1.5. Il Terzo settore e il PNRR


Gianfranco Marocchi | 22 Giugno 2021

Leggere il PNRR dal punto di vista del Terzo settore è un’operazione che può essere realizzata da almeno due punti di vista: ci si può interrogare su quanto gli interventi auspicati dal Piano colgano priorità e strategie che il Terzo settore ha in questi anni sostenuto e praticato e su quanto cui il ruolo del Terzo settore sia o meno riconosciuto in tali azioni. Le due questioni non necessariamente coincidono: ad esempio, nelle sue prime versioni, ancora elaborate dal precedente Governo Conte, anche se comparivano proposte di intervento coerenti con le visioni più volte espresse dal Terzo settore, la scelta era stata quella di limitare il più possibile i riferimenti a specifici soggetti (e quindi anche al Terzo settore, che appariva pertanto trascurato nel testo).

 

Rispetto al primo punto di vista, quello relativo ai temi trattati, va in primo luogo riconosciuta al PNRR un’impostazione generale che corrisponde ad alcune sensibilità di fondo del terzo settore e in generale di chi opera nel sociale, per almeno due fattori. Il primo è il riconoscere alla coesione sociale un valore trasversale nel consentire e orientare lo sviluppo: agli estensori del Piano risulta chiaro come nel programmare il rilancio del Paese sia necessario non limitarsi ad aspetti economici e produttivi, ma sia necessario assicurare la coesione della nostra società (Missione 5). Il secondo fattore è la scelta di uno sviluppo “buono”, come si evince ad esempio dall’attenzione ai temi ambientali (cui è dedicata l’intera Missione 2), culturali e alla salute: uno sviluppo quindi non fatto meramente di crescita del PIL, ma ispirato ad un’idea più ampia di sostenibilità. Vero è che risulterebbe strano, nel 2021, un Piano che ignori questo tipo di sensibilità, ma va dato comunque atto come questi aspetti siano ormai parte di un patrimonio culturale condiviso.

 

Veniamo quindi ad un esame più specifico di alcuni punti, a partire dalla Missione 5, quella, appunto, dedicata all’inclusione e alla coesione, dotata di quasi 20 miliardi di euro e suddivisa in tre macro capitoli: 1) politiche per il lavoro, 2) infrastrutture sociali, famiglie comunità e Terzo settore e 3) interventi speciali per la coesione territoriale, riproponendo per ciascuno di essi le domande di apertura: quanto includano priorità care al Terzo settore e quanto esso sia o meno protagonista degli interventi indicati.

 

Rispetto al primo tema, quello del lavoro (area dotata di risorse pari a 6.66 miliardi), va sottolineato che esiste una significativa area di intervento, propria del Terzo settore, relativa all’integrazione lavorativa di persone svantaggiate o comunque con debolezze che ne precludono in via permanente l’accesso al mercato del lavoro e che sarebbe coerente con l’impianto del piano, che propone un’idea di rilancio inclusiva, dare spazio all’idea che nessuno resti ai margini della ripresa; ma, al di là della specificazione – che però appare rituale e decontestualizzata – circa la “attenzione specifica all’inserimento lavorativo delle persone con disabilità”, il tema non appare sviluppato in modo adeguato e tantomeno vengono citate, né con riferimento al soggetto, né al tipo di pratiche adottate, le azioni di inserimento lavorativo realizzate in particolare dalla cooperazione sociale di tipo B o le azioni di intermediazione al lavoro rivolte a soggetti fragili realizzate da soggetti del Terzo settore come modelli da diffondere per evitare che la ripresa lasci indietro i lavoratori più fragili. Vi è da auspicare che, laddove si ponga l’obiettivo di un “Programma Nazionale per la Garanzia Occupabilità dei Lavoratori (GOL), nei fatti queste esperienze vengano recuperate e valorizzate. Sia il punto 5.1.1 (Politiche attive del lavoro e formazione) sia 5.1.3 (Centri per l’impiego) sono sviluppati in modo piuttosto tradizionale, centrato unicamente sull’azione della pubblica amministrazione. È invece raccolta una battaglia storica del Terzo settore – ancorché non sia esplicitamente citato – nella scelta di sostenere e sviluppare il Servizio Civile Universale, anche assicurando risorse su base pluriennale così da poter operare un’adeguata programmazione; in tale paragrafo ben si coglie la duplice funzione di questa esperienza, secondo quanto sempre sostenuto dal Terzo settore, sia dal punto di vista del servizio alla comunità, sia alla crescita personale dei giovani.

 

La parte preponderante delle risorse della Missione 5 (11.17 miliardi) sono però destinate alla seconda area di intervento (Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore) nel cui titolo in cui il Terzo settore è tra l’altro esplicitamente citato. La lettura di questo capitolo va fatta alla luce delle caratteristiche dei fondi sottostanti al PNRR, orientati all’investimento e non alla spesa corrente (sebbene in taluni casi le azioni del piano risultino da una combinazione dei fondi dedicati al PNRR con altre fonti non sottoposte a tale vincolo). È questo uno degli aspetti potenzialmente critici che il piano porta con sé sin dalle prime versioni; da una parte esso non è ascrivibile alle scelte del nostro Governo (tranne che per l’aspetto di integrare o meno i fondi PNRR con altre fonti), dall’altro va tenuto in attenta considerazione per evitare di costruire “muri vuoti”: spesso negli interventi sociali vi sono componenti rilevanti di costi di gestione rilevanti e il carattere di “investimento” è argomentabile piuttosto in termini di prevenzione di danni sociali che si verificherebbero in loro assenza; ma, appunto, non è questa l’impostazione del PNRR e probabilmente non poteva esserlo. Ciò porta a far sì che degli 11 miliardi di cui sopra, 9 siano dedicati ai piani di rigenerazione urbana e all’housing sociale (che originano spese per costruzioni, ristrutturazioni, ecc.) e solo uno complessivamente per i settori core del welfare quali gli interventi rivolti ad anziani, persone con disabilità e famiglie in difficoltà, anche in questo caso concentrandosi prevalentemente sugli investimenti in strutture e tecnologie: si parla quindi di soluzioni abitative autonome e supportate per gli anziani, di tecnologie a servizio della non autosufficienza, di strutture per l’housing sociale indirizzate a famiglie in difficoltà. Si tratta comunque di ambiti in cui il Terzo settore non solo è presente, ma sta investendo in coerenza con una filosofia di intervento non meramente assistenziale, ma volta a ricostruire spazi di autonomia delle persone in difficoltà e ciò presenta senza dubbio analogie significative con il tipo di azioni ipotizzate dal PNRR.

 

La parte prioritaria delle risorse è destinata, come si diceva, a progetti di rigenerazione urbana. 2.8 milioni per housing sociale e riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica, un fondo a supporto dei progetti di rigenerazione urbana come mezzo per “promuovere l’inclusione sociale e combattere nuove forme di vulnerabilità” 3.3 miliardi sono dedicati a “investimenti nella rigenerazione urbana, al fine di ridurre le situazioni di emarginazione e degrado sociale nonché di migliorare la qualità del decoro urbano oltre che del contesto sociale e ambientale” e 2.45 miliardi a piani per “recuperare spazi urbani e aree già esistenti allo scopo di migliorare la qualità della vita promuovendo processi di partecipazione sociale e imprenditoriale” con il “miglioramento di ampie aree urbane degradate, alla rigenerazione, alla rivitalizzazione economica, con particolare attenzione alla creazione di nuovi servizi alla persona…”. Tutti interventi che rispetto ai quali il Terzo settore è stato in questi anni tra i principali protagonisti e non a caso il PNRR proprio con riferimento ad essi specifica che “gli interventi potranno anche avvalersi della co-progettazione con il Terzo settore ai sensi dell’art. 55 decreto legislativo 3 luglio 2017 n.117”.

 

Infine, sono previste risorse per lo sport, anche in questo caso andando a individuare un ambito specifico di azione in cui i soggetti di Terzo settore sono protagonisti, dal momento che si parla di “impianti sportivi e realizzazione di parchi urbani attrezzati, al fine di favorire l’inclusione e l’integrazione sociale, soprattutto nelle zone più degradate e con particolare attenzione alle persone svantaggiate”, azioni di fatto realizzate dal vasto tessuto delle associazioni sportive dilettantistiche.

 

La terza area di intervento, anch’essa relativa ad ambiti in cui il Terzo settore è protagonista, riguarda gli interventi per la coesione territoriale (2 miliardi di euro). Comprende azioni per il rilancio e valorizzazione delle aree interne rafforzando i servizi per anziani e giovani in difficoltà (un ambito di azione che chiama direttamente in causa il Terzo settore) e servizi sanitari di prossimità, tema su cui oggi il Terzo settore non è attualmente molto presente, ma che potrebbe rappresentare un terreno di sviluppo futuro significativo; è da segnalare come la sanità “di prossimità” occupi una parte significativa anche della Missione 6, in particolare laddove si sviluppa (investimento 1.1) il tema delle “Case di comunità e presa in carico della persona”: si tratterà quindi di una sfida da cogliere per il Terzo settore.

È invece un ambito di assoluta pertinenza del Terzo settore (non esplicitamente citato nello specifico paragrafo, ma nel testo finale riassuntivo) l’investimento per la riqualificazione dei beni sottratti alla criminalità organizzata, che vedono impegnate cooperative ad associazioni in un prezioso lavoro di sviluppo locale e di cambiamento culturale. Il Terzo settore è invece identificato come protagonista degli interventi per contrastare la povertà educativa nel Mezzogiorno, con l’obiettivo di coinvolgere fino a 50 mila minori in oltre 2 mila diverse iniziative.

In conclusione, alcune considerazioni generali.

 

In primo luogo, ad di là di un certo numero di richiami espliciti all’azione del Terzo settore, si possono riscontrare, nella maggior parte dei casi – ovunque, tranne che sulle politiche attive del lavoro, una significativa corrispondenza tra linee di azione previste dal PNRR e le prassi consolidate del Terzo settore.

È inoltre sicuramente molto positivo che sia acquisita l’idea di un Terzo settore da considerarsi non come mero esecutore di servizi, ma protagonista insieme alla pubblica amministrazione in virtù della sua vocazione all’interesse generale; in apertura del capitolo relativo alla Missione 5 di cui è detto, si afferma che “L’azione pubblica potrà avvalersi del contributo del Terzo settore. La pianificazione in coprogettazione di servizi sfruttando sinergie tra impresa sociale, volontariato e amministrazione, consente di operare una lettura più penetrante dei disagi e dei bisogni al fine di venire incontro alle nuove marginalità e fornire servizi più innovativi, in un reciproco scambio di competenze ed esperienze che arricchiranno sia la PA sia il Terzo settore.” Questo è un aspetto culturale dirimente, ripreso come si è visto in modo esplicito a proposito degli interventi di rigenerazione urbana, ma che auspicabilmente deve diventare il metodo generale con cui si progettano gli interventi.

Ancora, è positivo il fatto che, in tema di riforme necessarie ad accompagnare l’implementazione del Piano (tra cui alcune rilevanti per chi si occupa di welfare, ad esempio in tema di non autosufficienza o di disabilità), vi sia il completamento della Riforma del Terzo settore, ancora oggi priva di alcuni importanti aspetti attuativi (il Registro è ancora ai nastri di partenza e soprattutto l’applicazione della parte fiscale appare ancora lontana).

Un aspetto di delicatezza che coinvolge senz’altro il Terzo settore per il suo ruolo operativo, ma che riguarda più in generale le precondizioni per la riuscita del piano, consiste nel fatto che gli interventi sulle strutture vanno appoggiati ad una accurata programmazione della spesa in conto gestione, con un coordinamento non sempre facile tra risorse che giungono da una fonte straordinaria come il PNRR (prevalentemente per i “muri”) e quelle che altri livelli dell’amministrazione, sia centrale che locale, dovranno prevedere per svolgervi delle attività; alcuni degli interventi ipotizzati possono probabilmente, grazie anche all’investimento iniziale, sorreggersi sul mercato grazie alla vendita di servizi acquistabili dai cittadini con maggior reddito, ma andranno previste risorse affinché essi siano disponibili su basi di equità anche per gli altri e dovranno essere studiati i finanziamenti per le attività non di mercato; in generale potrebbe essere buona norma finanziare “muri” laddove sia chiaro con quali strategie – di spesa pubblica e di mercato privato – si possano finanziare le “persone” che operano in questi muri.