La pandemia nei servizi per la disabilità
Possibili scenari nel 2021
Maria Luisa PilanRosanna Taberna | 22 Marzo 2021
Ci avviciniamo al traguardo del primo anno trascorso col Covid-19 e la sensazione generalizzata è che non sia per nulla finita qui, che occorra superare la dimensione straordinaria per trovare un equilibrio ordinario di convivenza con i rischi di diffusione del contagio e che il vaccino potrà dare un grande aiuto, ma come dice l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) non conferirà un “certificato di libertà” e sarà necessario continuare ad adottare comportamenti corretti e misure di contenimento del rischio di infezione.
Il passaggio da un contesto emergenziale, straordinario, pandemico alla ricerca di un orizzonte di convivenza col Covid che introduca scenari di maggior continuità e normalità non può prescindere dal tener conto dell’esperienza vissuta in quest’ultimo anno, rivista e rielaborata con lo sguardo di chi ha diretto e riprogettato i servizi, coordinato e supportato gli operatori avendo come riferimenti le indicazioni normative da un lato ed i bisogni e desideri espressi dalle persone e dalla famiglie dall’altro.
Cosa abbiamo imparato in questo primo anno di pandemia?
La nostra riflessione si basa sull’esperienza in due realtà territoriali della provincia di Torino. Il primo aspetto pone in evidenza la confusione nella quale operatori e famiglie si sono trovati, disorientati di fronte alla possibile differente interpretazione delle norme, in tema di servizi per la disabilità, come l’apertura o chiusura dei servizi diurni, la possibilità di uscite per passeggiate senza comprendere bene in quali spazi e con quali accompagnatori, le deroghe all’uso di dispositivi individuali di protezione. Un quadro che forse conferma la forza delle associazioni di familiari, che si sono impegnate nell’immediato a chiedere comportamenti rispettosi e protettivi dei bisogni speciali dei loro congiunti e rende merito al governo di aver previsto opportune deroghe, tuttavia lo scenario operativo che ne è derivato è parso spesso confuso e discrezionalmente interpretabile, con servizi immediatamente chiusi ed altri che hanno proseguito l’accoglienza. In entrambe le tipologie, tuttavia, si è assistito alla ricerca urgente di modalità alternative per stare vicino alle famiglie e continuare il lavoro di cura delle persone con disabilità, utilizzando le modalità a distanza, veicolando la relazione attraverso il computer ed il cellulare.
Il secondo aspetto da mettere in rilievo è proprio l’effetto che le modalità a distanza hanno determinato, creando forte vicinanza tra operatori e famiglie e valorizzando la dimensione della domiciliarità, quale luogo protetto in cui svolgere attività educative, assistenziali, socializzanti. La mediazione tecnologica ha reso evidente il ruolo imprescindibile dei familiari, che sono diventati un anello strategico della filiera delle offerte educative. Familiari non solo più informati delle attività offerte ai propri congiunti, ma coinvolti in prima persona nello svolgimento di tali attività e ingaggiati nel ruolo di valutatori del livello di gradimento e compliance osservato.
La pandemia ha fatto esprimere con più forza il nucleo relazionale instaurato negli anni fra parenti ed équipe. Le famiglie più assenti hanno continuato a latitare, le famiglie conflittuali a trovare motivi per confliggere, le famiglie simbiotiche si sono “risucchiate” i figli per paura di vederli/controllarli di meno, mentre le famiglie più attente ed esigenti hanno offerte sorprese positive. Nei servizi residenziali, tutte le famiglie hanno accettato il patto di corresponsabilità per poter ricevere i loro figli in visita, sottoscrivendo l’impegno a rispettare le precauzioni seguite in comunità.
Alcune famiglie più attente hanno riconosciuto ed apprezzato gli sforzi degli operatori ed hanno stretto maggiormente l’alleanza offrendo aiuti svariati, come gli accompagnamenti dei propri figli, oppure il mettere a disposizione le proprie risorse specialistiche per evitare gli ospedali, o ancora una mamma ha offerto un pranzo delivery settimanale sapendo la difficoltà del servizio impegnato contemporaneamente su più attività necessarie. Si inserisce un nuovo linguaggio basato su “ascolto ed empatia”, ci si parla spesso e si condividono le difficoltà per trovare soluzioni insieme. Sembra la ricetta più vecchia del mondo, ma non è sempre facile da realizzare perché lo stress e la stanchezza sono tante.
Il terzo aspetto introduce una novità assoluta che stravolge gli standard strutturali previsti dalla Deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte n. 230/1997 e dal Decreto Ministeriale n. 308/2001. Il Covid richiede separazione netta tra positivi e negativi, ai quali si aggiunge la terza tipologia dei negativi sospetti: le strutture vengono riassegnate, due gruppi appartamento perdono temporaneamente la connotazione di tipologia A e B e diventano alloggio Covid e alloggio Covid-free, nella Residenza Assistenziale Flessibile la palestra e le sale limitrofe diventano accoglienza Covid, anche costruendo muri in cartongesso per separare nettamente tali zone da quelle utilizzate per attività Covid-free. Le destinazioni di uso dei vari locali evidenziano la carenza di luoghi dedicati in cui poter collocare le tute e le imbardature individuali, i sanibox, i dispositivi di protezione individuale.
Il quarto aspetto da mettere in luce riguarda proprio le equipe di lavoro, sottoposte a numerosi turn over, in particolare di OSS e infermieri professionali, figure professionali inserite nei circuiti sanitari, grazie agli improvvisi sblocchi di concorsi fermi da anni ed assunzioni in urgenza.
Infine, l’aspetto economico: se da un lato il Decreto Cura Italia ha salvaguardato le somme già stanziate e impegnate nei bilanci preventivi, permettendo alle ASL ed agli Enti gestori di destinare comunque quelle somme ai servizi per la disabilità, concordando con i Soggetti gestori modalità, attività e tempistiche, dall’altro è drammatica la necessità di fronteggiare le molte spese non incluse nelle rette, per l’acquisto dei dispositivi di protezione individuali, le misure di sicurezza, gli impegni orari maggiori per gruppi piccoli, gli accompagnamenti su mezzi con posti dimezzati, più recentemente i tamponi, i maggiori costi per operatori in trasferta o obbligati a pernottare in albergo.
Con quello che abbiamo imparato, come fronteggiamo il secondo anno?
In primo luogo ci mette in guardia dal rischio di sanitarizzazione e di perdita dei valori culturali che la disabilità ha conquistato nel tempo. Dopo quarant’anni di lavoro per combattere lo “stigma”, vedere alcuni documenti istituzionali dove si appaiano minori e disabili è scoraggiante, ma ancor di più lo è veder considerare tutta la popolazione con disabilità che vive in strutture residenziali come sensibile a contrarre il Covid in forma severa e quindi da medicalizzare in toto.
Il Ministero della Salute spiega “(…) persone disabili che costituiscono una fascia di popolazione particolarmente fragile e a maggior rischio di evoluzione grave se colpita da Covid-19. Per questo si sono rese necessarie misure particolarmente stringenti di prevenzione e controllo delle infezioni per tutelare la salute degli assistiti in queste strutture”. È chiaro che molte persone con disabilità ospitate nei servizi residenziali (soprattutto nelle Residenza Sanitarie Assistenziali e nelle Residenze Assistenziali Flessibili) hanno spesso un quadro clinico delicato che va garantito con attenzione, ma non tutti sono in queste condizioni, ci sono anche persone con disabilità sane che alle limitazioni a cui è sottoposta tutta la cittadinanza sommano un surplus per essere disabili.
Le limitazioni a usufruire delle strutture ospedaliere/ambulatoriali per sottoporsi a terapie/cure specialistiche/accertamenti diagnostici, ha comportato per i servizi residenziali (in particolare Comunità Alloggio, Gruppi Appartamento e Servizi di autonomia Abitativa) che usufruiscono come tutti i cittadini dei servizi sanitari territoriali, anche per visite di routine, (ad es. al servizio odontoiatrico dell’ospedale Mauriziano o al centro epilessia dell’ospedale Molinette ecc.), la ricerca quando possibile di alternative al fine di evitare l’isolamento e il test antigenico agli ospiti richiesto dalla normativa1.
Anche all’interno dei servizi residenziali si è stati sollecitati ad avere uno sguardo più sanitario, ad esempio è stato chiesto di intensificare il monitoraggio dei parametri, come rilevare la temperatura corporea due volte al giorno di routine (oltre a tutte le volte che si rientra in comunità dall’esterno). Le occasioni di isolamento si sono moltiplicate (ad es.: basta superare 37° di temperatura anche per una banale indigestione o andare ai Pronto Soccorso per una caduta) con indicibile sofferenza da parte degli ospiti e problemi organizzativi per le équipe.
Si potrà obiettare che nei servizi residenziali convivono persone con disabilità sane insieme a persone con disabilità che hanno invece problemi di salute e queste ultime vanno tutelate. Vero, ma come in tutte le famiglie. E non ci risulta che questi vincoli vengano richiesti a tutta la popolazione. È forte il rischio che l’interpretazione “disabilità = malattia” riprenda forza, che venga considerata un’entità patologica accessoria a prescindere, dimenticando quanto afferma la Convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità.
Un secondo insegnamento parte dall’adattamento degli operatori all’iperprotettività degli ospiti ed il relativo rischio di ripiegamento dei servizi al loro interno. Qui entra in gioco il fattore tempo. Se la pandemia dovesse protrarsi ancora a lungo è evidente che tutto il lavoro svolto per far abitare l’”intorno” il più possibile agli ospiti e aprire i servizi al territorio rischia di essere annullato.
Per quanto la capacità di adattamento mostrata sino ad ora dagli operatori sia ammirevole, con creatività e fantasia si sono inventati di tutto per provare ad attenuare i disagi agli ospiti e ai loro familiari in questo frangente, l’ultimo DPCM all’art. 1 “Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale” continua a riproporre lo stesso refrain “(…) sono consentiti esclusivamente gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute”. In altre parole state a casa il più possibile.
Allora gli operatori trovano strategie per gestire le fatiche aggiuntive che il Covid ha determinato, come dover intrattenere costantemente gli ospiti, privati dei propri impegni esterni, svolgere le mansioni gestionali del servizio, rispettare l’iperattività burocratica compilando svariati registri, autocertificazioni, ecc.. Strategie che in parte tengono fermo il timone sul fare ciò che si può senza colpevolizzarsi per ciò che non si può ed in parte tracciano uno slalom impegnativo tra i tanti divieti per individuare le possibilità e, soprattutto, per coniugare sicurezza e “spazi di normalità”.
Nel secondo anno sarà inevitabile raddrizzare il timone sulla riprogettazione sul e nel territorio, cogliendo ogni occasione consentita per uscire in sicurezza dove possibile, anche con l’alleanza delle famiglie, che stanno soffrendo in modo paritario nel vedere i figli “rinchiusi” a lungo nelle comunità.
Il territorio deve diventare nuovamente il naturale luogo di vita, soprattutto per le persone che già stavano sperimentando una vita attiva nella comunità territoriale. Ci riferiamo al target di persone con buone autonomie, non tali da garantire l’accesso al lavoro, ma in grado di abitare nei Gruppi Appartamento, con il supporto di operatori solo per particolari necessità o fasce orarie e molte attività esterne individuali ed in contesti gruppali e partecipati. Questo target è stato particolarmente penalizzato dalla pandemia: alcune attività sono state ripristinate con le dovute attenzioni e rimodulazioni, come andare a scuola, frequentare il centro diurno, fare attività motoria nei parchi e nei circoli sportivi, andare a trovare le famiglie, in alcune zone andare in un bar a prendere un caffè e visitare i musei. Altre sono sospese: uso di palestre, piscine, i PASS2, le attività/laboratori condotti da associazioni, circoli, case del quartiere.
Un’esperienza concreta di questo sforzo di ritorno alla vita inclusiva è rappresentata dal progetto LAB-IN, promosso dal CAD3 “Clorofilla” dalla Cooperativa Sociale “Il Sogno di una cosa” a favore degli ospiti dei servizi residenziali del polo di Torino. LAB-IN propone due modalità: una modalità porta l’attività di laboratorio (conduttore, materiali, attrezzature) in comunità; la seconda modalità offre l’attività di laboratorio presso il CAD in orario extra funzionamento (fascia tardo pomeridiana). In quest’ultimo caso gli operatori dei servizi residenziali si occupano dell’accompagnamento con propri automezzi. Il concetto è che il CAD è un prolungamento della comunità, garantisce la stessa sicurezza.
Diventa cruciale per il successo di tali iniziative il fattore accompagnamenti, un fattore che necessita di investimenti dedicati e aggiuntivi, comprendenti le spese per le ore lavorative aggiuntive e per il funzionamento dei mezzi.
Da qui deriva l’ultima riflessione che condizionerà pesantemente il secondo anno: il fattore economico. Nell’ipotesi che si continui a mantenere la spesa storica con importi delle rette individuali approvate in sede di gara per l’affidamento o la concessione del servizio, occorre prevedere l’integrazione di tali rette per fronteggiare le spese aggiuntive che il Covid determina: i dispositivi di protezione individuali, le sanificazioni, i tamponi, le modifiche strutturali ed organizzative per gestire piccoli gruppi omogenei, le attività interne ed esterne con un numero di operatori maggiori, il raddoppio dei servizi di trasporti per i posti disponibili dimezzati, ecc.. Il pensiero va al Recovery Plan ed alle sue possibilità di supportare concretamente servizi che, nonostante la pandemia, non hanno mai cessato di funzionare e spesso sono stati gli unici interlocutori di famiglie fragili ed isolate. La chiarezza di fondo, coerentemente con quanto espresso nel presente contributo, deve però essere che la destinazione d’uso di eventuali risorse integrative deve essere il territorio, la vita inclusiva, la ricerca di normalità, il contrasto della sanitarizzazione, il supporto delle persone con disabilità quali cittadini.
- Linee di indirizzo della Giunta Regionale del Piemonte: Allegato A, DGR n. 2 -1821 del 05/08/2020 e Allegato A, DGR n. 1 – 2253 del 11/11/2020.
- I PASS, ovvero i -Progetti di Attivazione sociale e sostenibile- rappresentano opportunità di promozione dell’autonomia personale e di valorizzazione delle capacità delle persone che, pur presentando condizioni psico-fisiche tali da non consentire loro di raggiungere i requisiti minimi per un effettivo inserimento nel mondo del lavoro, possono acquisire benefici da attività socializzanti svolte anche in ambienti lavorativi. Prevedono lo svolgimento di attività varie in contesti di vita quotidiana o in ambienti di servizio, collocati anche in ambito lavorativo.
- Il Centro Addestramento Disabili (CAD), previsto dalla DGR 230/1997, propone attività con finalità socio-pedagogiche, socio-riabilitative, socio-educative e di potenziamento delle attitudini alla produttività sociale, inserite in rete con interventi pluridisciplinari di altri enti e istituzioni.