Invecchiamento attivo: un percorso da costruire
Andrea PrincipiGiovanni LamuraMarco Socci | 20 Giugno 2017
L’Invecchiamento Attivo
Il concetto di Invecchiamento Attivo (WHO, 2002; Walker e Maltby, 2012) è da diversi anni in agenda a livello europeo, perché considerato uno strumento utile per contribuire a risolvere a tutti i livelli alcune delle principali sfide legate all’invecchiamento della popolazione: società nel suo complesso, organizzazioni e singoli individui. Tra le molteplici ragioni per cui vale la pena promuovere l’invecchiamento attivo possiamo citare quella demografica (l’Europa sta invecchiando ed è sempre più longeva, e ciò è ancor più vero in Italia), aspetto a sua volta strettamente connesso anche a motivi di ordine economico (un numero sempre maggiore di persone in età anziana, se non “produttive” in qualche modo, peserebbe su un numero sempre minore di persone più giovani). Esistono inoltre ragioni culturali, in quanto, diversamente da quanto in parte poteva avvenire in passato, un numero crescente di anziani vuol oggi essere tutt’altro che inoperoso, ha anzi interessi di ogni genere ed è motivato a mantenersi in qualche modo partecipe e solidale (Schippers e Principi, 2014). Altro elemento di importanza non certo secondaria è quello dei benefici diretti per gli individui che invecchiano in maniera attiva, sia sociali che psicologici. Numerosi studi hanno sottolineato questi vantaggi, a livello di benessere psicologico, di qualità della vita e di inclusione sociale (Thoits e Hewitt, 2001; Silverstein e Parker, 2002; Ehlers, Naegele e Reichert, 2011). Gli aspetti positivi non si limitano a queste sfere, ma toccano anche quella della salute fisica, in termini di meno malattie e minor presenza di comorbidità (Li e Ferraro, 2006).
Non è difficile comprendere quanto i benefici sperimentati a livello individuale possano poi ripercuotersi positivamente anche sulla società nel suo complesso. Solo per fare due esempi, possiamo menzionare, da un lato, il prolungato apporto produttivo derivante dall’attività delle persone anziane, esercitata in molti modi diversi (sul mercato del lavoro, come volontariato, in forma di tutoring, etc.), e dall’altro, il contenimento della spesa per servizi socio-sanitari e consumo di farmaci, come conseguenza del loro minor utilizzo da parte di chi si spende nelle varie forme di invecchiamento attivo.
Dal momento che sembra ci siano vantaggi per tutte le parti in gioco, l’invecchiamento attivo è stato descritto come un concetto “win-win” (Morrow-Howell, 2010). Con l’assunzione del paradigma dell’invecchiamento attivo si supera infatti quella visione dell’età anziana che ancor oggi purtroppo viene talora riproposta come una fase passiva dell’esistenza, caratterizzata da bisogni di assistenza e marginalità sociale (Cumming e Henry, 1961), a favore di una visione della persona anziana come risorsa e protagonista della vita sociale (Walker, 2011). Da anni questo approccio è costantemente promosso a livello europeo, attraverso una serie di iniziative, di cui alcune milestones sono state la creazione del Partenariato Europeo per l’Innovazione sull’Invecchiamento Attivo e in Buona Salute nel 2011; la designazione del 2012 come anno europeo dell’invecchiamento attivo; lo sviluppo e il lancio, nello stesso anno, dell’Indice di Invecchiamento Attivo, voluto da Commissione Europea e Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE), al fine di poter misurare il livello di invecchiamento attivo in un dato contesto geografico in base a una serie di indicatori selezionati.
La situazione in Italia
Alla luce delle fondamenta teoriche sopra esposte, qual è la situazione in Italia? Esistono delle politiche operanti in tale direzione, a livello nazionale, regionale e locale? Partendo dalla considerazione che di promozione dell’invecchiamento attivo a livello internazionale ed europeo se ne parla ormai dagli inizi del 2000, e da almeno sei o sette anni con notevole energia, in Italia gli sforzi finora compiuti possono essere riassunti così: molto limitati a livello nazionale; rappresentati da pochi esempi virtuosi a livello regionale; e caratterizzati da una certa vivacità a livello locale, che risulta tuttavia di difficile mappatura.
Per quanto riguarda il livello nazionale, nel terzo rapporto del Ministero del Lavoro sullo stato dell’arte in merito all’implementazione del piano internazionale di Madrid circa le azioni sull’invecchiamento e relative strategie regionali di implementazione, in mancanza di azioni concrete evidenti, viene (per l’ennesima volta) genericamente sottolineato che questa implementazione è “al momento in via di definizione” (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2017). Tra le azioni più concrete a livello nazionale, vanno menzionate alcune proposte di legge sull’invecchiamento attivo, la più significativa delle quali risulta quella presentata nel gennaio 2016 con primo firmatario l’On. Patriarca (proposta n. 3538).
A livello regionale, politiche e interventi in tale ambito si sono concretizzati in diversi modi (inclusi, ad esempio, documenti programmatici). Uno studio INRCA (Principi et al., 2016) si è concentrato su una mappatura, analisi e valutazione delle leggi regionali (incluse le proposte di legge) in materia. Lo studio ha evidenziato che in sole quattro regioni italiane (Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Liguria e Umbria) è in vigore una legge che regoli l’invecchiamento attivo in maniera trasversale, prevedendo dunque interventi organici a tal fine. Tra le restanti 16 regioni, solo in cinque (Basilicata, Campania, Piemonte, Sardegna e Sicilia) esistono una o più proposte di legge con tali caratteristiche. Lo studio dell’INRCA ha avuto l’obiettivo principale di fornire una serie di indicazioni e raccomandazioni al legislatore regionale marchigiano, al fine di una possibile elaborazione ed applicazione di una legge regionale sull’invecchiamento attivo, dal momento che una legge sul tema, e con tali caratteristiche, attualmente nella Regione Marche non esiste.
Una recente conferenza nazionale in materia
E’ in accordo con questo obiettivo che il Centro Ricerche Economico-Sociali per l’Invecchiamento dell’INRCA ha organizzato l’11 maggio 2017, nella sede della Regione Marche ad Ancona, in collaborazione con la Commissione Europea e l’UNECE, una conferenza nazionale sull’invecchiamento attivo dal titolo “L’indice di invecchiamento attivo in Italia: utilizzo e implicazioni politiche”. Attraverso una serie di interventi, nella prima parte della conferenza ci si è concentrati sull’Indice di Invecchiamento Attivo, spiegando il perché e le finalità di questo strumento. Successivamente, basandosi sui risultati ottenuti impiegando l’indice, sono state fornite panoramiche comparative tra Paesi europei e, per il territorio nazionale italiano, tra regioni. Nella seconda parte della conferenza, dedicata alle politiche, dopo una discussione delle misure esistenti a livello nazionale, i rappresentanti delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Umbria, due delle regioni in cui una legge sul tema è in vigore, hanno descritto le loro esperienze in sede d’implementazione delle normative. In materia è quindi intervenuta la Regione Marche, che ha fatto proprie le raccomandazioni contenute nello studio dell’INRCA, lasciando ipotizzare che il governo regionale possa presto adoperarsi nell’avviare un percorso di adozione di una legge regionale ad hoc. Tale soluzione è stata auspicata anche dai vari stakeholders regionali intervenuti, che in tavola rotonda hanno affrontato il tema da diverse prospettive: dei medici di medicina generale, delle associazioni di volontariato, dei sindacati pensionati, di Confindustria e delle Università della Terza Età.
Osservazioni conclusive
Sono certamente molte le sfide poste dalla costruzione di un percorso verso questo fine. Una delle principali, come pure nel corso della conferenza si è avuto modo di verificare, riguarda la capacità di distanziare e separare i percorsi di invecchiamento attivo da quelli dedicati a finalità assistenziali. Testo e interventi delle leggi in materia dovrebbero essere infatti esplicitamente diretti all’“attivazione” della popolazione in età anziana, e quindi distinti dalle misure rivolte all’anziano non autosufficiente e bisognoso di assistenza, condizione cui vanno rivolti interventi normativi differenziati. Nella prospettiva dell’invecchiamento attivo, infatti, le diverse condizioni di salute vanno considerate al fine di riuscire a fornire anche ad individui in condizioni di salute non buone, delle valide opportunità di poter invecchiare in maniera attiva. Ciò implica anche la necessità di operare un ampliamento di prospettiva tra i professionisti medici e sanitari che, per background formativo e professionale, sono strutturalmente orientati verso la sola cura ed assistenza, e meno predisposti a far proprio il concetto di invecchiamento attivo e promuoverlo come strumento di prevenzione e promozione della salute. Per colmare questo gap sarà molto utile, se non necessario, prevedere percorsi formativi ad hoc rivolti anche alle professioni sanitarie, al fine di familiarizzare con questo concetto e con i relativi benefici.