Il raccordo tra servizi sociali e servizi per il lavoro nella zona del Valdarno Aretino
Chiara PieralliElena BoniFederica FerriniLisa Cammilli | 26 Novembre 2021
La multidimensionalità della povertà, ora più che mai, rende necessaria un’integrazione tra politiche, interventi e settori diversi. Vediamo insieme come si è sviluppata e si sta consolidando la rete tra servizi sociali e servizi per l’impiego, per la presa in carico e l’accompagnamento delle famiglie nella zona del Valdarno Aretino. L’esperienza, preceduta da quella dell’Ambito di Livorno e della Piana di Lucca, e a cui ne seguiranno altre sul nostro sito nelle prossime settimane, è stata presentata nell’ambito della Comunità di Pratica sull’inclusione sociale in Regione Toscana, che dal 2020 si propone di stimolare il confronto e lo scambio di pratiche tra territori nel sostegno delle fragilità.
La struttura della relazione e la costituzione della rete
L’Ufficio zonale, che oggi si occupa della gestione del Reddito di Cittadinanza per gli otto Comuni che costituiscono l’Ambito Valdarno Aretino, nasce nel 2018 al fine di gestire il REI. Attualmente l’equipe è costituita da: un amministratore d’Ambito con funzione di responsabile e referente di zona, tre assistenti sociali con funzione di case manager, un’educatrice con funzione di responsabile Progetti Utili alla Collettività (PUC) e un’educatrice con funzione amministrativa.
I case manager sono presenti, presso lo sportello RdC, con cadenza settimanale (nei Comuni sopra i 10.000 abitanti) o quindicinale (nei Comuni sotto i 10.000 abitanti), si occupano della presa in carico dei nuclei percettori ed effettuano la selezione dei beneficiari per i quali possono essere attivati i PUC. La responsabile PUC si occupa invece di organizzare e promuovere con i diversi Comuni gli incontri finalizzati alla presentazione dei progetti, nonché di seguire la parte progettuale vera e propria in sinergia con i Comuni dell’Ambito, alimentare il catalogo PUC, effettuare colloqui con i responsabili dei progetti e con i beneficiari individuati dai case manager dei Servizi sociali o dal Centro per l’Impiego (CpI).
Nel CpI le figure professionali coinvolte sono gli operatori ARTI, con competenze in ambito amministrativo e particolarmente rilevanti nella gestione delle condizionalità, i consulenti di orientamento, impegnati in percorsi di counseling, e i navigator che offrono supporto continuo ed operativo nella ricerca di lavoro e di opportunità formative.
L’Ufficio RdC e il CpI svolgono, con cadenza quindicinale, riunioni a distanza durante le quali avvengono passaggi di casi, scambio di informazioni e aggiornamenti sui percorsi degli utenti. In tale sede vengono inoltre affrontate le questioni relative ai PUC attivi o in attivazione, ai beneficiari da associare e all’andamento del matching. Il rapporto tra i due enti non è scaturito da un protocollo formalizzato, ma deriva da una procedura informale messa a punto nel tempo: l’Ufficio zonale RdC e il CpI condividono infatti una prassi operativa che vede la sua origine con il REI. Tuttavia, la nuova normativa del RdC – mediante l’introduzione delle figure dei navigator e della differente presa in carico dei beneficiari attraverso l’indirizzamento automatico operato dall’INPS – e la pandemia da Covid-19 hanno costretto operatori ed enti a riadattare la collaborazione. Il dialogo tra i servizi è stato fondamentale soprattutto nel periodo in cui era assente la comunicazione tra le piattaforme GePI e My Anpal, e ha permesso di concordare le modalità di invio dei beneficiari da un servizio all’altro e di mettere in campo uno scambio informale extra piattaforma di dati ed informazioni utili.
Tale rapporto, facilitato dalla precedente collaborazione relativa all’attivazione dei tirocini d’inclusione afferenti al REI, ha verosimilmente facilitato anche la messa a punto di una pratica operativa relativa ai PUC (matching, modulistica, gestione dei beneficiari).
La presa in carico dei beneficiari e delle loro famiglie
I Servizi sociali convocano le famiglie beneficiarie di RdC tramite la piattaforma GePI, in modo da poter effettuare l’Analisi preliminare presso lo sportello del Comune di residenza. Qualora le famiglie non si presentino all’appuntamento, viene loro mandata una raccomandata formale con un secondo appuntamento e viene esplicitata la sanzione a cui incorrono nel caso in cui non si presentino nemmeno a quest’ultimo. Sia nelle convocazioni tramite piattaforma che in quelle tramite raccomandata vengono lasciati i contatti di riferimento del case manager del Comune di residenza del destinatario della convocazione in modo che questo possa modificare l’appuntamento (dandone il giustificativo) senza incorrere in sanzioni. Tale sistema di convocazione, grazie alle modalità di funzionamento e strutturazione della piattaforma GePI, risulta più flessibile di quello presente nei CpI, dove le convocazioni avvengono in modo automatico attraverso una complessa procedura formale di gestione delle sanzioni per i percettori che non si presentano agli appuntamenti. Una criticità che emerge frequentemente deriva proprio dalla difficoltà dei beneficiari, spesso appartenenti a nuclei familiari con problematiche multidimensionali, a rispettare gli impegni assunti con il CpI (o anche solo di aggiornare il servizio rispetto ai propri contatti telefonici o e-mail), con conseguente applicazione dei meccanismi sanzionatori. Questa dinamica rischia di inficiare la relazione che l’utente stabilisce con gli operatori dei CpI e che sta alla base del percorso di consulenza per l’attivazione della persona verso la ricerca di lavoro.
Le problematiche che la gran parte dei percettori di RdC presentano sono riconducibili a:
- un passato di dipendenze, dal quale spesso non ne sono mai usciti realmente;
- un quadro sanitario compromesso;
- forti difficoltà nella gestione e/o nel reperimento di una casa (alcuni di questi vivono in strutture di accoglienza);
- problemi legati alla monogenitorialità e/o alla presenza numerosa di figli minori;
- scarsa conoscenza della lingua italiana per i cittadini stranieri, che spesso non presentano nessun adulto supportivo al di fuori del proprio nucleo che li aiuti nei carichi di cura.
La maggioranza degli utenti è poi caratterizzata dalla mancanza di qualifiche: molti hanno solo il diploma di III media e non hanno conseguito la patente di guida. Quest’ultima rappresenta un’importante criticità, resa ancor più grave dall’assenza di un servizio di trasporto pubblico efficiente in grado di favorire l’inserimento lavorativo delle persone non autonome. Per ovviare a tali cause di svantaggio, è stata attivata la possibilità di frequentare corsi (rimborsabili) per il conseguimento della patente di guida e di lingua italiana.
I beneficiari RdC presi in carico dal CpI sono spesso persone a lungo distanti dal mercato del lavoro, con profili poco qualificati e a continuo rischio di lavoro non regolare. Il percorso con questa tipologia di utenti beneficia della relazione che si stabilisce con l’orientatore, che accompagna la persona verso una nuova progettualità rispetto alla propria vita professionale. Oltre a quanto sopra indicato, ad ostacolare il buon andamento dei progetti vi è anche il rapporto spesso conflittuale con i servizi coinvolti. Costruire infatti una buona relazione di fiducia con l’utente e una fattiva collaborazione tra enti, nonché saper dare informazioni condivise ai cittadini senza farli perdere nella burocrazia, risultano essere strategie fondamentali per raggiungere in modo efficacie ed efficiente gli obiettivi prefissati.
Risultati e ostacoli
I punti di forza della collaborazione tra Servizi sociali e CpI dell’Ambito Valdarno Aretino sono da rintracciare, nonostante le difficoltà legate all’emergenza sanitaria, nella calendarizzazione quindicinale delle riunioni, nei passaggi dei casi dal percorso sociale a quello lavorativo (e viceversa) concordati, ragionati e condivisi, e nel continuo scambio – anche informale – di informazioni che permette una presa in carico unitaria e non frammentata, ovviando così anche al rischio di ripetuti rinvii fra servizi.
Le principali difficoltà sono invece riscontrabili nelle differenze organizzative e procedurali degli enti di appartenenza. Nelle prime fasi di collaborazione un’ulteriore difficoltà è stata la limitata conoscenza reciproca di specifici obiettivi, strumenti e competenze. Il dialogo, oggi ormai costante, permette ad ognuna delle parti di essere aggiornata sia sui percorsi dei beneficiari sia sulle rispettive procedure e servizi offerti.
Possono, infine, essere rintracciate alcune proposte migliorative. Ad esempio, la presenza di protocolli a livello dirigenziale in grado di formalizzare prassi comuni e condivise renderebbe molto più fluida la collaborazione tra enti ed operatori. Così come la partecipazione congiunta ad iniziative formative, che mettano in evidenza la cornice teorica normativa entro la quale entrambi i servizi operano e che consentano di condividere buone prassi, potrebbero costituire un ulteriore elemento di crescita nella collaborazione. A tal proposito è stata condivisa l’idea di creare una sorta di “gemellaggio” tra enti, mediante uno “scambio” di operatori in grado di giovare sia gli utenti che ai servizi stessi: prevedere cioè la presenza di uno sportello tenuto da un’assistente sociale dell’equipe RdC presso il CpI e, viceversa, di uno sportello presso i Servizi sociali dei Comuni dell’Ambito tenuto da un operatore dei servizi per l’impiego.