La programmazione sociale di zona a vent’anni dalla 328


I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social Policies: questo articolo è la sintesi di un contributo uscito sul numero 3/2020 della rivista, con il titolo “Le trasformazioni del sistema di welfare locale osservate dal monitoraggio sulla programmazione sociale di zona”. Il contributo è parte del focus “Servizi sociali e diseguaglianze territoriali. A vent’anni dalla legge quadro 328/00”, otto contributi che, a partire da approcci disciplinari e fuochi tematici diversi, discutono due decenni di implementazione della legge 328/00.

 

La nascita e lo sviluppo dei sistemi locali di welfare, nel rispetto del principio di sussidiarietà e del decentramento di funzioni alle Regioni e agli Enti locali, rappresentano i punti cardine su cui ha puntato sin dalla sua emanazione la legge quadro 328/00. L’Ambito sociale, in questo contesto, rappresenta uno dei soggetti istituzionali caratterizzanti la messa a regime della legge quadro e il piano sociale di zona (PdZ), quale strumento di programmazione a disposizione degli Ambiti stessi, ha assunto un’importanza strategica nel processo di governance territoriale. Inoltre, negli ultimi anni, grazie al ruolo cucitogli addosso dal policy maker nell’attuazione delle misure di contrasto alla povertà (dal Sostegno per l’inclusione attiva, al Reddito di cittadinanza, passando per il Reddito di inclusione), l’Ambito sociale si vede attribuito un ruolo di assoluta rilevanza, anche nella complessa funzione di garantire un’offerta integrata di servizi intesa come livello essenziale delle prestazioni.

In questo contributo si pone l’attenzione su alcune dimensioni dell’evoluzione di sistemi di welfare restituendo in forma aggregata (nazionale e/o regionale dove possibile) evidenze empiriche emerse da tre edizioni di monitoraggio sulla programmazione sociale di zona realizzate da Inapp (ex Isfol) nel periodo compreso tra il 2007 e il 2017. Tale attività di monitoraggio ha la peculiarità di essere una delle poche esperienze di questo genere nel panorama nazionale, garantendo una copertura variabile tra il 50 e il 70 per cento degli ambiti sociali censiti a seconda degli anni.

 

Raccontare il «punto di vista» degli ambiti sociali, rappresenta una prospettiva di analisi importante per analizzare le evoluzioni di alcune dimensioni nell’ambito della pianificazione sociale, tenendo in considerazione due aspetti: l’attenzione al livello territoriale/locale inteso come spazio essenziale per comprendere i processi di cambiamento delle politiche sociali e di inclusione in atto (Barca 2009; Kazepov 2010); la necessità di sviluppare azioni di monitoraggio come prerequisito essenziale per l’analisi dell’attuazione delle politiche pubbliche (Trivellato 2009).

Obiettivo comune alle tre indagini è l’analisi del modello di governance locale come strumento di integrazione tra i vari soggetti competenti e i diversi sistemi e servizi. In particolare, si considerano i principali caratteri organizzativi assunti dagli ambiti, il funzionamento degli Uffici di piano (UdP); l’analisi dell’offerta e della domanda di servizi; il grado di collaborazione tra i servizi territoriali e le forme di gestione associata dei servizi; il sistema di finanziamento per la sostenibilità degli interventi programmati.

 

La struttura e l’organizzazione degli Uffici di Piano consentono di analizzare importanti aspetti di operatività del processo di formulazione e attuazione del Piano di Zona (Cataldi e Girotti 2012): le caratteristiche della sua attivazione, come struttura tecnica di supporto al coordinamento di Ambito, rappresentano, infatti, importanti elementi per cogliere condizioni di efficacia per il processo programmatorio locale. La costituzione di un UdP, in concreto, può considerarsi una proxy sul territorio della volontà e dell’investimento effettuato dai diversi contesti di integrare punti di vista diversi.

Dal punto di vista della composizione dello staff, nelle annualità considerate, gli assistenti sociali e le figure amministrative rappresentano i profili prevalenti, pesando circa due terzi nella composizione media degli uffici. Residuale sembra invece essere la presenza di figure quali psicologi, educatori e sociologi, aspetto che riveste un’importanza non secondaria considerate le funzioni dell’UdP.

La funzionalità dell’UdP è influenzata anche dalla congruità della composizione dell’ufficio rispetto alle proprie attività: nel 2017, quasi la metà degli Ambiti intervistati indicavano come la composizione fosse inadeguata, indicando la necessità di maggiori risorse umane rispetto alla quantità di lavoro da svolgere quale motivazione prevalente nel determinare la non congruità.

Dalle indagini, inoltre, emerge una forte e generalizzata necessità di migliorare il livello di integrazione con le diverse aree che coinvolgono la pianificazione sociale (sanitario, lavoro-occupazione, abitativo, istruzione e formazione, giudiziario-sicurezza). Di fatto, l’integrazione sembra essere più stabile e strutturata solo con il settore sanitario (protocolli integrati di intervento nel 30% dei casi e costituzione di equipe multidisciplinari per oltre il 40% dei rispondenti), mentre negli altri casi, se presente, la relazione si basa prevalentemente sulla condivisione di informazioni attraverso riunioni di coordinamento. Il focus di indagine sulla gestione associata, questione complessa che negli ultimi due decenni ha vissuto continue modifiche normative (Prima Commissione permanente Camera dei deputati 2016), mette in evidenza come questa, secondo i rispondenti, abbia avuto degli effetti positivi in termini di efficienza, valorizzazione delle risorse umane e qualità dei servizi (effetti percepiti nel 2017 da oltre il 70% dei partecipanti all’indagine).

 

Il sistema di finanziamento delle politiche sociali, previsto dalla legge quadro (art. 4) e interessato anch’esso da numerose trasformazioni, viene declinato a livello di ambito sociale attraverso una logica plurifondo che include fonti di provenienza comunitaria, nazionale e regionale/locale e private (ad esempio, fondazioni). La struttura nella distribuzione delle risorse è piuttosto diversificata a livello territoriale ma appare evidente come negli anni vi sia stato un ricorso sempre maggiore a risorse di derivazione comunitaria (variazione dal 18% al 60% dei casi tra 2013 e 2017) adottate nell’ambito di programmi operativi nazionali e/o regionali (PON, POR, PAC). Il ruolo dell’ambito sociale, vale la pena sottolinearlo, è stato spesso quello di beneficiario di tali risorse, con evidente sforzo in termini di (ulteriori) complessità gestionali.

 

Gli ambiti sociali, pur con modalità differenti a seconda dei contesti territoriali, hanno tuttavia dimostrato in questi anni una propria capacità di adattamento organizzativo a condizioni istituzionali in repentino e continuo mutamento, dimostrando di possedere quella che potremmo definire una propria resilienza istituzionale. Mutamenti nella dotazione di risorse economiche a disposizione, delle normative nazionali/locali di riferimento, nuovi ruoli da impersonare/imparare, la diversificazione e l’emergere di nuovi bisogni sociali hanno richiesto, infatti, un rimodellamento istituzionale e organizzativo perpetuo. Tutto ciò ha esposto gli ambiti sociali a uno stress-test normativo e organizzativo, generando un notevole sforzo di interpretazione delle nuove regole del gioco. La recente emergenza sanitaria e sociale ha evidentemente messo ancora più alla prova i diversi sistemi di welfare locale e, dunque, il lavoro quotidiano degli ambiti: la strutturazione di un’attività di monitoraggio nazionale che segua negli anni le dimensioni principali della pianificazione sociale a livello di ambito sembra allora quantomai necessaria. Ciò anche al fine di riuscire a garantire la realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni nonostante la frammentazione territoriale a livello inter-regionale e infra-regionale.