Il tema della valutazione dell’impatto sociale delle politiche e delle misure di inclusione sociale sta diventando sempre più presente nel dibattito europeo. Anche a livello nazionale è un tema già da tempo trattato e che diventerà sempre più rilevante nei prossimi anni visto che la riforma del terzo settore la pone come obbligo per le realtà che partecipano a bandi pubblici, nazionali e internazionali e per gli enti con entrate superiori al milione di euro. Al terzo settore dunque non si chiede più solo di rendicontare correttamente: “ora il tema dell’efficacia è diventato discriminante… Non basta dimostrarsi efficienti nella spesa, occorre essere efficaci, cioè misurare il cambiamento prodotto dalle azioni poste in essere” (Stefania Aoi, La Repubblica 28/5/2018). Come recita il Codice del Terzo settore (D.Lgs 3 luglio 2017, n. 117 art. 7 comma 3) infatti “per valutazione dell’impatto sociale si intende la valutazione qualitativa e quantitativa, sul breve, medio e lungo periodo, degli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato”. Per sostenere lo sviluppo di un sistema di valutazione adeguato alle esigenze del terzo settore il Ministero del welfare ha istituto un Tavolo sulla valutazione dell’impatto sociale, coordinato da Stefano Zamagni. In un recente articolo pubblicato sul numero di Vita di aprile 2018 Zamagni ne presenta i principali esiti: obiettivo del tavolo, come esplicita Zamagni, è quella di “rendere gli enti sociali protagonisti della realizzazione del modello metrico con cui misurare la propria efficienza”. Il tavolo ha da poco concluso le proprie attività, arrivando a delineare le Linee guida della “Vis” — Valutazione di Impatto Sociale. A breve dovrebbero venire rese pubbliche.
La novità principale è che mentre in precedenza lo strumento di valutazione veniva scelto dall’ente erogatore, con un proliferare dunque di metodi e strumenti a cui l’organizzazione era tenuta ad adeguarsi, le nuove linee guida prevedono che le modalità per arrivare alla misurazione dell’impatto sociale della azione messa in capo dall’organizzazione e della propria efficienza verrà scelta dall’ente del Terzo settore stesso. Scopo delle linee guida è dunque quello di “rendere i modelli di misurazione coerenti con le finalità che la realtà sociale persegue.” (Zamagni)
Tra gli strumenti maggiormente dibattuti a livello internazionale c’è senz’altro lo SROI (Ritorno sociale sull’investimento) uno strumento di valutazione stimolante ma che presenta una serie di limiti, evidenziati anche da Zamagni nell’articolo citato, secondo il quale si tratta di un sistema valido per alcuni ambiti del Terzo settore, mentre sembra inadeguato per altri perché prevede “la quantificazione di valori di mercato che certe attività non ammettono”. Poiché le pubblicazioni in Italia sul tema dello SROI vertono prevalentemente sul metodo e le modalità di implementazione, è interessante provare ad analizzare alcuni casi di effettiva realizzazione in altri paesi, più avanti del nostro da questo punto di vista, per capire più nel dettaglio come funziona e quale valore aggiunto possa offrire alle organizzazioni e agli stakeholders.
Cos’è lo SROI? È una metodologia di valutazione di impatto che ha quale obiettivo non quello di giudicare una organizzazione, bensì di capire, misurare e comunicare il valore sociale creato da una specifica azione/attività realizzata. Una analisi SROI permette di quantificare l’impatto sociale creato dall’intervento promosso dall’organizzazione, valutare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse disponibili, l’efficacia dell’intervento al netto degli effetti negativi ed inattesi dell’azione prodotta1: come tale è anche un valido strumento per prevenire e mitigare gli impatti negativi dell’azione stessa. Il percorso prevede di i) individuare chiaramente il progetto/l’intervento da valutare, ii) mapparne, attraverso il coinvolgimento di tutti gli stakeholders rilevanti, gli outcomes (i risultati prodotti), iii) attribuendo a ciascuno di essi uno specifico valore monetario, da approssimare attraverso stime, per iv) arrivare, al termine del percorso, a valutare l’impatto complessivo prodotto sintetizzato attraverso un indice definibile nei seguenti termini: per ogni euro investito quanto valore sociale ho prodotto?
Vediamo quindi un esempio di utilizzo del metodo in Inghilterra. Nei prossimi articoli esamineremo altri esempi.
Il primo esempio è la valutazione SROI realizzata sul servizio Older Persons Support Service promosso da Gentoo Living un’associazione che gestisce servizi domiciliari e appartamenti a canone sociale in una contea dell’Inghilterra nord-orientale.
Il servizio garantisce un supporto alle persone anziane che faticano a vivere da sole al proprio domicilio, offrendo un servizio volto a promuoverne l’autonomia e l’indipendenza il più a lungo possibile e mettendo a disposizione propri operatori in sinergia coi servizi sociali locali. L’utenza di riferimento è di circa 1.500 persone.
Dal punto di vista dell’utenza, il servizio si pone due obiettivi fondamentali: aiutare le persone anziane a realizzare le proprie aspirazioni, offrendo un aiuto nel metterle a fuoco, nell’accrescere la loro motivazione, fiducia, abilità e conoscenza, nel prendere decisioni informate sulla propria vita; fornire supporto affinché le persone possano vivere una vita indipendente.
L’organizzazione si aspetta nel contempo che il percorso di valutazione possa aiutare nel garantire che i servizi forniti rispondano meglio alle esigenze degli individui e delle comunità; che i programmi di investimento realizzati dai soggetti che finanziano le attività possano promuovere benefici sociali ed economici; che le attività dell’organizzazione si possano sviluppare accrescendo il business del Gruppo, garantendo nel contempo che i servizi offerti da Gentoo Living riescano a raggiungere i propri scopi e obiettivi. In particolare l’organizzazione si aspetta che la realizzazione di un percorso SROI possa rendere visibile il percorso di miglioramento fatto dalle persone anziane utenti del servizio e quindi l’impatto che il servizio ha avuto su di loro (e le loro famiglie) e sugli altri stakeholers coinvolti nelle attività, ovvero in particolare i servizi sociali territoriali e le altre organizzazioni del territorio.
Il progetto è partito con una survey indirizzata a tutti i 1500 utenti del servizio per rilevare dal loro punto di vista quali erano i risultati del servizio ricevuto, ma viste le difficoltà nel mettere chiaramente a fuoco le percezioni di ciascuno, si è scelto di proseguire con un campione di 157 utenti rappresentativo dell’universo (età, sesso, condizioni socio economiche, condizioni sociali e di salute, per tutti con una durata media della presa in carico attorno ai 4 anni) per riflettere con ciascuno di essi su come era la loro vita prima dell’avvio del servizio e come si è trasformata dopo.
Sono poi state realizzate interviste in profondità ad operatori e referenti dei servizi sociali territoriali e i referenti di tre altre organizzazioni che offrono Servizi per anziani nel territorio.
I dati economici e quelli statistici relativi all’uso dei servizi sociali e sanitari sono stati rilevati presso gli uffici dell’organizzazione e della pubblica amministrazione.
Sono poi stati rilevati ed analizzati gli input, in termini di finanziamenti ricevuti per tutte le attività realizzate (compresi eventi, come per esempio la festa di Natale) e le risorse messe a disposizione dall’associazione per piccoli lavori di ristrutturazione. Poiché il servizio è gratuito non è stata considerata alcuna quota di compartecipazione al costo da parte degli utenti. In totale il servizio si avvalso di circa 170.000 euro di finanziamento.
Per mappare gli outcomes, ovvero i risultati ottenuti, è stata utilizzata la metodologia legata alla teoria del cambiamento, ovvero andando ad analizzare come era la vita della persona prima di venire ammessa al servizio e come è diventata dopo. Il percorso di cambiamento vissuto da ciascun utente è stato registrato su una “mappa degli impatti”: tutti gli outcomes descritti dagli utenti sono stati organizzati in una tabella per valutare per quanti degli utenti si siano verificati. Le due voci più ricorrenti tra gli utenti, relative a quasi la metà di essi, sono relative alla riduzione della solitudine e dell’isolamento sociale e la percezione di sicurezza, ovvero il sapere di poter contare sugli operatori in caso di necessità. Tra gli altri risultati prodotti dal progetto riferiti dagli utenti è stato segnalato da molti il miglioramento della qualità della vita potendo gestire meglio la loro casa, il miglioramento nell’accesso al sistema dei servizi grazie ai consigli e alle indicazioni ricevute, oltre al miglioramento della soddisfazione complessiva grazie all’attivazione in servizi di volontariato. Oltre a questo, alcuni hanno riferito di avere migliorato la propria situazione economica grazie all’aiuto ricevuto nel compilare moduli per ottenere i sussidi economici. Alcuni utenti si sentono più sereni e felici e hanno percepito un miglioramento nel rispetto di sé perché sentono di essere ascoltati e possono prendere le proprie decisioni.
Sono poi stati rilevati gli outcomes descritti dagli altri stakeholders coinvolti: per quanto riguarda i servizi territoriali il principale risultato riferito è stata la riduzione nel numero di richieste di ricovero in residenza assistita.
Dopo aver stimato la durata attesa per ciascuno dei cambiamenti registrati si è arrivati al passaggio più delicato dell’intero percorso, ovvero, l’attribuzione di un valore economico ai cambiamenti registrati, stima, che, come sempre avviene in questo tipo di analisi, viene realizzata basandosi su studi precedenti e su analisi dei costi dei servizi messe a disposizione dagli enti e dai ministeri competenti.
Tra le varie stime fatte ad esempio vi è la stima del valore economico da attribuire al fatto che le persone si sentano più rassicurate per la presenza di un operatore su cui poter contare. E’ stato dunque stimato che gli operatori riescono a garantire mediamente a ciascun utente circa tre quarti d’ora al giorno di supporto di tipo relazionale. Per raggiungere lo stesso risultato in assenza del servizio si può calcolare lo stesso ammontare di supporto pensandolo come offerto da una rete di relazioni informali, che secondo uno studio dell’Università di Leeds può essere valorizzato in circa 16 euro all’ora. Per ogni utente dunque questo tipo di relazione informale “vale” circa 12 euro (essendo tre quarti d’ora), per un totale annuo di 4.300 euro ad utente, da moltiplicare per il numero di utenti che si sentono meglio grazie a questo servizio di monitoraggio e supporto relazionale.
E così si procede a stimare il valore attribuibile a ciascun risultato descritto dagli utenti moltiplicato per il numero degli utenti che lo hanno segnalato, al netto delle persone che dicono che l’effetto lo avrebbero raggiunto anche senza il servizio (solo 2 su 59) e di altri effetti inattesi (qui risulta troppo complesso descrivere la relativa procedura).
Riassumendo, il modello prevede che:
• sommando le stime della proxy del valore economico per ogni risultato raggiunto,
• sottratto il valore dei risultati che si sarebbero raggiunti comunque,
• sottratto il contributo di altri fattori ed attori che possono avere contribuito al risultato,
• stimata la durata attesa dell’effetto del servizio reso (in considerazione del fatto che probabilmente il primo anno l’effetto sarà maggiore per poi decrescere col passare del tempo sia per l’aggravarsi delle condizioni di salute della persona sia perché ad esempio secondo il servizio statistico inglese il 24% degli anziani alla survey nazionale annuale rispondono mediamente che la loro qualità di vita è peggiorata rispetto all’anno precedente),
è possibile calcolare l’impatto del servizio, stimato per un quinquennio in circa 1.226.000 euro a fronte di un input di circa 170.000 euro. Si può pertanto affermare che per ogni euro investito è stato creato valore sociale per circa 7,2 euro.
Altri esempi provenienti da esperienze internazionali verranno analizzati in articoli successivi, in modo da poter osservare limiti e potenzialità del metodo in contesti e in servizi differenti.
Si tratta infatti di una metodologia che offre interessanti potenzialità ma anche limiti piuttosto evidenti. Tra gli aspetti più interessanti, al di là di quelli che accomunano molti metodi (coinvolgimento degli stakeholders, generazione di processi di apprendimento, capacità di promuovere il miglioramento dell’attività e dell’organizzazione, ecc) vi è senz’altro l’attenzione al far emergere l’importante valore sociale, che è allo stesso tempo valore economico, messo in campo da una serie di attori, in primis il volontariato, che normalmente non appaiono nelle analisi tradizionali. Molto interessante è anche l’approccio della teoria del cambiamento, che consente al metodo di valorizzare gli outcomes (positivi ma anche negativi, da sottrarre a quelli positivi) che hanno rilevanza per gli stakehoders identificati come i più rilevanti.
Altra caratteristica interessante del metodo è quella di offrire un prodotto di valutazione molto facilmente comunicabile e di impatto che consente un’ampia disseminazione anche tra non addetti ai lavori, per esempio in occasione di campagne di fundrasing, di comunicazione sociale e di sollecitazione di donors e finanziatori.
Tra i limiti condividiamo senz’altro l’obiezione sollevata da Zamagni, ovvero che certe attività non consentono una quantificazione in termini di valori di mercato, tuttavia uno sforzo in tal senso non può che essere utile sia all’organizzazione che all’insieme degli stakehoders coinvolti. Occorre, a nostro parere, essere però disponibili ad accettare un livello piuttosto elevato di approssimazione e di soggettività sia nella scelta delle proxy economiche utili per la stima dei valori che di per sé non hanno quantificazione economica, ma anche nella scelta degli outcomes da valorizzare e di quelli da omettere. Ciascun outcome potrebbe infatti essere connesso a numerosi altri (ad esempio nel quantificare il miglioramento della condizione di benessere psicofisico si può scegliere, come è stato fatto, di quantificare solo il valore associato alla riduzione del ricovero in RSA, oppure si può ampliare il concetto andando ad includere anche la riduzione della spesa sanitaria associata ad un miglioramento della condizione di salute da quantificare in giorni di degenza e in uso di farmaci, andando a rilevare dunque impatti ben superiori rispetto a quelli stimati nello studio analizzato). Evidentemente i risultati quantitativi vanno presi con estrema cautela e possono rappresentare più che un esercizio inconfutabile un ottimo stimolo all’organizzazione e agli stakeholders per interrogarsi e per dare avvio ad un percorso di continua evoluzione nella direzione della trasparenza e della valorizzazione delle varie dimensioni ed impatti del proprio operato.
Certo è che il tema del ritorno sull’investimento, da categoria di analisi esclusivamente appannaggio dei mercati finanziari sta diventando uno spazio di riflessione sempre più ampio anche nel sociale, visto che la Commissione Europea ha appena commissionato uno studio comparativo per valutare come misurarlo negli schemi integrati di sostegno al reddito, per andare a misurare quale impatto le diverse misure di reddito minimo implementate in Europa hanno sui beneficiari in termini di inclusione sociale, condizioni di salute, ecc., e sul sistema dei servizi in termini di impatto sulla transizione dei beneficiari verso il mondo del lavoro.
- Filippo Montesi e altri – Human Foundation “Guida al Ritorno Sociale sull’Investimento SROI”