La governance di sistema dopo il Reddito di Cittadinanza


Michelangelo Caiolfa | 29 Aprile 2019

Durante i confronti che hanno accompagnato l’iter di approvazione del Reddito di Cittadinanza è stato sollevato più volte il tema della governance. Di solito con questo termine si intende un processo di condivisione delle decisioni che viene contrapposto al concetto di ‘Government’, quest’ultimo riferito all’esercizio gerarchico di poteri legati a competenze singole e ben circoscritte entro le funzioni assegnate a un determinato soggetto decisionale. Con il termine governance, invece, si intende un più ampio sistema di relazioni e interazioni entro cui diversi soggetti decisionali individuano obiettivi comuni e pongono in essere azioni improntate alla cooperazione al fine di perseguire il quadro condiviso. Di solito la dimensione della governance viene affronta quando si trattano sistemi complessi che per loro stessa natura non ricadono completamente entro la sfera di un solo decisore, ma necessitano della costante e coerente interazione tra molti soggetti diversi. Probabilmente, quando un sistema di questo secondo tipo viene tematizzato, riconosciuto, stabilizzato, codificato e alimentato, allora è forse possibile parlare di un ‘sistema di governance’.

 

In alcune riflessioni scaturite attorno al Reddito di Cittadinanza il tema della governance è stato applicato sia a dinamiche operative (di livello centrale, regionale o locale) sia a dinamiche di governo, ma senza distinguerle a sufficienza tra loro:

  • Sistema per l’accesso alle misure.
  • Sistema per l’erogazione dei benefici economici.
  • Sistema per la valutazione multidisciplinare.
  • Sistema per l’attuazione dei programmi definiti nel Patto per il lavoro o nel Patto per l’inclusione.
  • Sistema di organizzazione degli enti locali nell’ambito territoriale e rapporto con la comunità locale.
  • Sistema di organizzazione della regione in rapporto con gli enti locali, con le parti sociali e le organizzazioni del terzo settore.
  • Sistema di organizzazione delle competenze tra gli organismi centrali dello stato, le regioni, gli enti locali, e rapporto con le parti sociali e le organizzazioni del terzo settore.

 

Il RdC è composto da cinque misure specifiche che attraversano orizzontalmente molte competenze di livello statale, poi vengono declinate secondo la ripartizione verticale dei poteri di governo regionale e locale, per arrivare infine ad incrociarsi con le reti territoriali. Questa complessità si riverbera interamente anche nel tema della governance che quindi deve essere necessariamente interpretata in una dimensione multilivello, e che andrebbe perlomeno distinta tra sistemi di tipo operativo e sistemi dedicati al governo. Per fare un po’ di chiarezza e cominciare a ricostruire la situazione dopo l’approvazione definitiva del RdC, è forse opportuno iniziare dal punto più alto della governance, quello dedicato al sistema nel suo insieme e alle sue interconnessioni con il complesso delle materie socioassistenziali.

 

La Legge 33/2017 e il Decreto Legislativo 147/2017

La legge-delega 33/2017 ‘Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali’ e il conseguente decreto legislativo 147/2017, hanno innovato profondamente la governance di livello nazionale per le materie sociali. Curiosamente tra le finalità della normativa conosciuta per il REI, è espressamente previsto un obiettivo che di solito viene molto meno evidenziato: ‘il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni, nell’ambito dei princìpi della L. 328/2000’. In effetti il Capo IV del D.Lgs. 147/2017 attua alcune misure di sistema della legge 328/2000 e le pone in una nuova ‘prospettiva costituzionale’.

  • La Rete della protezione e dell’inclusione sociale.

È l’organismo nazionale di coordinamento del sistema degli interventi e dei servizi sociali di cui alla legge n. 328/2000, presieduta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali ne fanno parte i rappresentanti di altri 5 ministeri, 20 componenti designati dalle regioni e 20 componenti designati tra le amministrazioni locali. Ha finalità ampie di indirizzo e coordinamento nella materia delle politiche sociali. Si articola in tavoli territoriali secondo gli accordi tra le Regioni e Ambiti territoriali, e si consulta ordinariamente con le parti sociali e le organizzative del terzo settore.

  • La Rete è responsabile dell’elaborazione di tre Piani nazionali:
    • Il Piano sociale nazionale, in riferimento al Fondo nazionale per le politiche sociali.
    • Il Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà, in riferimento al Fondo povertà.
    • Il Piano per la non autosufficienza, in riferimento al Fondo per le non autosufficienze.
  • All’organismo istituzionale della Rete è associato anche un organismo tecnico denominato ‘segreteria tecnica’, ne ripropone la stessa composizione e può organizzarsi in gruppi di lavoro tematici sotto il coordinamento delle strutture tecniche ministeriali.

La prospettiva costituzionale entro cui è stato operato il riordino disciplinato dalla Legge 33/2017 è sostanzialmente segnata dalla finalizzazione delle azioni di livello statale verso i Livelli Essenziali delle Prestazioni. Essendo questa la competenza in materia sociale del governo centrale, di conseguenza l’azione dei nuovi organismi e degli strumenti di pianificazione è circoscritta entro questo ambito. Paradossalmente è stata proprio questa sorta di ‘limitazione’ a generare la spinta centrale che ha avviato il processo di definizione dei Livelli essenziali anche nel sociale, dopo una lunghissima attesa di oltre 15 anni.

 

Il coordinamento tra il Piano sociale nazionale e il Piano per la lotta alla povertà

Se la Rete è il luogo deputato dalle norme nazionali per esercitare la governance generale del sistema, gli strumenti con cui viene attuata sono individuati nei tre piani nazionali. Dopo la riforma costituzionale del 2001 questo tipo di dispositivo non ha più una valenza di indirizzo generale sovraordinato ai piani regionali o locali, ma assume il valore di strumento di programmazione che regola il rapporto tra i fondi nazionali e i relativi livelli essenziali delle prestazioni o i relativi obiettivi di servizio. A tal fine i Piani individuano le priorità di finanziamento, l’articolazione delle risorse tra le diverse linee di intervento, nonché i flussi informativi e gli indicatori finalizzati a specificare le politiche finanziate e a determinare eventuali target quantitativi di riferimento.

 

Nel caso del Piano sociale nazionale i Livelli di assistenza sono intesi più come un percorso di convergenza verso obiettivi condivisi per garantire maggiore uniformità territoriale, che come contenuti da individuare immediatamente. Questo approccio è dovuto fondamentalmente dalla difficoltà che nascerebbe, allo stato attuale, nel coprire interamente il fabbisogno finanziario di Livelli quantificati ed estesi su tutto il territorio nazionale.

 

Il Piano varato lo scorso autunno è considerato quindi ‘un piano di transizione’ che abbandona gradualmente il trasferimento delle risorse del Fondo nazionale secondo l’assegnazione indivisa alle regioni, per avviarsi verso una programmazione basata in prospettiva sui Livelli Essenziali. Al momento il Fondo nazionale è destinato:

A) Per il 60% al finanziamento generale del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali.

    • Il riferimento generale resta quello introdotto nel 2013, la matrice degli obiettivi di servizio tra macrolivelli assistenziali e aree di intervento.
    • Un secondo vincolo riguarda il processo di presa in carico e il servizio sociale professionale e si collega esplicitamente con le misure contenute nel Piano per la lotta alla povertà: qualora ne emergesse la necessità, una parte delle risorse afferenti alla quota del 60% possono essere utilizzate per raggiungere il parametro di un assistente sociale ogni 5.000 abitanti.

B) Per il 40% al rafforzamento degli interventi e dei servizi nell’area dell’infanzia e dell’adolescenza.

    • Interventi di sostegno al contesto familiare in cui vivono bambini e ragazzi.
    • Interventi di sostegno ai contesti quotidiani di vita dei bambini e ragazzi.
    • Sistema di intervento per minorenni fuori dalla famiglia di origine.

 

Nel caso del Piano per la lotta alla povertà, invece, i riferimenti erano dei veri e propri LEP analiticamente normati nel decreto legislativo 147/2017:

    • L’erogazione del beneficio economico REI – LEP di erogazione.
    • Il processo di presa in carico e di valutazione per gli utenti REI – LEP di processo.
    • L’insieme dei sostegni ulteriori al beneficio economico definiti nel piano personalizzato per i nuclei familiari presi in carico – altri LEP di erogazione.
    • L’organizzazione delle reti dei servizi relativi alle materie coinvolte nel REI – LEP di sistema.

Pur essendo definite come LEP, in ogni caso queste attività non vengono erogate in modo indefinito ma sono condizionate dall’effettiva disponibilità delle risorse programmate.

 

Il Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale era lo strumento che programmava la destinazione del relativo Fondo, insieme a tanti altri fattori regolativi della ex misura REI. Attraverso questo dispositivo venivano definiti i contenuti e i parametri di riferimento per i diversi LEP prendendo come riferimento l’ambito territoriale e non il singolo comune (es. un assistente sociale dedicato alla povertà ogni 5.000 ab.; un punto di accesso ogni 40.000 ab.). Definire i contenuti effettivi e i parametri di riferimento in modo analitico è un passaggio fondamentale, forse quello maggiormente decisivo, per l’effettiva attivazione di un LEP.

 

Il Decreto-legge 4/2019 e la Legge di conversione 26/2019

Il Decreto-legge 4/2019 e la Legge di conversione 26/2019 intervengono in modo consistente anche sul D.Lgs. 147/2017 abrogandone interamente il Capo II ‘Misura nazionale unica di contrasto alla povertà’ che fa riferimento al REI. Sono mantenuti in vigore i soli articoli 5, 6, 7 e 10, anche se con profonde modificazioni; mentre tra gli articoli interamente abrogati è ricompreso l’art. 8 ‘Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale’ perché tratta i contenuti del piano mettendoli in relazione con la regolazione del REI.

Tra i diversi interventi sul D.Lgs. 147/2017, alcuni rivestono un’importanza particolare per la ricostruzione degli attuali assetti di governance:

  • 7, comma 3: viene sostituito il Piano regionale con un ‘atto di programmazione regionale, nel rispetto e nella valorizzazione delle modalità di confronto con le autonomie locali’.
  • 21, comma 10-bis: viene introdotto un comma interamente dedicato alla costituzione della Cabina di regia riferita al RdC, posta all’interno della Rete della protezione e dell’inclusione sociale. La Cabina aggiunge ai componenti della Rete anche i responsabili delle politiche del lavoro regionali, un rappresentante dell’Anpal e uno dell’Inps. La Cabina opera anche mediante articolazioni tecniche e consulta periodicamente le parti sociali e gli enti del terzo settore.
  • In alcuni passaggi pertinenti della L. 26/2019 è stato inoltre introdotto il riferimento ‘…ai comuni, che si coordinano a livello di ambito territoriale…’. Questa previsione riprende l’impostazione generale utilizzata per il REI che definiva gli ambiti territoriali come la dimensione adeguata per organizzare i percorsi di presa in carico e i programmi relativi alla quota servizi del Fondo Povertà.

Tuttavia l’aspetto più importante da sottolineare è che mentre l’articolo 8 del D.Lgs. 147/2017 è stato abrogato, il comma 6 dell’articolo 21 non è stato toccato in alcun modo. Resta dunque attuale la previsione di cui alla lettera b) che assegna alla Rete la responsabilità dell’elaborazione di ‘un Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà, quale strumento programmatico per l’utilizzo delle risorse della quota del Fondo Povertà di cui all’articolo 7, comma 2’. Il Fondo ora utilizzato per alimentare il Patto per l’inclusione.

 

Elementi di riflessione

Nell’ambito del Reddito di Cittadinanza, attraverso una forma di integrazione al minimo vitale (la cui entità è stata determinata in riferimento a una delle soglie di povertà relativa) vengono poi attivate due misure ulteriori: una lavoristica organizzata mediante il Patto per il lavoro, un’altra di promozione sociale organizzata attraverso il Patto per l’inclusione. Il sistema di governance dedicato in modo specifico al REI non poteva essere lasciato immutato, di conseguenza il legislatore nazionale è intervenuto con alcuni adeguamenti.

  1. Sono state abrogate le norme che definivano i contenuti del Piano per la lotta alla povertà in riferimento alla regolazione della misura REI, ora inglobata e superata dal Reddito di Cittadinanza, mentre resta ferma la previsione di un Piano di settore.
  2. È stato riconfigurato il riferimento interno alla Rete della protezione e dell’inclusione sociale attraverso la creazione della Cabina di regia, che ora integra anche i responsabili regionali delle politiche del lavoro.
  3. È stato introdotto un atto specifico di programmazione regionale.
  4. Sono stati riconfermati i riferimenti agli ambiti territoriali.

 

La Rete conserva interamente le prerogative previste nel 2017 e dovrà comunque lavorare sui tre strumenti nazionali di programmazione dedicati rispettivamente alle materie sociali, della non-autosufficienza e della povertà, anche se in questo ultimo caso il partenariato si allarga alle strutture centrali e regionali per il lavoro. Restano confermati i LEP già disciplinati dal D.Lgs. 147/2017 in riferimento al REI, e se ne aggiunge un altro finora del tutto inedito riferito al Patto per il lavoro.

 

Il luogo della governance di sistema resta dunque attivo, così come i suoi strumenti di programmazione, i fondi specifici e i riferimenti ai LEP o agli Obiettivi di servizio (che sono i tesori più preziosi prodotti da questa nuova stagione di riforme, malgrado questo passaggio sia largamente sottovalutato dalla maggior parte degli osservatori).

Più che una mancanza dei luoghi e degli strumenti per la governance di sistema, appare forse deficitaria la conoscenza e la consapevolezza di quello che è stato sviluppato negli ultimi due anni. La creazione della Rete e la sua connessione con la programmazione dei Fondi di settore relativi ai LEP o agli obiettivi di servizio di livello nazionale, appare un passaggio decisivo per l’intero complesso delle materie sociali. La connessione con la misura del RdC, per quanto si riferisce alla programmazione dei LEP legati al Patto per l’inclusione, è stata recuperata attraverso la previsione della Cabina di regia che anzi integra in modo strutturale le connessioni con le politiche per il lavoro (tanto evocate durante le esperienze di SIA e di REI).

 

A questo punto la vera questione è forse quella di capire se il complesso delle istituzioni chiamate a farne parte sa veramente come utilizzare uno strumento strategico per la governance di sistema di questo tipo. Se il complesso delle istituzioni è veramente consapevole di cosa si tratta, e di come può essere orientata la governance per qualificare e potenziare le politiche sociali nazionali nel loro complesso. Se il complesso delle istituzioni ha voglia veramente di entrare nella complessità recata da questo tipo di processi, e se è in grado di ripensare il modo con cui si esercitano le singole prerogative di governo in un contesto di governance plurale.

L’approccio di governance costringe a pensare e ad agire costantemente in modo multilaterale, perché nessuno dei protagonisti possiede la sfera completa dei poteri necessari per regolare un sistema complesso. E anche perché, almeno nel campo delle politiche sociali, le azioni di promozione verso l’autonomia difficilmente possono fare a meno di una comunità solidale. L’approccio di governance impone la capacità di stare in un sistema di interazioni che richiede sforzi continui di costruzione e di condivisione, resistendo alla tentazione di rifugiarsi nel semplice esercizio unilaterale delle singole competenze definite dalle norme. L’approccio di governance impone delle capacità e delle competenze che forse non sono cosi largamente diffuse nel nostro sistema attuale, e che poi dovrebbero essere replicate a livello regionale e locale avvicinandosi sempre di più alla dimensione operativa e comunitaria.