Infermieri, Oss e altri: il governo delle competenze in sanità


Willem Tousijn | 11 Novembre 2024

L’articolo muove dall’osservazione che le recenti proposte di trasformazione delle figure professionali in sanità (revisione del profilo dell’OSS e creazione dell’assistente infermiere) si inseriscono in una lunga storia di cambiamenti che hanno investito molti paesi. Le cause di questi cambiamenti continui non possono essere comprese avendo riguardo soltanto alle carenze numeriche delle diverse figure professionali. Occorre considerare anche i processi di negoziazione della divisione del lavoro che avvengono quotidianamente nelle pratiche lavorative, sul posto di lavoro. Il focus del problema si sposta così dall’analisi dei fabbisogni per figure professionali al governo delle competenze nei luoghi di lavoro.

Ministero della Salute, Regioni e associazioni professionali sono tornati a discutere di divisione del lavoro sanitario. All’ordine del giorno c’è la revisione del profilo dell’OSS e la definizione di un nuovo profilo: l’assistente infermiere.

Non è sorprendente, e non è una novità. La storia del settore sanitario è piena di episodi in cui nascono nuove occupazioni, ed altre si trasformano o muoiono. E anche la geografia ci racconta che il mix delle occupazioni sanitarie cambia da un paese all’altro.

Se ci concentriamo sugli infermieri, in Italia, nel 1954 la professione infermieristica fu divisa in due: infermiere professionale ed infermiere generico. La distinzione fu regolata da un mansionario che elencava dettagliatamente quali compiti spettavano alle due occupazioni. Nel 1980, sull’onda unificatrice del movimento dei lavoratori degli anni Settanta, la figura dell’infermiere generico fu abolita. Ma passarono solo dieci anni e nel 1990 ecco comparire l’Operatore Tecnico dell’Assistenza (OTA), successivamente destinato a trasformarsi, nel 2001, nell’attuale Operatore Socio-Sanitario (OSS).

Cambiamenti così vorticosi non sono una prerogativa italiana. Nel Regno Unito già prima della seconda guerra mondiale comparvero le assistant nurses, e poi le le auxiliary nurses. Negli Stati Uniti fin dagli anni Trenta gli ospedali crearono la licensed practical nurse, una figura meno qualificata (solo un anno di formazione) rispetto alla Registered Nurse.

Cosa spiega questi cambiamenti? Il fattore che viene subito in mente, oggi, è la carenza del numero di infermieri (oltre che di altre figure professionali), carenza alla quale non si riesce a far fronte. Si tratta di un fenomeno che interessa non solo il nostro paese, ma tutti i paesi occidentali, e non da oggi. Il dibattito sui possibili rimedi è ampio e articolato, e investe un po’ tutti gli aspetti della formazione e della pratica di questa professione: dalla retribuzione al contenuto dei compiti, dai corsi anti-stress al lavoro di squadra, dagli asili-nido negli ospedali al cambio dei turni, dalle borse di studio ai robot1.

Questo dibattito è importante e utile, ma ha un difetto: ragiona per professioni. Quanti medici e quanti infermieri mancano? Quanti stanno per andare in pensione? Quanti laureati produce l’Università?

Prima di porsi queste domande, occorre porsene un’altra: chi fa che cosa, nel lavoro sanitario?  Chiunque conosca la realtà delle aziende sanitarie sa che l’attribuzione dei compiti alle persone è oggetto di un processo di negoziazione che si svolge a due livelli: a livello macro, dove agiscono la legislazione e le organizzazioni professionali, e a livello micro, sul posto di lavoro, nelle pratiche quotidiane dei singoli lavoratori. Di conseguenza, i confini tra le diverse figure professionali sono mobili2. Possono essere fissati dalla legislazione, dai regolamenti, dai mansionari, ma poi, nella pratica quotidiana, vengono modificati dagli attori. La divisione del lavoro tra le diverse figure professionali cambia da un’azienda sanitaria all’altra, da un reparto all’altro. Nei giorni festivi è diversa da quella nei giorni feriali, e di notte è diversa rispetto al giorno.

Occorre dunque prendere in considerazione le strategie degli attori, sia a livello collettivo (ordini, sindacati, associazioni professionali), sia a livello individuale (aspettative e esigenze del singolo lavoratore). Le organizzazioni professionali sono chiamate a scegliere gli obiettivi e le strategie per raggiungerli, tenendo conto del fatto che i singoli lavoratori, a loro volta, possono avere aspirazioni e preferenze diverse.

Il focus del dibattito deve essere spostato dall’analisi dei fabbisogni per gruppi professionali al governo delle competenze: gestire le competenze, là dove si trovano. Da questo punto di vista, non c’è dubbio che negli ultimi anni la professione infermieristica abbia compiuto molti passi in avanti, anzi, verso l’alto, acquisendo compiti più qualificati: le cosiddette “competenze avanzate”, il ruolo di infermiere di famiglia e comunità, alcune attività di diagnosi e prescrizione, la telecare, il lavoro d’equipe e altro.

Un’analoga spinta verso l’alto si registra tra gli OSS, con la creazione già nel 2003 di un percorso di formazione complementare in assistenza sanitaria, e oggi con la revisione del profilo professionale.

Qui ci imbattiamo in un punto essenziale: ogni movimento verso l’alto di un gruppo professionale lascia uno spazio libero verso il basso, un vero e proprio buco, che deve essere riempito da un altro gruppo professionale.

Ben vengano quindi nuove figure professionali e revisioni di figure già esistenti, ma senza la pretesa di rinchiudere in scatole formali una realtà che cambia continuamente ed è determinata, in gran parte, dalle strategie degli attori.

  1. De Vries N. et al., “Retaining healthcare workers: a systematic review of strategies for sustaining power in the workplace”, Healthcare, 11, 2023
  2. Tousijn W., Dimonte V., “I confini mobili delle professioni sanitarie”, Assistenza infermieristica e ricerca, 35, 2016