L’aggressività nei confronti degli assistenti sociali
Esiti di una ricerca nazionale
Alessandro SicoraBarbara RosinaMara SanfeliciUrban Nothdurfter | 29 Luglio 2019
Questo articolo presenta i risultati della più ampia indagine sulla violenza subita dagli assistenti sociali italiani, realizzata attraverso una survey on-line che ha coinvolto 20.112 assistenti sociali. I dati qui presentati si riferiscono all’analisi delle risposte forniti da questi ultimi, ovvero a quasi la metà degli iscritti al relativo ordine professionale.
La ricerca è stata promossa e finanziata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, dalla Fondazione Nazionale Assistenti Sociali e da numerosi Consigli Regionali dell’Ordine Assistenti sociali. In particolare, l’indagine nasce dal lavoro svolto dai Consigli Regionali di Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Trentino Alto Adige; che hanno successivamente raccolto l’adesione di altri Consigli Regionali (Puglia, Sicilia, Umbria, Campania, Toscana e Lazio), testimoniando il diffuso interesse e la sensibilità su questo tema da parte della comunità professionale e dei suoi rappresentanti.
I dati raccolti evidenziano l’ampia diffusione del fenomeno e le possibili connessioni con le condizioni di crescente precarietà delle politiche sociali e di conseguente indebolimento delle reti dei servizi sociali posti a supporto alle persone in difficoltà psico-sociali. Nel corso della propria esperienza professionale, tra coloro che hanno risposto al questionario, solo poco più di un assistente sociale su dieci (11,8%) non ha mai ricevuto minacce, intimidazioni o aggressioni verbali e ben il 15,4% ha subito una qualche forma di aggressione fisica. Nel trimestre precedente la rilevazione oltre mille tra i partecipanti all’indagine hanno subito forme di violenza fisiche che sono andate dallo spintonamento all’aggressione che ha richiesto un intervento medico importante. Solo una parte delle aggressioni fisiche subite viene segnalata alle autorità di pubblica sicurezza o al proprio ente, rispettivamente nel 10,6% e 23,3% dei casi, presumibilmente in ragione di un certo grado di sfiducia diffuso tra gli operatori. Il 49% gli intervistati dichiara infatti che a seguito di episodi di violenza verbale l’ente di appartenenza non ha preso alcuna iniziativa concreta per aiutare.
I principali fattori che possono impedire aggressioni da parte degli utenti dei servizi sono rappresentati da condizioni comunicative e informative consone allo stato di difficoltà di chi si rivolge ai servizi sociali, nonché da modalità di lavoro che non isolino il professionista e da risorse e politiche adeguate ai bisogni sociali. Ben sei assistenti sociali su dieci ritengono che l’organico del servizio non sia adeguato rispetto al lavoro che è necessario svolgere.
I numeri della violenza contro gli assistenti sociali
La survey on-line ha coinvolto un campione non probabilistico di 20.112 assistenti sociali, con un tasso di risposta pari al 47%. L’età media degli intervistati è pari a 44 anni (deviazione standard: 10,6). È netta la predominanza del genere femminile su quello maschile, con una percentuale di popolazione maschile pari solo al 6.8%. La media del numero di anni di esperienza lavorativa dei rispondenti è pari a 16,89 (deviazione standard: 10,52), con un minimo di qualche mese di esperienza ad un massimo di 50 anni di lavoro sul campo.
Considerando l’intero arco della carriera professionale, episodi di violenza verbale (minacce/aggressioni verbali/intimidazioni) sono accaduti all’88,2% degli intervistati. Rispetto alla frequenza con cui questi episodi sono accaduti, l’ 8,4% riporta di essere stato coinvolto “spesso” in episodi di violenza verbale; il 51,8% dichiara di avere subito “qualche volta” minacce, aggressioni verbali o intimidazioni. Il 28% lo descrive come un evento “raro”, all’11,8% non è mai accaduto.
Sempre considerando l’intero arco della carriera professionale, episodi di violenza fisica hanno coinvolto il 15,4% del campione (3.094 persone). 872 intervistati dichiarano che in tali eventi l’aggressore ha utilizzato un oggetto o un’arma. Inoltre, un terzo del campione (35.8%) dichiara di aver temuto per la propria incolumità̀ o quella di un familiare a causa del lavoro.
Dall’analisi bivariata emerge che gli ambiti nettamente più a rischio sono i servizi a tutela dei minori e i servizi a sostegno di adulti in difficoltà.
Cosa può prevenire la violenza a danno degli assistenti sociali
Nella loro riflessione sul fenomeno, gli assistenti sociali che hanno partecipato al’indagine sembrano avere idee molto chiare su cosa possa ostacolare il fenomeno preso in esame: per un assistente sociale su quattro comunicazione e informazioni adeguate sembrano essere gli elementi più importanti per prevenire forme di frustrazione negli utenti che possono generare delle aggressioni. A ciò non è estranea una corretta immagine di chi è e cosa può fare l’assistente sociale (4,1%). L’adeguatezza delle risorse e delle organizzazioni che erogano prestazioni e servizi sociali insieme all’efficacia ed efficienza delle politiche sono considerati quali fattori ostacolanti da quasi un professionista su cinque. Vigilanza e sicurezza sul lavoro rappresentano insieme il 17% delle risposte.
Un professionista evidenzia e collega tra loro alcuni di tali fattori quando afferma che ostacola il verificarsi di episodi di violenza nei servizi:
“Una maggiore chiarezza relativa a ciò che il servizio può offrire. Ciò dipende, riferendomi al contesto istituzionale in cui opero, dall’altrettanta chiarezza che l’amministratore deve offrire al cittadino. Altro elemento è un organico ed un numero di ore sufficiente a rispondere adeguatamente alle necessità del territorio. Tra altri elementi che potrebbero ostacolare la violenza nei servizi, vedo una maggiore attenzione a fermare (non saprei come) l’informazione trash che i media propongono in merito alla nostra figura professionale. Le azioni diffamanti rendono più semplice fare di noi il capo espiatorio o comunque l’oggetto su cui far ricadere responsabilità proprie”.
Alcune domande poste nel questionario avevano lo scopo di individuare i fattori che hanno impedito concretamente nell’esperienza diretta dei rispondenti il verificarsi di aggressioni a loro danno o nell’averne ridotto gli effetti. In entrambi i casi l’attenzione alle dinamiche relazionali assume la posizione predominante (un assistente sociale su tre) seguita, oltre la soglia del 15%, dalla presenza di altre persone e dal mantenere la calma (in caso di aggressione in corso) e dalla tipologia degli utenti (in caso di assenza di violenza subita dal professionista).
Conclusioni
La ricerca qui sintetizzata rende visibile alcune delle maggiori difficoltà del rapporto tra assistenti sociali e persone degli utenti (quando tali difficoltà si concretizzano in comportamenti aggressivi) in conseguenza dello stato di crescente sofferenza in cui si trovano oggi in Italia il sistema dei servizi sociali e il servizio sociale quale attività professionale ivi operante. Gli esiti della ricerca sembrano spingere in due direzioni fornendo una serie di interessanti e talvolta inediti spunti di riflessioni e d’azione: è importante prendersi cura del professionista che subisce violenza, ma anche guardare con maggiore attenzione e consapevolezza alle condizioni del sistema dei servizi sociali, per agire collettivamente verso un miglioramento delle politiche a sostegno dei diritti di cittadinanza sociale.
Il fenomeno della violenza a danno degli assistenti sociali da parte dei loro utenti sembra quindi rappresentare un “campanello d’allarme” che rende meglio visibile il depotenziamento del servizio sociale e del sistema dei servizi in atto, ovvero di un trend spesso non direttamente percepibile. In questo senso l’aggressività espressa appare come un indicatore “urlato” di qualità percepita come insufficiente da parte degli utenti, ovvero una reazione (inadeguata e non funzionale) di difesa spesso suscitata da un senso di frustrazione rispetto alle proprie aspettative. Come dice un assistente sociale:
“credo che la chiarezza nell’offerta e in quello che i servizi possono effettivamente dare sia fondamentale. Spesso gli episodi di violenza, verbale soprattutto, sono conseguenti a incomprensioni o aspettative elevate o non congruenti con la realtà, quindi penso che il primo passo sia quello di fornire le informazioni adeguate rispetto ai benefici che si possono ottenere dal servizio, senza proporre soluzioni illusorie o scarsamente aderenti alla realtà.”
Chiaramente una tale abilità non può essere improvvisata ma, essendo di natura professionale, viene acquisita nell’ambito di una adeguata formazione universitaria e va affinata nella pratica quotidiana mediante l’applicazione costante di strumenti e metodologie appropriate. È anche vero che ciò può avvenire solamente in un quadro istituzionale e organizzativo all’interno del quale vi sia una reale sintonia tra i diversi livelli coinvolti, in particolare tra livello politico e livello operativo. Come afferma un professionista:
“la cornice professionale con cui ho gestito i colloqui [è ciò che maggiormente ha evitato il verificarsi di episodi di violenza a mio danno]. Per cui se da un lato c’è l’ascolto della persona e la costruzione di una relazione dall’altro è necessario rimandare il messaggio che i disservizi non dipendono dal singolo operatore”.
Professionalità e politiche sociali adeguante e sinergiche appaiono quali principali antidoti alla preoccupante crescita della violenza a danno degli assistenti sociali. Andare alla facile ricerca di un “capro espiatorio” può essere forse appagante nell’immediato ma è sicuramente poco produttivo per arginare un fenomeno complesso qual è quello oggetto dell’indagine qui presentata. Cogliere le responsabilità dei soggetti in campo, sfuggendo alla logica della colpa, appare invece il modo migliore per promuovere il miglioramento dei servizi sociali e socio-sanitari e per dare risposte efficaci alle richieste d’aiuto provenienti da fasce sempre più ampia della popolazione.
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