridotta possibilità di ricorrere all’aiuto dei nonni (anche per proteggere i più anziani dal contagio). Di settimana in settimana è, però, andata crescendo anche la consapevolezza dell’importanza dei servizi pre-scolari per la socializzazione ed educazione precoce, rivendicata dalle raccolte di firme di genitori, dai pareri degli esperti e dai comunicati di associazioni e reti di advocacy (di cui Welforum ha dato ampiamente conto, si veda per es. qui, qui, e qui).
I recenti dati Invalsi hanno mostrato senza ombra di dubbio la perdita di competenze che gli studenti hanno sofferto nei due anni di didattica a distanza. Questi risultati si riferiscono alla scuola secondaria, inferiore e superiore, maggiormente interessate dalle chiusure nell’a.s. 2020-21. Tuttavia il ruolo, ampiamente dimostrato dalla ricerca, che i servizi 0-6 rivestono nel compensare le diseguaglianze di partenza con le quali i/le bambini/e si affacciano alla scuola dell’obbligo dovrebbe ormai essere considerato irrinunciabile per le pari opportunità che il paese deve offrire ai propri cittadini sin dalla più giovane età. All’investimento in capitale umano si aggiunge inoltre la promozione del lavoro, soprattutto femminile, sia in termini di conciliazione famiglia-lavoro, sia di creazione diretta di occupazione nei servizi stessi. Infine, ma non da ultimo, i servizi all’infanzia espletano una fondamentale funzione – cruciale in particolare per le famiglie più vulnerabili – di integrazione sociale, promuovendo le relazioni tra famiglie e il confronto con i professionisti, e di presidio sociale, per l’individuazione precoce dei segnali di disagio o abuso.
Il PNRR, un’occasione da non perdere
Con il PNRR sono state destinate notevoli risorse allo sviluppo dei servizi 0-6. Nell’ultima versione, quella presentata ad aprile e poi approvata dal Parlamento, il Piano riserva al comparto 4,6 miliardi, con l’obiettivo di creare circa 228mila posti. Finalmente! Il confronto con il piano “straordinario” del 2006 dice dell’eccezionale entità delle risorse programmate per questo comparto. Una occasione rara, di più, forse irripetibile, nata nella congiuntura favorevole dell’inedita politica macro-economica espansiva europea e italiana. Un’opportunità che letteralmente non possiamo permetterci di non cogliere, dunque, per colmare il grave ritardo del nostro paese in questo settore.
L’obiettivo è inserito nella Missione 4, “Istruzione e ricerca” (e non, invece, nella 5 “Inclusione e coesione”). Una collocazione che lascia intendere un approccio di fondo vicino a quello dell’investimento sociale. Approccio che si sarebbe voluto vedere più nettamente esplicitato: il testo introduttivo della Missione 4 sottolinea infatti l’esigenza di promuovere il lavoro delle donne e, dunque, la funzione di conciliazione famiglia-lavoro dei servizi (“La carenza di servizi educativi per l’infanzia, unita all’iniqua ripartizione dei carichi di lavoro familiare, condiziona negativamente l’offerta di lavoro femminile e riduce il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro”). Non si trovano, invece, riferimenti espliciti all’investimento nello sviluppo cognitivo dei bambini/e; né alla capacità dei servizi pre-scolari di ridurre la trasmissione intergenerazionale delle condizioni di esclusione sociale; né, in senso più generale, all’importanza dell’investimento in capitale umano per l’idea di sviluppo sociale ed economico che il paese intende perseguire, nella cornice di un mondo globalizzato, di un’economia fortemente basata su conoscenza e innovazione, di un sistema della circolazione delle informazioni in tempo reale che richiede crescenti competenze per esercitare i diritti di cittadinanza.
Si potrebbe obiettare che ciò che conta è l’entità delle risorse riservate allo 0-6: una volta creati, i servizi all’infanzia rispondono per loro natura ai molteplici obiettivi sopra richiamati. Non è del tutto vero: le modalità di programmazione e regolazione possono incidere molto sulla collocazione dei servizi lungo il gradiente accudimento – educazione, corrispondente, in termini di obiettivi, al continuum conciliazione – pari opportunità dei bambini/e.
Ed effettivamente, il PNRR lascia vari nodi scoperti, come segnalato anche dalla rete educAzioni.
In primo luogo, non è chiara la suddivisione delle risorse destinate a ciascuno dei due segmenti, 0-2 e 3-5. Inoltre, al fine di perseguire effettivamente la riduzione dei gap territoriali di copertura, sarebbe fondamentale fissare obiettivi regionali. A questo proposito, peraltro, l’incompiuto modello di governance multi-livello italiano può pregiudicare gravemente la “messa a terra” dei progetti a livello territoriale, con il rischio di esacerbare, anziché moderare, la distanza tra territori più e meno attrezzati e sensibili in materia, giacché saranno i Comuni ad accedere alle procedure selettive e a condurre la realizzazione e gestione delle opere. In questo senso, per essere davvero efficaci, gli investimenti disponibili per le infrastrutture necessiteranno di essere sostenuti su un duplice versante. Da un lato – e questo sarà importante non solo per questo specifico settore, ma per l’attuazione complessiva del PNRR – andranno rinforzate le capacità territoriali di sviluppare e implementare progettazioni. D’altro lato, occorre anche un investimento culturale a sostegno del riconoscimento della poliedrica valenza dei servizi alla prima infanzia, soprattutto in quei contesti nei quali ancora prevale una visione dei nidi come necessari solo in assenza di alternative di accudimento in seno alla famiglia, anche estesa.
Fondamentale sarà anche l’equilibrio tra le risorse destinate agli investimenti strutturali e le spese necessarie per garantire la gestione dei servizi che in tali strutture dovranno essere realizzati, oltre che il perimetro delle diverse opzioni gestionali attivabili, dalla gestione diretta alle varie forme di esternalizzazione. Aspetti che incideranno molto anche sulla possibilità di ridurre i costi sostenuti dalle famiglie, in particolare per i nidi.
Sarà, dunque, fondamentale monitorare passo passo l’implementazione delle risorse destinate dal PNRR ai servizi all’infanzia, e assicurarne il coordinamento con quelle del Fondo 0-6 nell’ottica della piena realizzazione del Sistema Integrato 0-6 (con particolare riferimento ai poli territoriali, tesi ad assicurare la continuità educativa, le relazioni con le comunità educanti e le citate funzioni di presidio sociale), nonché, più in generale, con quanto sarà previsto nel Family Act, attualmente in discussione in Parlamento. Insieme al riordino dei sostegni economici alle famiglie nell’AUFF, questi diversi provvedimenti – se posti in relazione sinergica e in un coerente quadro di senso – potranno consentire una significativa evoluzione nelle politiche per le famiglie.