La ricerca come competenza nel lavoro sociale e nel volontariato

Un’esperienza di formazione


Su quale terreno si sono incontrati Volontariato e Dipartimento universitario?

Nell’ottica della collaborazione, già da tempo, le Università e le organizzazioni del Terzo Settore interagiscono per la costruzione di percorsi formativi che possano servire a rispondere ai bisogni delle professioni sociali, degli operatori sociali impiegati nei servizi, nelle agenzie educative o che svolgono attività di volontariato. Il punto di partenza è che “chi ha le mani in pasta” sempre più si trova a vivere, nel proprio quotidiano lavorativo, esperienze di stress correlato all’aumento del numero di situazioni difficili da fronteggiare, con tempi di risposta sempre più veloci e frenetici accompagnati a condizioni, spesso, di sottorganico. Questa cornice interessa coloro che operano nei servizi pubblici, nel privato sociale ma, vale anche nel caso di esperienze di volontariato in cui le persone disponibili a “fare servizio” si coinvolgono in percorsi di volontariato in modi e tempi diversi rispetto a quelli tradizionalmente intesi. Ambrosini parla, a questo proposito, di “volontariato postmoderno”1.

L’esperienza della formazione permette di aprire spazi di riflessione e di cambiamento limitando il rischio di autoreferenzialità ma anche di chiusura su risposte emergenziali e di corto respiro. Ma quale tipo di formazione può essere utile nel contesto del lavoro sociale? Che tipo di setting è opportuno proporre? E quali abilità è utile supportare in termini di promozione del cambiamento e dell’empowerment delle persone?    

A partire da queste domande, che non sono di per sé nuove, si intende aggiungere un ulteriore tassello alla riflessione sul tema. Ci chiediamo, infatti, in riferimento ad una esperienza specifica e situata che riteniamo interessante per alcuni aspetti, quali possono essere le condizioni che possono facilitare il dialogo tra i dipartimenti universitari e gli enti del territorio nell’ottica della responsabilità sociale.

Questo articolo prova a contribuire a questa discussione.

L’obiettivo è quello di ragionare su percorsi condivisi in cui le diverse domande possano trovare una possibile risposta nella contaminazione tra conoscenze, linguaggi e pratiche di mondi che sono strutturalmente differenti, come quello accademico e quello del volontariato.

Dal 2022 la Caritas diocesana di Messina e il dipartimento Cospecs dell’Università peloritana condividono un processo di riflessione che intende dare rilievo al valore che assume la scelta di un tipo di formazione rivolta a volontari e professionisti (assistenti sociali, educatori) che passa attraverso la competenza della ricerca2. La formazione è qui pensata come strettamente legata a quella che Freire chiama “curiosità epistemologica”3. Una curiosità che va alimentata e sostenuta nell’uso di un metodo. Si ritiene infatti che volontari, operatori sociali e professionisti possano lavorare meglio con le persone da aiutare se supportati da quella che Schön4 chiama “riflessione in azione”. Cioè quella abilità che permette all’operatore di esercitarsi a rimanere vigile sul “come” sta agendo nella relazione di aiuto, sulle strategie adottate, sulle scelte intraprese. Questa modalità, se reiterata, limita i rischi di standardizzazione e di automatismo.

Il terreno su cui la Caritas locale, alcuni docenti del dipartimento ed esperti e docenti di diverse sedi5, si sono ritrovati è quello di una formazione che non è ‘neutra’ ma che invece può orientare il modo di lavorare con le persone in situazione di povertà e che vivono un momento di fragilità sociale. Orientare verso cosa? Verso uno stile di azione più consapevole delle asimmetrie intrinseche alla relazione di aiuto, ma anche delle oppressioni strutturali in cui sono imbrigliate le persone in povertà6.

Da quanto appena detto nascono due laboratori tra di loro concatenati che hanno due titoli che ben rendono il senso del lavoro di collaborazione tra i due Enti: “Formare alla partecipazione attraverso la ricerca sul campo” (2022/2023) e “Partecipare alla produzione della conoscenza nelle organizzazioni e nei servizi sociali” (2023/2024).

In entrambi i casi gli obiettivi sono stati quelli di iniziare ad attrezzare i partecipanti (operatori e studenti universitari, futuri professionisti) all’uso di strumenti di ricerca e di analisi dei dati per poter così facilitare la lettura dei contesti nella propria attività quotidiana nelle organizzazioni e nei servizi. Al di là però della spendibilità immediata delle tecniche (a cui tutti gli esperti coinvolti hanno sempre prestato attenzione) ciò che si ritiene più interessante è la possibilità concreta di creare un setting di sperimentazione individuale e di gruppo in cui allenarsi a posizionarsi nel proprio lavoro come “ricercatori” che si fanno interpellare da cosa succede intorno alle persone, nel proprio servizio e nell’ambito della relazione di aiuto. Qui la ricerca sul campo e la sociologia, in particolare, esplicita la propria funzione sociale. Si costruisce un ambiente in cui le persone riflettono e si fanno interrogare dalle storie e dalle situazioni che devono affrontare non limitandosi esclusivamente a un’attenzione alla relazione empatica e all’interazione a due, ma esplorando i diversi punti di vista e sperimentando un metodo più attento alle questioni macro-sociali e alle strutture di potere.

A cosa è servito il laboratorio?

In queste due edizioni del laboratorio abbiamo sperimentato come la mescolanza di punti di vista e interessi differenti, la curiosità degli studenti ad apprendere e il desiderio dei volontari a raccontarsi, sia fonte di elaborazione spontanea ed efficace. Allo stesso tempo, dal confronto tra le conoscenze teoriche già possedute dagli studenti e le competenze pratiche di professionisti e volontari, ne scaturisce una elaborazione di pensiero necessaria a mettere in discussione procedure e prassi consolidate e standardizzate, che rischiano di appiattire i servizi alle persone in difficoltà. In questo senso la ricerca sociale ci ha consentito di stimolare la riflessione e di ricercare strade nuove di impegno, al fine di migliorare la qualità dei servizi resi.

Riteniamo che il modello sperimentato con i laboratori sia efficace come strumento di formazione dei professionisti, perché incide non solo sulle conoscenze, ma anche sugli atteggiamenti emotivi. Ciò avviene lavorando in primo luogo sull’introspezione e sulla riflessione, passando per il confronto con la curiosità e il dinamismo di giovani studenti, per giungere alla rielaborazione condivisa che riaccende la creatività e desta motivazioni che la pratica professionale nel tempo rischia di sopire. Una formazione, dunque, il cui valore aggiunto sta nel processo di elaborazione condivisa dei contenuti, a partire dall’esperienza per metterla in discussione e ripensarla in termini creativi.

Per la Caritas diocesana è stata anche un’occasione per esplorare territori “altri” dell’agire sociale, fuori dai confini strettamente ecclesiali, al fine di riaffermare la propria “prevalente funzione pedagogica”7 e la sua mission specifica di animazione della comunità e di advocacy a favore dei diritti dei cittadini che vivono in situazioni di esclusione sociale e deprivazione economica.

A questo scopo la Caritas di Messina, grazie all’Osservatorio diocesano delle Povertà e delle Risorse (OPR) anche in collaborazione con l’Università di Messina, offre alla comunità locale spunti di approfondimento, attraverso la ricerca sociale e l’analisi dei principali fattori che costituiscono le cause delle povertà presenti sul territorio (dispersione scolastica, disoccupazione, criminalità organizzata, gioco d’azzardo patologico ecc.) pubblicando annualmente un Report su povertà ed esclusione sociale giunto alla XII edizione8. Solo dopo l’osservazione e l’analisi della realtà locale sarà possibile intervenire concretamente attraverso una progettazione di interventi mirati a contrastare le cause delle povertà. È interessante a questo proposito che lo scorso anno il gruppo di partecipanti al laboratorio abbia redatto un testo collettivo in cui ha descritto l’esito del lavoro di ricerca realizzato durante la formazione. L’articolo è stato pubblicato nel Rapporto a firma di tutti i componenti.

La collaborazione con l’Università di Messina, a questo proposito ed in particolare attraverso i Laboratori co-progettati con il Dipartimento Cospecs, ha consentito di ritagliare spazi e tempi essenziali per ascoltare il vissuto degli operatori sociali e dei volontari, le aspettative dei giovani, le valutazioni del mondo accademico, il tutto in chiave di processo partecipativo, finalizzato alla elaborazione culturale di politiche di welfare generativo. Il desiderio condiviso è stato quello di “privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici”9 ed è questo lo spirito con il quale ci siamo posti. Siamo consapevoli che spesso il mondo del Terzo Settore, del volontariato laico o cattolico, è concentrato sulla dimensione “del fare”, del dare assistenza, del risolvere i problemi e dare risposte pragmatiche, soprattutto in risposta ai bisogni riscontrati; allo stesso tempo, abbiamo riscontrato un bisogno ed una propensione degli stessi operatori e volontari a “raccontare” ciò che fanno. Abbiamo voluto indirizzare questo “bisogno di narrazione” ai fini della formazione e della ricerca sociale, consapevoli del ruolo fondamentale che ha questa dimensione nei processi educativi, in una logica di apprendimento permanente basato sull’esperienza. Infine, abbiamo riscoperto una dimensione “politica” dello stare insieme, nel senso più alto, del condividere esperienze e saperi, del fare scelte condivise esercitando azioni di cittadinanza attiva. Abbiamo provato ad essere comunità, assaporandone il gusto e la bellezza.

  1. Ambrosini M. (2016), Il volontariato postmoderno, Franco Angeli, Milano.
  2. Questa riflessione fa parte di un processo più ampio in cui alcuni docenti del dipartimento hanno intrapreso da tempo un dialogo con enti del Terzo Settore e sulla formazione degli operatori sociali.
  3. Freire P. (2004), Pedagogia dell’autonomia, EGA, Torino.
  4. Schön D. (1993), Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Dedalo, Milano.
  5. Ogni laboratorio ha coinvolto esperti di diverse sedi e ha avuto un proprio comitato scientifico. Responsabile scientifica: Tiziana Tarsia (sociologa) e comitato scientifico (AA 2022-2023): Massimiliano Filoni (attore e regista di teatro sociale), Alberta Giorgi (sociologa), Micol Pizzolati (sociologa), Enrico Pistorino (educatore), Tiziana Tesauro (sociologa); Responsabile scientifica: Tiziana Tarsia (sociologa) e comitato scientifico AA 2023-2024: Giovanni Cellini (sociologo e social worker), Mauro Maugeri (video maker), Veronica Moretti (sociologa), Andrea Nucita (informatico), Enrico Pistorino (educatore), Alice Scavarda (sociologa).
  6. Krumer-Nevo M. (2021), Speranza radicale. Lavoro sociale e povertà, Erickson, Trento; Panciroli C. (2019), La ricerca partecipativa nello studio della povertà. Lo sguardo del Social Work, Erickson, Trento.
  7. Art. 1 dello Statuto di Caritas Italiana.
  8. A questo link è possibile scaricare i report.
  9. Papa Francesco (2013), Esortazione apostolica Evangelii Guadium n.223. Dicastero per la Comunicazione – Libreria Editrice Vaticana.