Inclusione e lavoro: l’esperienza di ARTI Livorno


Daniela BartalucciElisa Sironi | 5 Novembre 2021

La multidimensionalità della povertà, ora più che mai, rende necessaria un’integrazione tra politiche, interventi e settori diversi. Vediamo insieme come si è sviluppata e si sta consolidando la rete tra servizi sociali e servizi per l’impiego, per la presa in carico e l’accompagnamento delle famiglie nell’Ambito di Livorno. L’esperienza, a cui ne seguiranno altre sul nostro sito nelle prossime settimane, è stata presentata nell’ambito della Comunità di Pratica sull’inclusione sociale in Regione Toscana, che dal 2020 si propone di stimolare il confronto e lo scambio di pratiche tra territori nel sostegno delle fragilità.

 

 

La struttura della relazione

Il collocamento mirato, per sua definizione e vocazione, presuppone l’integrazione tra i Servizi per il Lavoro, i Servizi sociali comunali e dell’ASL, il Dipartimento Salute Mentale, il SERD, le associazioni di categoria, le organizzazioni sindacati e datoriali, e il terzo settore. Collaborazioni queste che, nel corso degli anni, si sono realizzate fattivamente nel territorio di Livorno mediante l’adozione di accordi e convenzioni formali, e l’attivazione di diversi progetti. Nel 2018 sono state rinnovate le convenzioni con l’Asl Nord-Ovest per quel che riguarda il GICO (Gruppo Interistituzionale per il Collocamento Obbligatorio) e il GCP (Gruppo Coordinamento disabili Psichiatrici) che consentono la presa in carico congiunta dei soggetti più fragili (patologia psichiatrica, psichica, area handicap, SERD, area marginalità) attraverso apposite schede di presentazione. Gli iscritti alla legge 68/99, presenti nel GICO/GCP, si vedono riservate alcune offerte di lavoro e sono seguiti al momento dell’ingresso nel posto di lavoro e sostenuti in caso si presentino criticità. GICO e GCP si riuniscono periodicamente presso gli uffici del collocamento mirato.

Sul fronte, invece, del collocamento ordinario, la collaborazione fra Centro per l’Impiego (CpI) e Servizio sociale origina negli anni 2000 e si struttura con accordi e progetti informali intorno al 2009. La prima esperienza prende il via con il progetto Circuito, nato con l’obiettivo di creare una rete tra servizi territoriali per una presa in carico integrata dell’utente. Inizialmente, la collaborazione fu incentrata sulle Borse lavoro del Comune e del SERD, uno strumento tipicamente assistenziale che venne rivestito di un nuovo contenuto mediante l’affiancamento di un operatore del CpI ad un operatore del Servizio sociale, affiancamento volto ad individuare il percorso (supporto/counselling/orientamento) più idoneo alla persona. Successivamente, la collaborazione si estese anche all’utenza non direttamente inserita in Borsa lavoro, e tra il 2010 e il 2013 altri enti iniziarono ad orbitare nella rete fra CpI e Servizi territoriali: Cav, Consultorio, Caritas, Associazioni per i Rifugiati Politici.

Il vero punto di svolta nella relazione fra CpI e Servizio sociale fu però costituito dall’introduzione del SIA, che prefigurava un modello di intervento centrato sui servizi di segretariato sociale, sul servizio sociale professionale, sulle equipe multidisciplinari e su una rete di interventi e servizi per l’attuazione dei progetti. Al fine di promuovere l’implementazione di tale modello di intervento, Regione Toscana, con D.GRT n. 940/2016, approvò l’Accordo quadro di collaborazione con ANCI Toscana per il coordinamento delle attività di sostegno all’inclusione attiva, costituente il riferimento normativo per la definizione dei rapporti di collaborazione operativa tra i servizi socio-sanitari, servizi formativi, CpI ed Ambiti territoriali.

É in questa cornice normativa che matura, nel 2017, fra CpI e Servizio sociale di Livorno, un protocollo d’intesa, di durata triennale, per la presa in carico integrata, mediante il riconoscimento e la valorizzazione della pregressa e positiva esperienza di collaborazione tra enti, testimoniata da buone e consolidate prassi di integrazione. Il protocollo inoltre istituì una Cabina di regia, strutturando rapporti e strumenti, formalizzando la costituzione delle equipe multidisciplinari e definendo le reciproche responsabilità. Il Comune capofila di Livorno era responsabile dell’attuazione del Progetto zonale di implementazione del SIA e ne coordinava ogni fase su tutto il territorio dell’Ambito, assicurando la presa in carico dei beneficiari con punto di accesso individuato nel segretariato sociale. Dal canto suo, il CpI collaborava all’attuazione e alla valutazione dei risultati del Progetto contribuendo, per quanto di propria competenza, alla definizione, alla realizzazione e al monitoraggio dei progetti personalizzati di assistenza degli utenti dei Servizi sociali a più alto rischio di esclusione lavorativa, assicurando la partecipazione dei propri operatori alle equipe di valutazione multidimensionale, l’erogazione dei servizi di informazione e orientamento di base al mercato del lavoro, in particolare attraverso:

  • lo svolgimento di un colloquio finalizzato all’analisi delle competenze in relazione alla situazione del mercato del lavoro locale;
  • la predisposizione del Patto di servizio personalizzato ex D.lgs n.150/2015 e del profiling di occupabilità dell’utente;
  • l’orientamento agli strumenti ed opportunità di formazione/politiche attive già disponibili sul territorio (tirocini o work experience, attività sul progetto Garanzia Giovani, voucher formativi ecc.) sulla base dei fabbisogni emersi e condivisi in sede di equipe.

Su questo modello operativo si è poi innestato, in linea di continuità, il Decreto 147/2017 istitutivo del REI.

Ad oggi, la Legge 26/2019 introduttiva del RdC ha profondamente cambiato l’impostazione del lavoro sulla marginalità sociale. L’avvento delle due piattaforme (Anpal e GePI) ha determinato un doppio punto di ingresso dell’utenza nel percorso RdC, imponendo un ripensamento del modello di collaborazione e il superamento di un protocollo imperniato sul Servizio sociale quale unico polo di direzione e gestione del flusso. I rapporti fra CpI e Servizio sociale continuano secondo canali di scambio informali, dettati dalla difficoltà di conciliare le agende degli operatori e dal volume ragguardevole di utenza. A seguito di una recente riunione informale, nella primavera del 2021, è stato individuato un operatore unico del CpI (c.d. Operatore dello svantaggio) incaricato di dialogare con un referente unico del Servizio sociale (c.d. Coordinatore d’area) per lo scambio di informazioni utili alla trasformazione dell’utenza da una piattaforma all’altra. La stessa modalità è stata individuata, ed è in via di prassi, con il SERD dove l’educatrice di struttura dialoga con l’Operatore dello svantaggio soprattutto sul piano amministrativo in relazione alle casistiche di esonero all’attivazione lavorativa per motivi di salute.

 

 

La costituzione della rete

Con l’avvento del SIA lo strumento condiviso tra enti è stato il Progetto Personalizzato di Assistenza (PAP), che veniva firmato congiuntamente dal case manager e dall’operatore del CpI. L’impianto normativo del REI ha poi reso necessario un adattamento organizzativo del flusso in ingresso, tuttavia la Scheda di invio – già utilizzata nell’ambito del progetto Circuito e contenente risorse e criticità rilevate per il beneficiario e la sua famiglia – è rimasta uno strumento di scambio informativo importante. Erano inoltre frequenti riunioni periodiche, spesso a cadenza mensile, con i vari Servizi territoriali: spazi di confronto sul piano conoscitivo ed operativo, a coinvolgimento di tutti gli operatori che ruotavano attorno al soggetto. Tali spazi permettevano la condivisione di obiettivi e metodologie al fine di assicurare una sinergica collaborazione verso il medesimo obiettivo.

Oggi, con il RdC, l’Operatore dello svantaggio del CpI si occupa della trasformazione dell’utenza che presenta caratteristiche di vulnerabilità, individuate a seguito di un colloquio specialistico ad hoc, operando in base alle Linee guida elaborate dalla Conferenza Unificata del 23/11/2020 “Principi e criteri direttivi generali per l’identificazione delle condizioni di particolare criticità in relazione alle quali sia difficoltoso l’avvio di un percorso di inserimento al lavoro”. Periodicamente l’Operatore dello svantaggio invia una copia degli appuntamenti in programma per il colloquio di inclusione in modo che il Servizio sociale possa valutare i nominativi confrontandoli con il proprio database e verificare se siano già in carico. I contatti e i confronti avvengono in base alle necessità che di volta in volta si prospettano.

Infine, tra gli strumenti facilitanti la costruzione di un rapporto proficuo fra enti sono da annoverare le formazioni congiunte (es. Vis Network) e la calendarizzazione di riunioni periodiche.

 

 

La presa in carico dei beneficiari e delle loro famiglie

Prima dell’avvento del SIA, nel collocamento ordinario la presa in carico iniziava con l’inoltro da parte del Servizio sociale della Scheda di invio. La convocazione al CpI avveniva tramite telefonata che ne anticipava le motivazioni. L’ingaggio, siglando effettivamente la presa in carico, avveniva tramite la firma del Patto di servizio ai sensi del D.lgs 150/15, di tipo amministrativo, e del Patto del progetto Circuito, a valenza metodologica e di contenuto, e finalizzato alla presa di consapevolezza del significato del percorso, alla comprensione del servizio del CpI, all’individuazione delle reciproche responsabilità tra utente e operatore. Nel lavoro con il SERD il primo contatto avveniva mediante un seminario informativo di gruppo nei locali dell’ASL, volto a stimolare la presa di consapevolezza del significato che assumeva l’invio al CpI, con l’esplicitazione delle reciproche responsabilità, seguito da un breefing con l’educatrice per la condivisione dei possibili percorsi. L’appuntamento veniva poi restituito sempre in sede di gruppo.

Con l’avvento del SIA e del REI, sul fronte del Servizio sociale, la presa in carico avveniva essenzialmente con la firma del PAP in equipe, alla presenza dell’utente. La Scheda di invio, come buona prassi, è stata mantenuta come strumento di pre-assestment, propedeutico alla formazione delle equipe.

Ad oggi, nell’ambito del RdC, la convocazione al CpI, anche nel caso di trasformazione da GePI ad Anpal, avviene tramite un automatismo. Tuttavia, nel percorso inverso (da Anpal a GePI), il CpI di Livorno ha strutturato una modalità di rinvio ad un operatore unico: l’orientatore che rileva una prima fragilità fissa un appuntamento per un colloquio specialistico di approfondimento con l’Operatore dello svantaggio che, attraverso una profilazione qualitativa e la compilazione di scheda ad hoc, rileva la situazioni ad alta vulnerabilità e promuove una presa di consapevolezza della situazione manifestata, nonché del significato, amministrativo e sostanziale, del rinvio alla valutazione multidimensionale operata dal Servizio sociale. La procedura prevede che tale valutazione sia effettuata dal CpI, sulla base di precisi indicatori di vulnerabilità, definiti dalle Linee guida redatte in seno alla Conferenza Unificata del 23/11/2020 e che prevedono l’analisi dei seguenti indicatori: risorse e caratteristiche personali; elementi di criticità socio-relazionali; condizioni oggettive di bisogno socio-assistenziale in relazione alle quali sia difficoltoso l’avvio di un percorso di inserimento lavorativo; disagio abitativo; problemi di gestione nella cura dei familiari (non già motivo di esonero). Per agevolare la collaborazione fra enti, il processo di trasformazione da Anpal a GePI avviene previo invio dell’elenco dei nominativi che hanno in programma un appuntamento specialistico denominato “RdC Inclusione Sociale”, in modo che il Servizio sociale possa prendere atto dei probabili futuri invii, verificare se questi siano già in carico o comunque conosciuti dal Servizio stesso, richiedere approfondimenti laddove si necessitino o fornire indicazioni utili per lo svolgimento del colloquio di profilazione qualitativa. In alcuni casi, ritenuti più complessi, il colloquio specialistico di trasformazione può essere condotto congiuntamente con il Servizio sociale.

La tipologia dei beneficiari trattata è stata negli anni, ed è tuttora, molto variegata. Si tratta essenzialmente di soggetti che presentano bisogni legati a:

  • marginalità sociale;
  • tossicodipendenza;
  • vittime di violenza e di tratta;
  • rifugiati politici.

Le situazioni più complesse sono di solito quelle legate a tematiche sanitarie, anche se ogni target porta con sé una vulnerabilità specifica che spesso si scontra con le esigenze del mercato del lavoro. Ad esempio, nella marginalità sociale il basso tasso di scolarizzazione rappresenta un ostacolo spesso insormontabile, così come i carichi di cura verso figli e genitori anziani rappresentano un freno importante nella ricerca attiva di lavoro da parte delle donne. La scarsa conoscenza della lingua italiana, insieme alla difficoltà di ottenere il riconoscimento del titolo di studio, sono invece elementi ostacolanti l’ingresso nel mercato del lavoro per i rifugiati politici.

Il buon esito dei percorsi, quando non ostacolato da fattori soggettivi, può esserlo a causa di elementi oggettivi. L’impossibilità per l’operatore di poter attingere simultaneamente, o quanto meno nell’arco di un breve periodo, a un pacchetto di strumenti e di Politiche Attive del Lavoro costante e fruibile rischia infatti di minare il concetto di progettazione e di life design. L’obiettivo professionale viene individuato, ma la concretizzazione è spesso faticosa e frammentata. Il percorso potrebbe quindi sarebbe facilitato attraverso un‘erogazione di Politiche Attive del Lavoro costanti nel tempo mentre, da un punto di vista di vincoli soggettivi, il potenziamento della rete diviene essenziale per superare o almeno mitigare il gap fra utenza svantaggiata e utenza ordinaria.

Per gli utenti del collocamento mirato e per le loro famiglie è invece fondamentale la possibilità di avvalersi di un orientamento personalizzato attraverso operatori dedicati in grado di illustrate le offerte di lavoro e le modalità di presentazione delle candidature, e di redigere il Patto di Servizio Integrato in cui si delinea il profilo del lavoratore in base all’analisi della disabilità e alle sue propensioni lavorative ed è possibile individuare le reali possibilità di inserimento nel mercato del lavoro. Nel caso di disabilità di tipo psichico o psichiatrico, di certificazione ai sensi della legge 104/92, di particolare disagio sociale o familiare, l’utente che si è presentato a colloquio presso l’operatore del collocamento mirato viene segnalato al GICO o al GCP che impostano un lavoro specifico sul caso. Nei confronti degli utenti, e soprattutto delle famiglie, è poi anche necessario chiarire che non sempre l’accesso al lavoro può essere possibile: la rete con i servizi consente di individuare percorsi di integrazione, socializzazione e sviluppo della personalità che tuttavia non sempre contemplano l’ingresso nel mercato del lavoro, ma eventualmente reindirizzano verso altri servizi di presa in carico.

 

 

Risultati e ostacoli

Negli anni gli operatori del CpI hanno:

  • strutturato ed organizzato processi operativi, in base alle risorse e agli strumenti messi a disposizione dal Servizio all’Impiego;
  • costruito e strutturato la rete di rapporti con i Servizi territoriali: Servizio sociale, SERD, Consultorio, Cav, Caritas, Vittime di Tratta, Associazioni per i Rifugiati Politici, Servizio per i minori;
  • consolidato i rapporti con ASL e Comune;
  • costruito integrazione ed interazione con la rete dei Servizi territoriali, attraverso la creazione di buone prassi;
  • strutturato modalità di presa in carico dei soggetti e strumenti di monitoraggio degli stessi;
  • consentito accesso a offerte di riqualificazione professionale di volta in volta disponibili negli anni (dai voucher, al mismatch);
  • attivato progetti specifici: work exeperience, carta Ila, tirocini dedicati alle donne in uscita da percorsi di violenza;
  • strutturato contatti con le realtà aziendali territoriali, conosciute durante la verifica del percorso raggiunto dai soggetti avviati in Borse lavoro del Comune.

In generale, le realtà aziendali del territorio di Livorno hanno risposto sollecitamente e in modo collaborativo alle iniziative attivate, in particolar modo durante l’ultima esperienza a cavallo fra il 2018 e il 2019 relativa all’Avviso contributi e tirocini (DGR 423/18) dedicato alle donne in uscita da percorsi di violenza, dove sono stati attivati dieci tirocini tutti terminati positivamente, quattro avviamenti al lavoro con tempo determinato, e un avviamento a tempo indeterminato. Per quel che riguarda il collocamento mirato si sottolinea la positiva esperienza degli Avvisi rivolti alle aziende e ai datori di lavoro privati che prevedono incentivi per le assunzioni. In particolare l’avviso rivolto ai lavoratori con patologia di natura psichica ha permesso di avviare lavoratori con particolari fragilità attraverso assunzioni anche a tempo indeterminato.