La mancanza di servizi per la conciliazione vita-lavoro conduce ad una disuguaglianza di genere estremamente marcata in Italia. È giunto il momento di colmarla.
La crisi da Covid-19 e il lockdown hanno confermato la preoccupante situazione occupazionale femminile, ancora troppo subordinata al fragile equilibrio fra vita privata e professionale. Quando il 4 maggio è stato dato il via alla cosiddetta “fase 2”, il 70% degli occupati in possesso dell’autorizzazione a tornare al lavoro appartenevano al genere maschile, mentre i settori più fragili restano quelli a prevalenza femminile. Inoltre, solo un anno fa, il rapporto dell’Organizzazione mondiale del lavoro ha rivelato che, tra il 2005 e il 2015, lo «svantaggio occupazionale dovuto alla maternità», ossia la differenza in termini di proporzione di lavoratrici adulte con figli di età inferiore ai sei anni rispetto alle lavoratrici senza figli piccoli, ha registrato un aumento del 38%.
L’Italia non fa eccezione: solo il 57% delle madri – tra 25 e 54 anni – riescono a mantenere il proprio lavoro avendo figli minori fino ai 15 anni, mentre circa l’89% dei padri – nello stesso intervallo di età – riesce a conciliare i due impegni. La stessa Italia non ha ancora raggiunto il target minimo del 33% di asili nido per bambini da 0 a 3 anni, uno dei cosiddetti “Obiettivi di Barcellona” promossi dalla Commissione europea in tema di infanzia.
I servizi di welfare: un prezioso “motore” occupazionale
Tuttavia, non è la maternità, in quanto tale, a condurre a un maggiore svantaggio occupazionale, quanto più la mancanza di servizi volti a sostenerla: asili nido, doposcuola e centri estivi possono addurre quindi a una funzione sociale, oltre che quella educativa più nota. Difatti, i dati misurati nella penisola dimostrano l’esistenza di una correlazione, nonché di un nesso causale, fra la quantità di asili nido presenti in una data regione o provincia e il livello di occupazione femminile.
L’introduzione di interventi statali e di misure in nome della progressività in questo ambito , come il cosiddetto Bonus asilo nido1, è finalizzata a indurre le aziende a catalizzare il proprio impegno maggiormente in termini di welfare e soprattutto verso servizi di educazione “secondaria”, quali centri estivi o invernali, servizi di pre e doposcuola, oltre che alla creazione di asili nido aziendali così da poter giungere a una simbiosi tra welfare pubblico e welfare aziendale, in grado di rilanciare l’occupazione femminile attraverso la riduzione di quella che i sociologi definiscono “motherhood penalty”, il costo della maternità. Tuttavia, è evidente che un intervento quale l’erogazione del Bonus asilo nido non vada a risolvere alla radice la bassa offerta di strutture per ospitare i bambini.
Per questo motivo, durante l’emergenza sanitaria, la Ministra per la Famiglia e per le Pari Opportunità Elena Bonetti ha promosso la creazione di una task force per l’uguaglianza di genere “Donne per un nuovo Rinascimento”. Infatti, tra le aree identificate come bisognose di un intervento appare proprio quella del welfare aziendale, con l’obiettivo di garantire un’armonizzazione della dimensione di vita familiare e lavorativa invece che come strumento di sostegno al reddito.
Welfare aziendale e occupazione femminile: a che punto siamo?
L’82% dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia è impiegato all’interno di Piccole e medie imprese (Pmi), che costituiscono il 92% del tessuto produttivo del Paese. A tal proposito, in relazione all’occupazione femminile il Comitato Guida di Generali identifica all’interno del Report Welfare Index Pmi 20192 tre principali aree di interesse: “conciliazione della vita-lavoro, sostegno ai genitori”, “sostegno all’istruzione di figli a familiari” e “cultura e tempo libero”.
L’area di “conciliazione della vita-lavoro, sostegno ai genitori” rappresenta senza dubbio uno dei maggiori ambiti di crescita per la spinta delle imprese: non a caso, le iniziative avanzate dalle aziende in questo campo ammontano al 43,3% delle Pmi. Eppure, l’offerta di asili nido convenzionati con il territorio (0,6 %), di asili nido aziendali (0,6%) e quella di scuole materne, centri gioco e doposcuola (0,3 %) risulta bassa e priva di crescita negli ultimi anni.
A parziale riprova dello scarso sostegno aziendale alla genitorialità, l’area “sostegno all’istruzione di figli a familiari” rientra al 2019 ancora fra i settori del welfare aziendale a bassa priorità dal momento che si registra un tasso di iniziativa pari al 4,2%.
Un’ultima area correlata alla conciliazione vita-lavoro risulta essere quella della “cultura e tempo libero”, anch’essa figurante fra i settori a bassa priorità a detta delle imprese stesse.
What’s next? Il welfare interaziendale
L’azione delle imprese al crescente dibattito sulle politiche di welfare è stata negli ultimi anni non sufficiente: secondo il Welfare Index Pmi 2019, solamente l’8% delle imprese usufruisce di alleanze, supporti associativi o servizi comuni e inoltre tali soluzioni associative non sono state soggette a crescita nei precedenti anni.
Accanto a forme di welfare da sempre presenti, si è instaurato un dibattito concernente l’offerta di interventi moderni, secondo tre possibili schemi: welfare tramite rete, network di imprese organizzato da società di servizi e aggregazione promossa dall’associazione datoriale.
L’istituzione di reti d’impresa è attualmente il modello maggiormente utilizzato per la condivisione di progetti e risorse tra imprese e la creazione di sinergie al fine di offrire servizi a più aziende contemporaneamente: tra gli esempi di maggior successo sia nel Nord che nel Sud del Paese possiamo ricordare Giunca (Gruppo imprese unite nel collaborare attivamente) e PoEMA. Tale rete ha come obiettivo quello di intervenire su vari fronti della vita aziendale quali: lavoro, risparmio, tempo (convenzionamenti con trasporti pubblici) e salute e benessere. D’altra parte PoEMA aggrega quindici aziende che aspirano allo sviluppo produttivo per ridurre i costi operativi e alla condivisione di competenze tecniche e servizi.
Il network IEP (Imprese e Persone), che si compone di 19 imprese pubbliche e private, costituisce un esempio particolarmente rilevante di welfare interaziendale riconducibile al secondo modello («network di imprese organizzato da una società di servizi»). Rispetto alle reti Giunca e PoEMA, la gestione dei servizi di welfare è qui gestita da un ente catalizzatore (società Eudaimon) che si occupa della condivisione delle esperienze e dei progetti futuri in un’ottica di crescita sostenibile in tema di welfare aziendale. Questa forma di welfare interaziendale risulta tuttavia difficilmente praticabile nel contesto territoriale italiano, composto principalmente da Pmi, che spesso non sono in grado di finanziare i servizi di un dispendioso ente catalizzatore, come accade per il network IEP con la società Eudaimon.
Infine, un’ultima forma di welfare interaziendale si esplica nell’aggregazione di imprese promossa dall’associazione datoriale, attraverso l’implementazione di una rete di rapporti e di relazioni preesistenti e il cui sviluppo consiste nell’integrazione dei servizi saldamente connessi a livello territoriale. Poiché l’aggregazione promossa dall’associazione datoriale si fonda sulla preesistenza di reti di rapporti e relazioni tra aziende, rispetto ai modelli precedenti non è necessario un particolare stimolo verso la sua creazione. In considerazione di questo aspetto, spesso si registrano difficoltà nell’ampliamento di tale rete e nel coinvolgere progressivamente altri soggetti nella creazione di percorsi condivisi, portando così all’esclusione delle realtà locali prive di tali esperienze, come accade nel sud Italia.
Come suggerito in una nostra recente analisi, è necessario operare verso un rafforzamento della struttura che consenta l’estensione del welfare interaziendale nello scenario post-Covid attraverso l’aumento delle reti di supporto alle piccole e medie imprese e l’incoraggiamento all’uso di forme di welfare interaziendale nell’ambito della conciliazione vita-lavoro su cui riteniamo sia necessario investire.
È pertanto fondamentale comprendere quali condizioni porre al fine di realizzare una collaborazione tra piccole e medie imprese.
Lo sviluppo di reti d’impresa per la costruzione di welfare aziendale necessita dell’appoggio e del supporto delle istituzioni: da un lato il motore di ricerca Infoimprese potrebbe costituire un canale preferenziale per le Pmi per favorire l’incontro, la diffusione e lo sviluppo di relazioni e collaborazioni orizzontali per il welfare aziendale. Sarebbe sufficiente introdurre un filtro all’interno del sito che consentirebbe alle Pmi di trovare aziende simili a loro in base alla geolocazione, il settore di lavoro, la tipologia o l’età dei dipendenti. Dall’altro lato, alla luce di finanziamenti che la Camera di Commercio di Roma ha in passato concesso tramite bando a beneficio delle imprese italiane3, suggeriamo che le stesse Camere di Commercio sostengano iniziative che favoriscano la creazione di reti d’impresa per le Pmi interessate a far parte di una rete di welfare.
Un incentivo fiscale, da intendere come riduzione dell’Ires (Imposta sul reddito delle società), potrebbe essere esteso alle società coinvolte in un progetto di welfare in cui le risorse vengono anche condivise in campo propriamente produttivo. In tal modo, si favorirebbe la creazione o l’ampliamento di mini-distretti industriali4 tali da adottare iniziative di welfare interaziendale e minimizzare i costi.
Inoltre, per incentivare lo sviluppo di piani di welfare aziendale efficaci all’interno dell’area di “conciliazione vita-lavoro” è necessario sviluppare un’offerta esauriente di servizi in relazione ai bisogni personali e familiari dei lavoratori. Le reti di welfare così costituite dovrebbero concordare l’introduzione di piani di flexible benefits, quali elemento aggiuntivo rispetto alla normale retribuzione del dipendente (e quindi non deducibile), ma integrativo, offrendo ai propri dipendenti con figli una palette personalizzata di servizi di welfare a seconda dei loro bisogni. In questo modo, tutte le imprese potranno permettere ai propri dipendenti di scegliere tra l’asilo nido interaziendale, il doposcuola e il centro estivo messi a disposizione dalla rete.
La scelta di evidenziare l’importanza della creazione e sviluppo di reti d’impresa nasce dalla consapevolezza che tale modello risulterebbe ampliabile a più aree della penisola, nonché dalla riflessione che ad oggi l’offerta dei servizi fondamentali per i bambini e – di riflesso – per i genitori non sono adeguati.
La scelta di puntare sull’aumento di reti di imprese e sul supporto alle Piccole e medie imprese nasce dalla consapevolezza che l’incoraggiamento all’uso del welfare aziendale rappresenta un modello potenzialmente estendibile all’intera penisola. Inoltre, l’implementazione dei flexible benefits garantirà l’offerta di servizi di asilo nido e doposcuola aziendali per permettere ai lavoratori di conciliare al meglio l’attività lavorativa con quella familiare. In più, il datore di lavoro potrà godere della deducibilità illimitata dei costi di welfare se inserirà questi servizi all’interno del regolamento aziendale.
Testo a cura di Massimo Moltoni, Martina Russo e Francesca Squillante.
- Il cosiddetto bonus asilo nido è un aiuto economico per le famiglie per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati. Il genitore richiedente bonus asilo nido 2020 deve essere in possesso di alcuni requisiti (quali ad esempio cittadinanza italiana, onere per il genitore richiedente del pagamento della retta, convivenza con il minore). L’erogazione del bonus avviene in base al valore Isee minorenni riferito al minore per cui è richiesta la prestazione, secondo le seguenti fasce: Isee minorenni fino a 25.000 euro = importo erogabile 3.000 euro; Isee minorenni da 25.001 euro fino a 40.000 euro = importo erogabile 2.500 euro; Isee minorenni da 40.001 = importo erogabile 1.500 euro. Dati Inps
- Welfare Index Pmi è un’Iniziativa promossa da Generali Italia con la partecipazione delle maggiori Confederazioni italiane: Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni con l’obiettivo di diffondere e valorizzare la cultura di welfare aziendale nelle Pmi. Ogni anno viene redatto un Rapporto che offre la fotografia sullo stato del welfare nelle Pmi italiane, una ricerca scientifica che valuta il livello di welfare aziendale proposto da ogni singola Pmi analizzata.
- Ad esempio, l’istituzione alla fine del 2019 di un bando da parte della Camera di Commercio di Roma a sostegno delle imprese colpite da atti criminosi e per la sicurezza del territorio, si veda a questo link.
- come accade nella rete di welfare PoEMA
Buongiorno il voucher di conciliazione offerto dallo stato o dalle aziende da spendere per servizi alla famiglia , può essere uno strumento di sostegno alle donne sia in formazione che per le ore di lavoro
SI SICURAMENTE,SONO CONSAPEVOLE DELLA NECESSITA’.