La Supervisione nei Servizi sociali tra opportunità e sfide


Rita FerroMaria Pina Masella | 16 Aprile 2025

Gli assistenti sociali, esposti quotidianamente a situazioni di elevata complessità emotiva e relazionale, hanno da sempre riconosciuto la supervisione come strumento fondamentale per garantire la qualità degli interventi e il benessere degli operatori. Tuttavia, l’accesso a tale supporto è stato a lungo disomogeneo, dipendendo dalla sensibilità dei singoli enti datori di lavoro, dalla disponibilità di risorse economiche e dalla cultura organizzativa dei servizi. 

La svolta dei LEPS e l’arrivo dei Finanziamenti

L’inserimento della supervisione nei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS) ha segnato un punto di svolta epocale, sancendo un diritto-dovere per gli assistenti sociali e superando la frammentazione precedente. Questo riconoscimento ha rappresentato una vittoria per la categoria, che ha visto finalmente riconosciuta l’importanza della supervisione come strumento di tutela e di crescita professionale. L’introduzione dei finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS) ha ulteriormente rafforzato questo processo; il PNRR in particolare ha stanziato ben 42 milioni di euro per il rafforzamento dei servizi sociali e la prevenzione del burnout. Il FNPS, a sua volta, ha sostenuto l’implementazione dei LEPS e finanziato progetti di supervisione a livello locale e regionale, garantendo un sostegno strutturale e continuativo alle politiche sociali.

Le difficoltà di implementazione: un percorso ad ostacoli

L’implementazione della supervisione, attraverso l’azione congiunta di PNRR e FNPS, ha incontrato diverse difficoltà, mettendo in luce le fragilità del sistema. In particolare, l’implementazione dei progetti PNRR legati alla supervisione ha subito ritardi e ostacoli a causa di:

  • Carenza di supervisori qualificati: la supervisione nei servizi sociali richiede competenze specifiche e una solida esperienza professionale. La disponibilità di supervisori con i requisiti richiesti è risultata limitata in molte aree del paese, creando difficoltà nel reperire professionisti qualificati per avviare i percorsi di supervisione. Inoltre, l’assenza di un sistema di accreditamento nazionale ha contribuito a creare incertezza sulla qualità delle prestazioni offerte.
  • Difficoltà organizzative degli ambiti territoriali: molti ambiti territoriali non erano preparati a gestire i gruppi di supervisione, sia mono-professionali che di équipe. L’organizzazione di tali gruppi richiede una gestione complessa, che include la definizione dei calendari, la selezione dei partecipanti, la gestione della documentazione e la valutazione dei risultati. La gestione di gruppi misti, con professionisti di diversi settori, ha aggiunto ulteriore complessità, richiedendo la capacità di creare un linguaggio comune e di garantire la partecipazione attiva di tutti i membri.
  • Fattori burocratici e temporali: le procedure legate all’utilizzo dei fondi PNRR hanno richiesto tempi e risorse aggiuntive, rallentando l’avvio dei progetti. Le tempistiche stringenti del PNRR hanno messo sotto pressione gli enti locali, che hanno avuto difficoltà a rispettare le scadenze.

La perdita dell’efficacia della supervisione: un rischio concreto

Il passaggio repentino dall’assenza all’eccesso di supervisione ha generato, in alcuni contesti, una percezione ambivalente di questo strumento. Alcuni operatori riferiscono di vivere la supervisione come un’attività obbligatoria e poco personalizzata, con il rischio che essa perda la sua funzione di supporto e crescita professionale. In alcune esperienze, emerge la sensazione che la supervisione possa diventare una pratica burocratizzata e percepita come un controllo, riducendone l’efficacia e i benefici. Tuttavia, queste percezioni non sono universalmente diffuse e dipendono anche da come l’ente di appartenenza struttura e propone la supervisione

Supervisione e benessere: segnali di affaticamento

Si possono individuare alcuni segnali di affaticamento legati alla supervisione, che possono influire sul benessere degli assistenti sociali e sulla loro partecipazione attiva. Tra i segnali più comuni troviamo il senso di sovraccarico, il distacco emotivo e la perdita di motivazione. Ad esempio, alcuni assistenti sociali sembrano arrivare agli incontri già affaticati e di percepire la supervisione come un ulteriore impegno. Tuttavia va evidenziato che molti altri, nonostante le elevate ore mensili di supervisione,  la vivono come un momento utile di confronto. L’atteggiamento nei confronti della supervisione quindi può variare: in alcuni casi, si osservano partecipazioni passive o critiche, mentre in altri la supervisione è considerata un’opportunità di crescita professionale. Questo suggerisce che la percezione della supervisione non dipende esclusivamente dalla sua organizzazione, ma anche dal modo in cui i professionisti vi si approcciano e dalla loro disponibilità a trarne beneficio.

Criticità da affrontare ed equilibri da costruire

Perché la supervisione sia un vero strumento di supporto e crescita, deve essere vista come un’opportunità di sviluppo professionale e non solo come un obbligo burocratico. È fondamentale che il mandato sia chiaro e condiviso, con obiettivi e aspettative ben definiti, e che i feedback siano specifici e utili. Tuttavia, l’efficacia della supervisione, come affermato anche sopra, non dipende solo da chi la organizza, ma anche dall’atteggiamento dei partecipanti. Un approccio attivo e propositivo da parte degli assistenti sociali può renderla più significativa. Per questo, è necessario un equilibrio tra una buona progettazione da parte degli enti e il coinvolgimento consapevole dei professionisti, affinché la supervisione diventi un’esperienza di crescita condivisa e non un semplice adempimento.

Proposte e Soluzioni

Come rendere la supervisione un reale strumento senza renderla un ulteriore sovraccarico

Per rendere la supervisione un reale strumento di supporto, è necessario chiarire gli obiettivi della supervisione, coinvolgere gli assistenti sociali nella programmazione, promuovere un clima di fiducia e sicurezza, integrare la supervisione nei percorsi di formazione, valorizzare la condivisione di esperienze, monitorare l’efficacia della supervisione e prevenire le assenze e il disimpegno. Per ridurre il sovraccarico da supervisione, è fondamentale rivedere la frequenza e la durata degli incontri, garantire una flessibilità organizzativa che consenta di integrare al meglio i momenti di supervisione con le esigenze operative e utilizzare metodologie partecipative che favoriscano il coinvolgimento attivo dei professionisti.  Le diverse tipologie di supervisione disponibili per gli assistenti sociali: individuale, d’équipe e multidisciplinare, sono tutte essenziali, poiché rispondono a bisogni distinti e offrono vantaggi complementari. La supervisione individuale consente di esplorare in profondità i vissuti personali legati al proprio percorso professionale, affrontando aspetti emotivi, dilemmi etici e questioni legate all’identità professionale in un contesto protetto e riservato. La supervisione d’équipe favorisce la condivisione di esperienze all’interno dello stesso gruppo di lavoro, migliorando la coesione, la comunicazione e l’efficacia delle pratiche operative. La supervisione multidisciplinare, invece, promuove il confronto tra diverse professionalità, contribuendo a una maggiore integrazione degli interventi e alla comprensione delle specificità di ciascun ruolo. Una possibile soluzione organizzativa potrebbe essere quella di alternare la supervisione mono e multidisciplinare a cadenza mensile, garantendo sei mesi dedicati a ciascuna modalità nell’arco dell’anno. Questo approccio permetterebbe di bilanciare il bisogno di approfondire le dinamiche interne alla professione con l’importanza del confronto interdisciplinare. Il tutto potrebbe essere affiancato da un percorso individuale continuativo, mirato ai bisogni del professionista.

Politiche e buone pratiche per un utilizzo più efficace della supervisione

La supervisione può essere realmente efficace solo se riesce a rispecchiare la complessità della pratica quotidiana dei professionisti del sociale.  L’approccio multi-professionale e inter-istituzionale alla supervisione rappresenta una grande opportunità per valorizzare il confronto tra figure professionali diverse e rendere gli incontri più concreti e utili. Aprire la supervisione a figure professionali diverse, come psicologi, educatori, pedagogisti e altri operatori sociali, permette di arricchire la discussione e di offrire prospettive differenti. Inoltre, la collaborazione tra enti differenti, come consultori, centri di salute mentale, servizi per le dipendenze e altre realtà territoriali, consente di integrare diverse competenze e risorse, creando una rete di supporto più solida ed efficace. La suddivisione dei gruppi di supervisione per aree tematiche o per ambiti mono-disciplinari permette di avvicinare maggiormente il contenuto della supervisione alla realtà operativa di ciascun professionista, affrontando in modo specifico le sfide legate a un determinato settore di intervento. Questa modalità favorisce tra i partecipanti un apprendimento più specialistico e un supporto reciproco più efficace. Una criticità di questa organizzazione può, in alcuni casi, derivare dalla eterogeneità dei territori che compongono gli ambiti territoriali. Nei comuni piccoli infatti l’assistente sociale si occupa di tutte le aree. Tale limite potrebbe essere superato organizzando dei gruppi trasversali per gli assistenti sociali che si trovano a lavorare in contesti piccoli e su tutte le aree. Laddove non fosse possibile sta al supervisore calibrare in maniera mirata la supervisione partendo proprio dal gruppo che si trova di fronte, dalle aspettative dei partecipanti e su quali aree gli stessi sentano di volersi soffermare.

Il nostro modello di supervisione basato sulla pratica professionale

Un approccio integrato per lo sviluppo delle competenze 

Il modello che stiamo portando avanti è quello basato sulla pratica professionale che, a nostro avviso, si distingue per la sua capacità di favorire lo sviluppo continuo delle competenze, attraverso un equilibrio tra teoria e applicazione concreta. Questo modello, che abbiamo avuto modo di sperimentare direttamente, si è rivelato particolarmente efficace nel supportare i professionisti nel loro percorso di crescita, riscuotendo feedback importanti anche attraverso l’interesse e la partecipazione agli incontri.

Perché abbiamo scelto questo modello? l’approccio della supervisione basata sulla pratica professionale nasce dall’esigenza di fornire uno spazio in cui i professionisti possano affinare le proprie competenze attraverso l’analisi e il confronto su situazioni reali. Il nostro obiettivo principale è quello di potenziare le capacità operative, offrendo un’occasione per riflettere sulle proprie esperienze e acquisire nuove strategie di intervento. Un altro aspetto centrale è il consolidamento della consapevolezza: la supervisione permette di esplorare le proprie reazioni emotive e i meccanismi cognitivi che influenzano la pratica quotidiana, aiutando così a comprendere meglio il proprio impatto nelle relazioni professionali. La supervisione così si struttura come un processo continuo che accompagna i professionisti nella loro crescita, promuovendo un apprendimento costante e un progressivo miglioramento della qualità del lavoro. Le sessioni di supervisione nel modello che presentiamo hanno una durata di quattro ore e seguono una struttura, divisa in due momenti, che abbiamo elaborato e sperimentato per garantire un’esperienza formativa efficace.  Il primo momento è dedicato alla teoria e all’approfondimento di tematiche specifiche, affrontate in una prospettiva più ampia, in chiave riflessiva. Qui si discutono modelli di intervento, linee guida professionali e concetti fondamentali, fornendo una base solida per la riflessione. La seconda parte della sessione, invece, è basata sulla pratica: attraverso esercitazioni, simulazioni e analisi di casi reali, i partecipanti hanno la possibilità di applicare le conoscenze acquisite e di ricevere un feedback immediato e costruttivo. Questa alternanza, tra momento macro e micro, permette di consolidare meglio le competenze e di renderle immediatamente spendibili nel proprio contesto lavorativo.

Perché pensiamo sia vantaggioso? L’approccio che abbiamo sperimentato nel tempo ha mostrato diversi vantaggi. Il primo è sicuramente il perfetto equilibrio tra teoria e pratica, che consente un apprendimento più efficace e duraturo. La possibilità di alternare momenti di approfondimento a momenti di esercitazione pratica aiuta i professionisti a interiorizzare meglio le conoscenze e a renderle più funzionali al loro lavoro. Un altro aspetto fondamentale è la flessibilità: la supervisione può essere adattata alle esigenze specifiche dei partecipanti, rispondendo alle difficoltà emergenti dalla loro esperienza sul campo. Questa personalizzazione rende l’intervento più mirato e utile. Infine, uno dei punti di forza più rilevanti è lo sviluppo di competenze trasferibili, che possono essere immediatamente applicate nella pratica quotidiana, migliorando l’efficacia degli interventi e la qualità dei servizi offerti.

La supervisione e uno sguardo diverso sul futuro

In sintesi, l’implementazione della supervisione nei servizi sociali, pur rappresentando un passo avanti fondamentale, ha evidenziato alcune criticità. Nel ripensare alla supervisione come una sfida tra opportunità e difficoltà crediamo che in primo luogo sia utile rivedere i tempi dedicati alla supervisione, modulando la mole di ore in base alle esigenze degli operatori e garantendo una flessibilità organizzativa che consenta di conciliare al meglio supervisione e attività lavorativa. In secondo luogo, pensiamo possa essere funzionale adottare un modello di supervisione basato sulla pratica professionale, che favorisca lo sviluppo continuo delle competenze attraverso l’analisi di casi concreti e il confronto tra pari. Quale sarà il futuro della supervisione dopo i fondi PNRR e FNPS è ancora una questione aperta. Ciò che è certo è che passare da un eccesso di supervisione a una carenza repentina può generare una sorta di shock. È opportuno quindi pensare ad una programmazione che sia in equilibrio tra supervisione e carichi lavorativi. Solo così sarà possibile garantire la qualità degli interventi, prevenire il burnout e promuovere il benessere degli assistenti sociali, figure chiave per la tenuta del nostro sistema di welfare.