La riapertura delle scuole in Italia e in Europa
Il progetto ScuolaCovid19
Carlotta CaciagliMarta Cordini | 7 Settembre 2020
Che cosa è successo alla scuola in Italia e negli altri paesi europei nella situazione inedita creata dalla pandemia? Quali decisioni sono state prese per la riapertura e attraverso quali procedure? Che tipi di approcci sono stati adottati e in cosa sono diversi da quello italiano? Queste sono le domande che hanno ispirato il sito www.scuolaCovid19.eu, nato da una collaborazione, ma soprattutto dal dialogo, tra il Laboratorio di Politiche Sociali del DAStU del Politecnico di Milano e il Comune di Milano.
Il sito riassume e mette a confronto le misure applicate per la ripresa delle attività scolastiche in sette diversi paesi Europei: Italia, Spagna, Francia, Belgio, Regno Unito, Germania e Norvegia, facendo riferimento ai documenti ufficiali e rendendoli disponibili per chi volesse approfondire. Sebbene siano presi in considerazioni tutti i gradi, il sito si focalizza soprattutto sui servizi per l’infanzia e sulle scuole primarie.
Nell’analisi proposta dal sito i documenti dei diversi paesi vengono spacchettati secondo le dimensioni che sembrano costituire un fil rouge tra tutti i contesti nazionali: la questione dello spazio, del tempo, della formazione, comunicazione e informazione e delle pratiche e dei comportamenti.
È intorno a queste quattro dimensioni che le misure proposte cercano di ridisegnare una quotidianità all’interno delle realtà scolastiche che possa rappresentare una nuova normalità, in relazione sia al diritto all’istruzione sia al diritto alla salute. Questo articolo presenta una prima riflessione su ciò che emerge dalla comparazione. Accanto a molte similitudini, si evidenziano anche delle forti differenze, non tanto nelle misure di per sé, quanto nella dimensione comunicativa e informativa e nelle tempistiche. Queste differenze ci dicono molto su come il ruolo sociale della scuola vari da paese a paese. Dal confronto l’educazione nel nostro paese appare ancora una volta come “La Cenerentola del Welfare” come hanno sottolineato già Gianni Garena e Luciano Tosco nel loro articolo del 5 Agosto.
I tempi delle riaperture
Dalla comparazione nasce subito spontanea una considerazione riguardo alle tempistiche. L’Italia è stata la prima a chiudere le scuole a causa della pandemia (9 marzo), e anche tra le ultime a riaprirle (7 settembre per nidi e infanzia, 14 settembre per gli altri ordini di scuola). Per le famiglie il periodo più complicato in termini di gestione è stato quello dopo il lockdown, quando moltissime attività hanno ripreso a funzionare ad esclusione delle scuole, rendendo particolarmente difficile la cura e l’educazione. Chi ha figli molto piccoli, ma anche chi ha figli già grandi e parzialmente autonomi, ha affrontato diverse difficoltà, soprattutto non avendo necessariamente gli spazi domestici o gli strumenti tecnologici tali da poter garantire lo svolgimento delle attività di didattica a distanza in modo sereno e appropriato.
A differenza dell’Italia, gli altri paesi hanno decisamente reagito prima e messo la scuola al centro delle riaperture.
La Francia, che ha chiuso le scuole il 16 marzo, ha promosso delle riaperture graduali, fino a riaccogliere tutti gli studenti dal 14 giugno, nonostante la scuola terminasse da calendario dopo sole due settimane. Dal 4 aprile, in Germania, i länder hanno avuto l’autorizzazione per procedere alla riapertura. Per di più, per alcune fasce di popolazione considerate più vulnerabili al lockdown la scuola non ha mai chiuso del tutto. Anche in Norvegia le scuole non hanno mai chiuso per i figli dei lavoratori indispensabili e hanno ripreso ad accogliere tutti dal 20 aprile, ad esclusione delle scuole superiori. Stesso principio per il Regno Unito che oltre a non chiudere ai figli di lavoratori indispensabili ha tenute le porte delle scuole aperte per coloro che sono stati considerati soggetti vulnerabili per ragioni socio-economiche. Dai primi di giugno nidi, asili e il primo e l’ultimo anno delle primarie hanno riaperto per alcune categorie e dal 16 giugno per tutti, mentre le secondarie apriranno a settembre. La Spagna, infine, ha visto alcune comunità autonome riaprire nel mese di maggio, anche se la maggior parte ha protratto la chiusura fino alla fine dell’estate.
I tempi della politica
Una seconda osservazione riguarda le tempistiche della regolazione rispetto a come riaprire. I tempi delle riaperture sono ovviamente legati alla disponibilità di linee guida che indichino alle scuole le modalità con cui il servizio si svolgerà per garantire il diritto alla salute, insieme a quello all’educazione. Anche in questo caso, l’Italia si distingue per un ritardo rilevante rispetto agli altri paese europei. Del resto, il silenzio sulle scuole è stato assordante fino all’inizio dell’estate. Il primo documento ufficiale contenente delle linee guida vede la luce il 26 giugno, seguito il 3 agosto da uno dedicato a nidi e infanzia e il 21 agosto da un documento del Ministero della Salute che spiega come agire in caso si manifestino casi e focolai. Quest’ultimo documento dà maggiore rilevanza alla sensibilizzazione, la formazione e la comunicazione.
Il Belgio aveva emesso la prima circolare con le linee guida il 25 aprile e il 27 maggio una seconda circolare con cui venivano allentate o riviste alcune delle misure precedentemente prese. Anche in Norvegia troviamo un primo documento a fine aprile ed un successivo aggiornamento a fine maggio. A metà maggio esce in Francia il protocollo sanitario e il 21 luglio una guida per il rientro a scuola a settembre.
Alcuni paesi, in particolare Francia e Norvegia, negli ultimi documenti emessi hanno previsto diversi scenari ed il conseguente alleggerimento o inasprimento delle misure di contenimento del contagio. La Francia prevede due scenari, mentre la Norvegia, tramite la figura del semaforo, ipotizza tre livelli di gravità cui fanno seguito tre diversi set di misure. Questo tipo di approccio è particolarmente efficace nel fugare, almeno parzialmente, la sensazione di incertezza condivisa dai lavoratori del settore e dalle famiglie, dando delle indicazioni su come agire in caso di un innalzamento improvviso dei contagi. I ritardi della politica non solo hanno lasciato le famiglie e gli operatori italiani nell’incertezza, ma hanno anche avuto delle conseguenze pratiche di non poco rilievo legate alle tempistiche dell’anno scolastico: nell’ultimo documento, per esempio, è prevista la figura del referente Covid19 che dovrà essere individuato e opportunamente formato. La formazione ad hoc sarà però accessibile solo dal 28 Agosto e fino al 31 Dicembre 2020, in tempi risicati se si pensa che l’inizio delle attività dei nidi e delle scuole dell’infanzia è previsto per il 7 di settembre e per gli altri gradi il 14.
Un generale allineamento sulle misure
Al netto delle differenze rispetto alle tempistiche di provvedimenti e riaperture, le misure specifiche contenute nei documenti tendono ad essere piuttosto simili. Le differenze maggiori sono legate alle caratteristiche strutturali dei sistemi educativi, esistenti già prima della pandemia. Lo spazio e il tempo diventano le due dimensioni intorno alle quali ripensare le pratiche quotidiane, le routines, le attività educative e di svago. In quasi tutti i paesi appaiono segnaletiche per la circolazione, dispositivi di sanificazione, mobili che fanno da muri o da barriere per creare ulteriori spazi, ingressi ed uscite divise. Scompaiono invece i grandi spazi di condivisione, gli oggetti comuni, le mense. Lo spazio deve essere areato, facile da pulire, destinato ad accogliere sempre gli stessi gruppi, possibilmente di numeri ridotti. Il tempo è concepito a scaglioni: ingressi ed uscite scaglionati, negli scenari più preoccupanti è prevista la frequenza in giorni alternati. Il concetto di gruppo o bolla o coorte è condiviso da tutti i paesi: le classi saranno dei gruppi chiusi, con contatti nulli o ridottissimi con le altre classi, anche, ove possibile, tra gli insegnanti. Il distanziamento quindi non è tanto fra un alunno e un altro, quanto fra classi.
Per quanto riguarda la grandezza delle classi, Gran Bretagna e Spagna prevedono un massimo di 15 studenti per classe (per le primarie), la Francia 20 (e parla anche di 4 metri quadri per alunno), la Norvegia 9 per i nidi e 18 per le scuole (da ridurre ulteriormente in caso la pandemia dovesse aggravarsi). La Germania invece non indica un numero specifico ma la necessità di garantire 1,5 metri di distanza. In Italia non si indica un numero o un rapporto preciso e per le secondarie si raccomanda il distanziamento di 1,5 metri. A pochi giorni dalla riapertura sembra che le classi saranno composte dal solito numero di alunni e che si cercherà di limitare il contatto tra i diversi gruppi.
Infine, un tratto in comune tra tutti i paesi è la presa di coscienza del ruolo centrale che gioca nel contenimento del contagio una efficiente rete territoriale attorno alla scuola. La collaborazione tra le collettività territoriali è particolarmente valorizzata dai documenti francesi e belgi. In Germania vi è stata una particolare attenzione al tema della mobilità, per cui le scuole e i trasporti hanno collaborato per garantire ingressi ed uscite scaglionati. Nel caso italiano questa dimensione trova una sua legittimità nel Patto di Comunità che, per come è concepito, rischia però di non mettere a frutto l’effettivo potenziale del territorio e di creare una “comunità monca”, come ha sottolineato Sara De Carli nel suo articolo per Vita.
La comunicazione
La rassegna e la lettura dei documenti, dei protocolli e delle linee guida dei vari paesi europei ha messo in luce una diversità significativa nelle modalità con cui le misure sono state comunicate, che ricalca le differenze dei diversi sistemi scolastici e della concezione stessa di educazione nei vari contesti nazionali. I documenti norvegesi sono molto schematici e altamente fruibili, resi disponibili online dal Ministero dell’Educazione per i diversi gradi e ricchi di link di approfondimento in base alle tematiche (campi estivi, alunni con bisogni speciali, educazione fisica, pasti). I documenti più rilevanti sono disponibili anche in inglese. Anche il Regno Unito ha adottato un approccio simile. L’Italia si avvicina invece maggiormente al sistema francese, vale a dire che la comunicazione delle misure è affidata a documenti scaricabili da siti istituzionali (non sempre gli stessi), che risultano strutturati come dei rapporti, composti quindi da capitoli, paragrafi e sotto paragrafi, assomigliando a dei veri e propri documenti di lavoro, piuttosto che a degli strumenti di divulgazione e informazione. In Francia l’onere della comunicazione e dell’informazione alle famiglie è lasciato ai dirigenti delle scuole (ed eventualmente al corpo docente), incaricati di contattare personalmente le famiglie e spiegar loro quali sono le condizioni del rientro. In Belgio, le circolari stesse iniziano con alcune informazioni relative allo stato della pandemia e alle ultime evidenze scientifiche, sottolineano la necessità di divulgare queste ultime alle famiglie, anche perché legittimano le misure stabilite: l’accento in particolare è posto sulla scarsa incidenza del virus tra i bambini, ma anche sul fatto che non vi sono prove che questi siano il principale motore del contagio, mettendo al contempo in luce gli effetti negativi sullo sviluppo emotivo e cognitivo della mancata scolarizzazione. Nell’ultimo documento emesso in Italia il 21 Agosto 2020 l’attenzione riservata alla sensibilizzazione e all’informazione occupa uno spazio decisamente più rilevante rispetto ai primi due, tuttavia rimane vago chi sia responsabile di tale operazione e quali siano i mezzi addottati. Vi è un riferimento molto generico a documenti scaricabili dal sito del Ministero della Salute, ma non ancora disponibili. Alla poca e frammentata informazione rivolta quindi ad operatori e, soprattutto, alle famiglie si vanno a sommare dei tempi risicati creati da condizioni contingenti che, se si possono definire inediti, a sei mesi di distanza dalla chiusura della scuola non si possono però più considerare emergenziali.
Cosa trarre dal confronto?
Da marzo ad oggi si è passati da un silenzio assordante sul tema scuola a un dibattito dai toni sempre più accesi ma dai contenuti spesso poveri. Molte famiglie, moltissimi addetti ai lavori e vari network di esperti, come l’Alleanza per l’Infanzia e il Forum delle Disuguaglianze, hanno denunciato come la mancanza di attenzione alla scuola fosse il segno di un malessere profondo della nostra società, incapace di investire sul futuro, orientata al breve termine, disinteressata alla famiglia e legata a vecchie rappresentazioni di genere. Diversi articoli hanno sottolineato tutti questi temi. Uno sguardo al di fuori dei confini nazionali può rimettere in prospettiva quello che è apparso essere un fallimento su tutta la linea. La comparazione che propone il sito www.ScuolaCovid19, vuole essere uno strumento non solo per accompagnare la scuola, gli studiosi e chi ci lavora in questa nuova sfida, ma anche per promuovere una riflessione più ampia sul ruolo che la scuola ricopre nel nostro paese. Da una prima analisi emerge che c’è un allineamento fra i vari paesi rispetto alle effettive misure e all’ autonomia lasciata alle realtà locali: in generale, in tutti i paesi le scuole hanno goduto di ampia autonomia. Tuttavia, i tempi di reazione e le modalità di comunicazione da parte della politica hanno distinto il nostro paese in maniera fortemente negativa: i provvedimenti sono stati e sono tutt’ora comunicati in extremis, a senso unico e spesso senza operazioni concertative a monte. L’ampio margine di libertà lasciato alle scuole e il pochissimo tempo per organizzarsi ha gettato queste ultime nello sconforto e nella confusione. I documenti italiani sono in realtà molto dettagliati nelle parti introduttive nel definire l’importanza dei servizi per l’infanzia e della scuola nel combattere l’esclusione, la povertà educativa e nel favorire la conciliazione, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la parità di genere, ma risultano documenti poco operativi per chi nella scuola lavora e per chi la frequenta quotidianamente. Le modalità di comunicazione, spesso complicate, frammentate e difficilmente accessibili, se non in maniera indiretta, hanno creato fraintendimenti e aperto margini di discrezione molto ampi. Il rischio è che a fronte di queste carenze, si potranno mettere in atto misure solo parziali.