La violenza di genere e domestica durante l’emergenza da Covid-19
Daniela LoiFlavia Pesce | 9 Febbraio 2021
Con l’insorgere dell’emergenza epidemiologica da Covid 19 nei primi mesi del 2020, i media e i servizi specializzati hanno fin da subito iniziato a parlare di un probabile futuro aumento dei casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche a causa del maggior rischio di violenza dovuto al confinamento forzato (lockdown) e alle difficoltà per le vittime conviventi con il maltrattante a denunciare e rivolgersi ai servizi di supporto. In particolare, molte donne che svolgevano lavori informali che hanno perso durante la quarantena sono risultate maggiormente esposte, essendo costrette a lunghe permanenze in casa e diventando in misura maggiore economicamente dipendenti dai loro compagni con conseguenti maggiori difficoltà a sottrarsi alla violenza.
La violenza domestica già presuppone la messa in atto ad opera dell’abusante di una vera e propria strategia di controllo, che utilizza elementi strutturali a livello sociale oltre al controllo individuale1 per isolare le donne dalle loro reti e fonti di sostegno esterno, principalmente la famiglia di origine e gli amici. Il lockdown e la quarantena, necessari entrambi per ridurre la diffusione della pandemia, hanno di fatto contribuito ad aumentare ulteriormente l’isolamento delle donne e le loro difficoltà ad attivare reti di supporto.
L’aumento dei casi di violenza di genere nel mondo come conseguenza della pandemia è stato chiaramente indicato dall’indagine pubblicata da CEPOL nel luglio 20202 e dalle stesse Nazioni Unite che hanno definito questo fenomeno “pandemia ombra” proprio per sottolinearne l’impatto devastante. A livello internazionale ed Europeo, sono state fornite raccomandazioni e linee guida per fronteggiare in emergenza le situazioni di violenza, che hanno sottolineato l’esigenza di rafforzare i servizi specializzati di supporto e ospitalità per le donne, sia con riferimento al numero di strutture che alle modalità di lavoro, in primis per quanto concerne la possibilità di operare da remoto, e di favorirne l’accesso attraverso capillari azioni di comunicazione istituzionale e orientamento ai servizi per le vittime. L’attenzione è stata posta anche sull’aspetto più che mai cruciale del lavoro in rete da parte dei servizi specializzati e generali per fronteggiare le particolari criticità che i casi di violenza assumono in una situazione di emergenza sanitaria e sulla necessità di fornire adeguato sostegno economico ai servizi anche per poter operare in sicurezza.
In questo contesto, anche in Italia, l’esplosione dei casi di violenza è stato sostanziale. Se si guarda ai dati delle chiamate al numero verde nazionale antiviolenza 15223 si può, infatti, notare come dal 1° marzo al 16 Aprile 2020 ci sia stato un aumento del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019 con un aumento delle vittime che hanno chiesto aiuto del 59% rispetto allo scorso anno (ISTAT, 2020)4.
Anche i dati raccolti presso gli uffici giudiziari fra il 1° agosto 2019 e il 31 luglio 20205, che tengono conto anche del periodo di lockdown, mostrano come la percentuale dei procedimenti iscritti per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi sia aumentata dell’11% con un sensibile incremento delle denunce avvenuto proprio tra il 1° gennaio e il 31 maggio 2020.
Le misure tese a rinforzare l’accesso, anche telefonico o telematico, ai canali che assicurano il supporto immediato nella fase di emersione della violenza si sono rivelate una forma di aiuto valido perché di immediato e semplice utilizzo. Così come l’ulteriore attività di sensibilizzazione e coinvolgimento che è stata svolta nei confronti dei servizi generali (FF.OO)6 e delle farmacie7. Un Lavoro essenziale è stato fatto, però, dai Centri antiviolenza che, anche nel periodo di lockdown non hanno mai fatto mancare la loro assistenza continuando a garantire i colloqui protetti pur lavorando prevalentemente (57%) o esclusivamente (32%) da remoto8 così come testimoniato dall’indagine CNR- IRPSS (2020)9. Tuttavia, la maggior parte dei centri (78%) ha affermato di aver registrato una flessione pari alla metà nel numero di nuovi contatti in seguito all’introduzione delle misure di contenimento10. Tale dato che può sembrare confliggere con i dati ISTAT precedentemente riportati in realtà appare coerente con la massiccia campagna nazionale per la promozione dell’utilizzo del 1522 specialmente nel periodo di lockdown e con la necessità di privilegiare, almeno nell’immediato, un approccio soprattutto telefonico nelle richieste di aiuto piuttosto che una richiesta di presa in carico complessiva ad opera dei centri antiviolenza11.
Meno critico è stato invece il mantenimento dei rapporti con le donne che avevano già iniziato un percorso di uscita dalla violenza prima dell’inizio dell’emergenza: solo il 38% ha dichiarato che i rapporti sono diminuiti, mentre ben il 42% dei centri afferma che i rapporti sono rimasti invariati e il 20% che sono aumentati. I dati dell’indagine CNR- IRPSS consentono di comprendere non solo in che modo i centri antiviolenza abbiano fronteggiato l’emergenza sanitaria, ma anche le principali criticità incontrate a partire dalle maggiori difficoltà nella gestione del lavoro quotidiano dei centri in con le Reti Territoriali Antiviolenza e gli altri servizi territoriali in tutto il territorio nazionale. Tuttavia, circa la metà dei centri antiviolenza afferma di non aver registrato variazioni nell’intensità delle relazioni con i servizi sociali comunali, le forze dell’ordine e le questure, mentre a subire significative diminuzioni o addirittura interruzioni è stato, invece, il rapporto con gli ospedali (53%) e con i tribunali ordinari e minorili (48%), che hanno sospeso le loro attività. I rapporti con gli altri servizi specializzati (altri centri antiviolenza e case rifugio) sono al contrario aumentati o rimasti tutt’al più invariati.
Maggiori problemi operativi si sono potuti riscontrare in riferimento al collocamento in emergenza della vittima nelle strutture di ospitalità, sia per la carenza strutturale di alloggi in molti territori, che per la difficoltà di reperire soluzioni temporanee per le nuove ospiti in considerazione delle difficoltà date dal necessario mantenimento del distanziamento sociale e dalla difficoltà/impossibilità di accedere ai tamponi per tutto il primo periodo della pandemia. Per queste ragioni, è stato chiesto ai prefetti dal Ministero dell’Interno e dalla Ministra per le Pari Opportunità (Circolare 21 Marzo 2020) di individuare nuove soluzioni alloggiative per effettuare la quarantena fiduciaria per le donne che necessitavano di allontanarsi dal partner violento durante l’emergenza sanitaria. L’indagine del CNR-IRPSS (2020) ha sottolineato la mancata applicazione della circolare da parte di alcune prefetture e la presenza di carenze strutturali dei posti letto rese ancora più critiche in questa fase, «soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno». I centri e le case rifugio hanno spesso dovuto auto-organizzarsi nell’emergenza, trovando velocemente soluzioni abitative grazie alle reti e alle relazioni costruite nel tempo a livello territoriale12.
L’emergenza ha nel complesso amplificato criticità in parte già esistenti e sistemiche: difficoltà di intercettazione delle donne e di attivazione dei servizi territoriali per l’emersione del bisogno, difficoltà di coordinamento tra i servizi specializzati e generali, difficoltà di reperire strutture di ospitalità, a cui si vanno ad aggiungere le difficoltà organizzative del lavoro in remoto, in primo luogo per la mancanza di dispositivi informatici sufficienti e il digital divide delle volontarie di età generalmente medio-alta che operano presso i centri antiviolenza e di molte delle donne vittime. Tuttavia, i centri in questi mesi hanno lavorato con una grande flessibilità e capacità di adattamento, riorganizzando modalità e i tempi di lavoro.
Altre criticità indicate dagli stessi centri antiviolenza e case rifugio sono state la mancanza di risorse sufficienti per far fronte alle spese aggiuntive sostenute soprattutto nelle prime fasi dell’emergenza, nonché la mancanza di dispositivi di protezione sanitaria e di risorse per la sanificazione degli ambienti. Per far fronte a tali esigenze sono state erogate risorse sia a livello nazionale che regionale13, la cui erogazione, tuttavia, non può che essere stata tardiva rispetto a bisogni subitanei.
Di tutta evidenza, quindi, che alcune delle misure adottate durante la pandemia andrebbero rese strutturali per sostenere i servizi specializzati con particolare riguardo soprattutto all’aumento di posti letto per le donne in ospitalità e al rafforzamento delle azioni per favorire l’emersione delle richieste di aiuto. Le risorse finanziarie erogate dovrebbero superare la logica del finanziamento a “progetto”, che si traduce sovente in un’erogazione delle risorse a singhiozzo e comunque non sempre continuativa esponendo i servizi, soprattutto in situazioni di emergenza come quella attuale, all’impossibilità di offrire soluzioni adeguate ai bisogni contingenti. Gli ingranaggi delle reti andrebbero “oliati” e consolidate le azioni coordinate, anche attraverso linee guida operative omogenee tra le diverse reti all’interno delle regioni e a seguire a livello nazionale, così da creare maggiori sinergie tra servizi specializzati, generali e istituzioni locali, in grado di funzionare al meglio anche in situazioni di tale criticità.
Sarebbe, altresì, auspicabile, a partire da questo momento di emergenza che non è solo sanitaria ma anche lavorativa, prevedere un sostegno economico alle donne vittime di violenza non solo in via indiretta attraverso i servizi di supporto all’autonomia economica e abitativa forniti dai centri antiviolenza, ma anche misure di sostegno economico dirette, così come un’estensione del periodo di congedo per motivi di violenza per favorire il mantenimento del posto di lavoro. Grande attenzione dovrebbe essere posta anche, in funzione di prevenzione della violenza, agli effetti più a lungo termine della pandemia sull’equilibrio tra vita professionale e personale delle donne che potrebbe costringere molte a passare al lavoro non retribuito, di fatto minandone diritti e indipendenza economica. L’auspicio del Consiglio d’Europa14 ad inizio pandemia che “legislatori e responsabili politici considerino il contrasto alla violenza contro le donne come un settore prioritario che non può essere trascurato o sacrificato nella lotta contro l’attuale pandemia e che la sicurezza delle donne debba essere al centro di tutte le politiche e misure”, resta quindi più che mai un imperativo valido ancora oggi.
- L. Alburquerque, M.A. Vasconcelos, A.B. Azevedo, F.M. Costa, G. Fernandes, “Isolation of women in situation of violence by intimate partner: A social network condition”; Esc Anna Nery., 21 (2017), Article e20170007; C. Lanier, M.O. Maume, “Intimate partner violence and social isolation across rural/urban divide”, Violence Against Women, 15 (2009), pp. 1311-1330; G.M. Pichevsky, E.M. Wright, “The impact of neighborhoods on intimate partner violence and victimization”, Trauma Violence Abuse, 13 (2012), pp. 112-132
- CEPOL completed the analysis in cooperation with the European Council and the EMPACT structure. The analysis is available here.
- Per il nostro Paese, di notevole rilevanza, è stato lo strumento del 1522 (Help line violenza e stalking), promosso dal Dipartimento per le Pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ossia un numero completamente gratuito che ha consentito, nella fase più critica della pandemia, di mettere in contatto le donne con i servizi mediante una semplice telefonata. A rispondere sono operatrici specializzate che forniscono alle vittime un sostegno psicologico, giuridico, nonché orientamento rispetto ai servizi specializzati (centri antiviolenza e case rifugio) presenti sul territorio alle quali rivolgersi. Rilevante è stata anche l’applicazione Youpol, realizzata dalla Polizia di Stato. A partire dal 27/3/2020, essa è stata estesa anche ai reati di violenza domestica, benché inizialmente concepita per segnalare episodi di spaccio e bullismo.
- Istat, Violenza di genere al tempo del Covid-19: le chiamate al numero verde 1522, Maggio 2020. Si v. qui. Complessivamente, nel periodo compreso tra marzo e ottobre 2020, l’aumento delle chiamate è rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ha registrato un +71,7%, passando da 13.424 a 23.071. La crescita delle richieste di aiuto tramite chat è triplicata passando da 829 a 3.347 messaggi. Si v. nota del 25 Novembre 2020.
- Così, Ministero della Giustizia, Un anno dal Codice Rosso, rapporto sull’applicazione della Legge 69/2019 («Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere»), 25 Novembre 2020
- La Circolare 27 marzo 2020 del Ministro dell’Interno ha inteso sensibilizzare le articolazioni territoriali della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri alla problematica della violenza domestica così da favorire l’emersione delle richieste di aiuto delle donne vittime, attraverso tutti gli strumenti normativi, procedimentali e strumentali disponibili.
- È stato nello specifico siglato un Protocollo di intesa tra DPO e la Federazione Ordini dei Farmacisti, Federfarma e Assofarm per potenziare l’informazione per le donne vittime di violenza domestica e/o stalking durante l’emergenza Coronavirus e pubblicizzare il 1522.
- Nel periodo dell’emergenza sanitaria legata all’epidemia di Covid-19, solo l’11% ha affermato di essere rimasto fisicamente accessibile alle donne.
- Si v. CNR-IRPPS, I centri antiviolenza ai tempi del Coronavirus, Maggio 2020. L’indagine ha coinvolto i 335 centri antiviolenza che avevano già partecipato all’ indagine realizzata nel 2018 e riferita al 2017, di cui 253 rilevati da ISTAT in quanto aderenti ai requisiti dell’Intesa Stato-Regioni e pertanto accreditati dalle Regioni, e 82 identificati dal CNR. Tra questi, 7 hanno comunicato di aver cessato nel frattempo le attività. Tra i restanti, 228 hanno risposto al questionario “I centri antiviolenza ai tempi del coronavirus” (tasso di copertura pari al 69%).
- Se infatti prima dell’emergenza ogni centro contava in media 5,4 nuovi contatti a settimana, durante il periodo dell’emergenza questi sono scesi a 2,8 per centro.
- È probabile che le donne abbiano di fatto rinviato durante il periodo di lockdown il primo contatto con i centri, per poi rivolgersi agli stessi con maggiore intensità in un secondo momento, come dimostrato, ad esempio, dai dati dell’Osservatorio lombardo O.R.A. i quali registrano nel periodo gennaio-ottobre 2020, con riferimento alle nuove prese in carico, una sostanziale coerenza con il dato 2019 riferibile al medesimo periodo di tempo.
- Così, Pietro Demurtas, Caterina Peroni e Alice Mauri, “I centri antiviolenza ai tempi del Coronavirus”, in Rivista delle Politiche Sociali, 2020
- È stato, in particolare previsto un bando a regia centrale del Dpo per l’erogazione di risorse per l’acquisto di DPI, sanificazione ambienti, acquisto dispositivi informatici ecc… e ulteriori risorse sono state destinate per il tramite delle Regioni. Più nello specifico, con procedura d’urgenza, il 2 aprile 2020 la Ministra Bonetti ha sbloccato le risorse previste e già ripartite alle Regioni dal d.p.c.m del 4 dicembre 2019, anche in assenza della programmazione delle Regioni richiesta dall’iter ordinario, destinando parte delle risorse previste per gli interventi regionali di attuazione del piano nazionale antiviolenza (pari a 10.000.000) prioritariamente alla copertura delle spese sostenute dai centri antiviolenza e case rifugio durante il lockdown.
- Così, Béatrice Fresko-Rolfo, Relatrice generale sulla violenza contro le donne all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, 23 Marzo 2020. Si v. qui.
Anche i Centri LDV – Liberiamoci dalla Violenza- Centri per l’ accompagnamento al cambiamento per uomini, attivi da diversi anni nella Regione Emilia-Romagna(presso i Consultori Familiari dell’ AUSL di MO-PR- BO e della Romagna) ,durante il lockdown hanno lavorato intensamente con gli autori,soprattutto attraverso modalità telefonica e l’utilizzo della tecnologia digitale, riprendendo non appena è stato possibile gli incontri individuali in presenza.
Come riconosciuto anche dalla Convenzione di Istanbul, il lavoro con i maltrattanti è molto importante per far cessare la violenza e prevenire ulteriori comportamenti e concorre al lavoro integrato dei servizi /associazioni che fanno parte delle reti territoriali aventi il comune obiettivo: perseguire il benessere e la sicurezza di donne e bambini.