La riforma dell’assistenza ai non autosufficienti
Promesse e limiti
Giovanni Lamura | 21 Novembre 2024
Un approccio olistico alle politiche in materia di invecchiamento?
Con la legge delega 33 del marzo 2023 e il decreto legislativo 29 del 2024 il nostro Paese ha potenzialmente avviato una nuova fase delle sue politiche in materia di invecchiamento. Apparentemente ciò sembra avvenire seguendo un approccio olistico, cosa che rappresenterebbe una discontinuità rispetto al passato, in quanto già nella legge delega dello scorso anno, ed in misura ancor più evidente nel decreto attuativo di pochi mesi fa, la scelta del legislatore è stata quella di focalizzarsi su entrambi i fronti in cui tradizionalmente si dividono le politiche del settore: la promozione dell’invecchiamento attivo e in salute e l’assistenza agli anziani non autosufficienti. Le due tematiche costituiscono – quasi plasticamente (dividendosi in parti uguali i 40 articoli che costituiscono il cuore del provvedimento) – il focus delle due sezioni di cui è composto il recente decreto legislativo. Il titolo I, incentrato su “Principi generali e misure a sostegno della popolazione anziana”, parte con l’istituzione del Comitato Interministeriale per le politiche in favore della Popolazione Anziana (CIPA), e tocca temi come promozione della salute, invecchiamento attivo, telemedicina, contrasto alla solitudine, co-housing e alfabetizzazione digitale. Il titolo II, con le sue “Disposizioni in materia di assistenza sociale, sanitaria, sociosanitaria e prestazione universale in favore delle persone anziane non autosufficienti”, propone soluzioni rispetto a temi classici – e annosi – del settore, quali valutazione multidimensionale, prestazioni monetarie, servizi sociali e sanitari e loro integrazione, in ambito sia domiciliare sia residenziale, supporto ai famigliari caregiver e ruolo delle assistenti familiari private di cura.
Una prima domanda che sorge rispetto a questa contemporanea presenza, nell’ambito di un unico provvedimento, delle due tematiche della promozione dell’invecchiamento attivo e dell’assistenza alla popolazione anziana non autosufficiente – storicamente tenute separate nella limitata produzione legislativa in materia del nostro paese – è la seguente: è una buona idea affrontare congiuntamente la riforma dei due settori? Dal punto di vista concettuale, questo approccio olistico all’invecchiamento dovrebbe essere salutato certamente con favore, in quanto questa doppia sfaccettatura potrebbe consentire di evitare la limitativa associazione che spesso viene evocata, quasi ineluttabilmente, tra età anziana e non autosufficienza, finendo col sottolinearne i soli aspetti negativi, e trascurando invece il ruolo chiave che possono giocare in tale ambito le politiche della prevenzione e della promozione della persona in età avanzata, anche come risorsa cruciale per la società.
Dal punto di vista operativo, tuttavia, sorge spontanea una seconda domanda: trattandosi di decreti attuativi, non sarebbe (stato) più opportuno procedere adottando atti separati, in grado di meglio delineare e dettagliare le risposte alle specifiche esigenze che necessariamente caratterizzano ognuno dei due settori? Evitando il rischio, oggi invece presente, che affrontando entrambi contemporaneamente, si finisca, da un lato, coll’indebolire l’efficacia degli interventi proposti per ognuno di essi; e, dall’altro, con l’occultare la portata e l’urgenza delle misure necessarie – e quindi l’insufficienza di quelle proposte – ad affrontare adeguatamente l’emergenza assistenziale che attanaglia le persone anziane non autosufficienti del nostro paese e le loro famiglie, chiamate a fornire quotidianamente quelle risposte che il nostro sistema di welfare non riesce a garantire.
Verso una maggiore integrazione assistenziale?
Soffermandoci nel seguito sulla sola assistenza agli anziani non autosufficienti, e limitandoci agli elementi essenziali che hanno trovato declinazione nel decreto legislativo 29/2024, è possibile affermare, come seconda osservazione, che la riforma prevede una serie di misure che, una volta realizzate, spingeranno verso una maggiore integrazione delle cure. Tra queste spicca l’istituzione del “Comitato interministeriale per le politiche a favore degli anziani” (CIPA), che, coinvolgendo 7 ministeri, è incaricato, tra le altre cose, di adottare un “Piano nazionale per l’assistenza e la cura della fragilità e della non autosufficienza nella popolazione” (art. 21, c. 2) e di armonizzare gli standard minimi di riferimento per l’assistenza sanitaria (LEA) e sociale (LEPS) (art 21, c. 5). Al perseguimento dello stesso fine contribuiscono l’integrazione operativa dei processi sottostanti all’erogazione di prestazioni, interventi e servizi da parte dei distretti sanitari e ambiti territoriali sociali (art. 26); l’istituzione dei punti unici di accesso (PUA) per accedere sia all’assistenza sanitaria che a quella sociale (artt. 10, 24, 27 e 28); e l’armonizzazione delle procedure di valutazione, ridotte dagli attuali 5-6 passaggi a 2 soli in futuro (art. 27). Mancano tuttavia finora all’appello, seppur previsti dalla legge delega 33/2023, gli obiettivi – non di poco conto, e su cui pertanto si tornerà più avanti – di promuovere l’integrazione tra i sistemi informativi di tutti i soggetti coinvolti nell’erogazione di prestazioni assistenziali, e l’adozione di un sistema di monitoraggio nazionale.
Promozione dell’invecchiamento a domicilio
Una terza chiave di lettura degli interventi finora previsti dalla riforma è la loro spinta verso un rafforzamento dei sostegni che promuovono un invecchiamento presso il proprio domicilio (obiettivo di politiche del settore noto internazionalmente con il termine “ageing in place”). A ciò contribuiscono diverse misure, come ad esempio l’introduzione della “prestazione universale” (art. 27), una somma di 850 euro mensili che va ad aggiungersi alla vigente indennità di accompagnamento, per un periodo di sperimentazione biennale (2025-26) su 25.000 soggetti selezionati in base ad età (over 80), bisogno assistenziale (con disabilità gravissima) e condizioni economiche (ISEE inferiore ai 6000 euro annui), e da impiegarsi obbligatoriamente per acquistare servizi alla persona. Agiscono nella stessa direzione l’estensione delle cure palliative domiciliari (art. 32); il riconoscimento del ruolo dei famigliari caregiver e la promozione della collaborazione tra queste figure e la rete dei servizi formali (ad esempio in sede di valutazione multidimensionale ed elaborazione del Piano Assistenziale Individualizzato, o per finalità informative e formative) (art. 39); e le misure fiscali e formative previste per facilitare l’impiego e la qualificazione dei tanti assistenti privati assunti dalle famiglie italiane (artt. 37-38).
Limiti delle misure finora adottate: parziale realizzazione dello SNAA, tempistiche e risorse limitate
Tutto questo, nelle intenzioni del legislatore, sarebbe dovuto avvenire sotto l’egida di un “Sistema Nazionale per la popolazione Anziana l’Assistenza agli Anziani” (SNAA), di nuova istituzione, che nella legge delega 33/2023 (art. 2 cc. 2b e 2c) veniva delineato come modalità organizzativa permanente per la programmazione e il governo unitario tra Stato, regioni e comuni di tutte le misure sanitarie, sociali e assistenziali del settore, comprese le provvidenze economiche erogate dall’INPS. Nel decreto legislativo 29/2024 (art. 21), invece, viene affidata allo SNAA solo la programmazione dei servizi e interventi sociali (senza considerare quindi quelli sanitari e le prestazioni INPS), ed escludendo il livello locale. Questo cambio di rotta rispetto a quanto stabilito solo un anno prima impedisce pertanto, al momento, l’adozione di logiche d’intervento unitarie, anche per la già menzionata mancanza, a tutt’oggi, di indicazioni su come realizzare un monitoraggio integrato degli interventi e l’integrazione tra i vari sistemi informativi del settore. Il giudizio complessivo, quindi, a livello di sistema, non può che essere insoddisfacente.
Un ulteriore elemento forse poco considerato dal tentativo di riforma in corso concerne le tempistiche per la sua realizzazione. Di tutti i passi innovativi indicati dalla riforma, alcuni sarebbero attuabili senza l’impiego di sostanziali risorse economiche aggiuntive. Si tratta principalmente delle misure volte a potenziare l’integrazione assistenziale tra i diversi servizi e attori preposti alla loro programmazione ed erogazione, come l’istituzione del CIPA, l’organizzazione congiunta di distretti sanitari e ambiti territoriali sociali, con l’adozione di punti unici di accesso, procedure di valutazione semplificate e una migliore integrazione tra assistenza formale e informale. Nonostante si tratti di interventi apparentemente a basso costo – dai quali quindi idealmente “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” – la loro attuazione è in molti casi stata rimandata a futuri decreti attuativi (sono stati contati tra i 10 e i 20 ulteriori atti necessari a questo scopo). Ciò sembra suggerire che quanto finora intrapreso rappresenti solo l’inizio di un complesso processo di riforma, che richiederà tempi lunghi per completarsi. Dal che discende che, per favorire la realizzazione delle innovazioni previste, sarebbe utile compiere un più approfondito sforzo di “ingegneria gestionale”, per individuare la successione logisticamente ideale delle misure di volta in volta da avviare, i contenuti dettagliati delle attività e sub-attività che la loro implementazione comporta, e le relative tempistiche (scadenze, durate e distanziamento tra le stesse). Il risultato di questo sforzo si potrebbe sostanziarsi nella stesura di un piano pluriennale di messa a terra e monitoraggio della riforma che, proprio per la sua diluizione nel tempo, renderebbe più credibile – e probabilmente anche più partecipata – la sua realizzazione, anche da parte di componenti forse finora poco coinvolti nel processo di formulazione delle proposte di riforma.
Un ultimo, cruciale aspetto potenzialmente in grado di “svuotare” in buona misura il processo di riforma in corso concerne il suo lato finanziario. A differenza delle misure sopra indicate, alcune delle innovazioni introdotte richiedono un finanziamento sostanziale. Tra queste rientrano certamente l’introduzione della prestazione universale, l’estensione delle cure palliative ai contesti domiciliari e il potenziamento delle agevolazioni fiscali e formative degli assistenti familiari privati (senza escludere che alcune delle misure apparentemente “a costo zero” possano in prospettiva richiedere impegni finanziari aggiuntivi, oggi non previsti, ad esempio per la formazione e riqualificazione del personale coinvolto nei cambiamenti previsti).
L’esperienza di altri Paesi (Germania e Spagna in primis, e già da tempo, ma anche Slovenia e Croazia negli ultimissimi anni) insegna che una riforma di questa portata, riguardante un bacino di popolazione importante e destinato a crescere negli anni a venire, non può avvenire senza sostanziali investimenti. Ed è di investimenti che occorre parlare – e non di costi, di spesa – perché impegnare risorse in questo settore significa assicurare condizioni di vita dignitose a tutti nell’ultimo periodo dell’esistenza, quando si è più fragili e quindi suscettibili di diventare vittima di abusi e trascuratezza. Finché non verranno impegnate risorse sostanziali per la realizzazione della riforma, sarà difficile poter parlare di “sistema” nazionale per l’assistenza agli anziani non autosufficienti. E continueremo quindi a rimanere un Paese caratterizzato da un approccio fortemente carente e frammentato, anche territorialmente, che continuerà a scaricare sulle famiglie, lasciandole spesso sole, il grosso dell’impegno che tale assistenza comporta.
Certamente la fase contingente che il nostro Paese sta attualmente attraversando non è favorevole, con un Patto di Stabilità e Crescita dell’Unione Europea che imporrà all’Italia tagli al bilancio per oltre 13 miliardi di euro all’anno per i prossimi 7 anni. Ciononostante, senza passi, anche piccoli e graduali, verso la direzione giusta, sarà difficile recuperare quel senso di solidarietà e coesione di cui il nostro Paese ha un estremo bisogno, anche in questo settore. Utili indicazioni sui possibili percorsi da intraprendere vengono in tal senso anche dalla società civile, aggregatasi da qualche anno in un’inedita coalizione che, sotto il nome di “Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza”, abbraccia quasi 60 organizzazioni e numerosi esperti del settore: una voce che rappresenta milioni di cittadini, e la cui autorevolezza meriterebbe pertanto di essere ascoltata.